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CUBA
tratto dal n. 02 - 1999

REPORTAGE. La Riunione dei vescovi del continente americano

La Chiesa, i poveri e un compagno di strada


A un anno dal viaggio del Papa, i vertici della Chiesa cattolica americana sono stati per tre giorni ospiti di Castro. L’incontro, che è partito dalla riflessione sull’esortazione postsinodale Ecclesia in America, è stato anche l’occasione per parlare dei naufraghi della globalizzazione, dei guasti del neoliberismo, del debito dei Paesi poveri verso quelli ricchi. Temi su cui il líder máximo è vicino alla dottrina sociale della Chiesa. Ecco come è andata…


di Gianni Cardinale


Per tre giorni L’Avana è stata la capitale della Chiesa del Nuovo Mondo. Dal 14 al 16 febbraio, infatti, la metropoli cubana ha ospitato la XXVII Riunione episcopale interamericana. Era la prima volta che questo tipo di meeting veniva ospitato nella Perla dei Caraibi. In effetti questo appuntamento avrebbe dovuto svolgersi in Canada, a Vancouver, ma l’episcopato canadese ha accettato volentieri il cambio anche per festeggiare il primo anniversario della visita del Papa a Cuba.
Hanno partecipato all’incontro trentuno ecclesiastici, tra cui cinque cardinali, nove arcivescovi e dieci vescovi. In pratica erano presenti i vertici dell’episcopato statunitense, di quello canadese, del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), e i presidenti delle Conferenze episcopali di Argentina, Brasile, Colombia, Cuba, Messico e Santo Domingo. Ospiti d’onore i cardinali Lucas Moreira Neves, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, e Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston.

L’Avana capitale della Chiesa americana
Doveva trattarsi di un incontro di routine. Normalmente infatti questo tipo di meeting si svolge ogni due anni e non ha grande risalto sui media. Questa volta non è stato così. Intanto per il luogo in cui si è svolto. Cuba non è solita ospitare conferenze ecclesiastiche di questo livello. Poi per la risonanza che questa riunione ha avuto sui mass media locali (fatto inusuale) e per l’accoglienza riservatale dalle autorità. Quindi per i temi trattati durante le varie sessioni in cui si è articolato l’incontro. Nella tre giorni si è parlato in generale della recezione dell’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in America e, in particolare, di vari altri temi come la questione dell’embargo a Cuba, quello del debito estero dei Paesi più poveri (a più di un partecipante non è piaciuto il modo in cui l’esortazione ha trattato l’argomento scaricando quasi tutta la responsabilità di questo dramma sui governi dei Paesi del Terzo Mondo), delle conseguenze della globalizzazione, e del Grande Giubileo prossimo venturo (visto più come opportunità per trovare soluzioni ai problemi quali, appunto, il debito estero e l’embargo, che come occasione di improbabile turismo religioso di massa: «Non abbiamo la pretesa di fare grandi pellegrinaggi a Roma», ci ha confidato l’arcivescovo brasiliano Luciano Pedro Mendes de Almeida, vicepresidente del Celam).
La XXVII “interamericana” è iniziata domenica 14 con un pellegrinaggio collettivo al santuario della Vergine della Carità del Cobre, a Santiago di Cuba. La sera, poi, nella Cattedrale dell’Avana, c’è stata la messa solenne di apertura della Riunione, presieduta dal cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino. Le tre navate della chiesa erano stracolme di fedeli entusiasti che hanno più volte applaudito l’omelia del porporato, soprattutto quando ha ricordato il viaggio del Papa (ogni paragone Cuba-Polonia, che pure è stato fatto, non è proponibile; nella stessa Cattedrale infatti, tre giorni dopo, all’unica messa del Mercoledì delle Ceneri c’erano poco più di centocinquanta fedeli...). Alla celebrazione inaugurale ha assistito anche un’ampia rappresentanza del corpo diplomatico accreditato presso lo Stato cubano (presente anche Hermes Herrera Hernández, rappresentante di Cuba presso la Santa Sede, nell’isola per un periodo di vacanza) e alcune autorità civili, come la responsabile degli “affari religiosi” del Comitato centrale del Partito comunista cubano, Caridad Diego. La stessa Diego, insieme all’ambasciatore Herrera e al viceministro degli Esteri Isabel Allende, hanno partecipato a un ricevimento organizzato per il pranzo del 16 dal nunzio apostolico, l’arcivescovo trevigiano Beniamino Stella, del quale pochi giorni prima era stato annunciato, dopo più di sei anni di permanenza nell’isola, il trasferimento in Colombia.
I lavori veri e propri della Riunione si sono svolti, rigorosamente a porte chiuse, lunedì 15 e martedì 16 nel lussuoso Hotel Palco, di solito frequentato da turisti abbienti e uomini d’affari. In quegli stessi giorni, poco distante, si riuniva una seduta straordinaria dell’Assemblea nazionale del potere popolare (il Parlamento cubano) convocata da Fidel Castro per approvare alcune variazioni del codice penale (con inasprimento di pene fino all’ergastolo e alla pena di morte per crimini come il traffico di droga, il traffico di persone e rapine con violenza) e una nuova legge a protezione dell’indipendenza nazionale e dell’economia di Cuba. Entrambi i provvedimenti sono stati aspramente criticati dai mass media internazionali.

Consiglio episcopale interamericano? No, grazie
Alcuni organi di stampa, nel dare la notizia della Riunione, avevano ipotizzato la creazione di una Conferenza episcopale interamericana, una specie di Celam allargato a tutto il continente. In effetti, durante il Sinodo d’America del 1997, un’idea del genere era stata lanciata da alcuni padri, e il vescovo dominicano di San Juan de la Maguana, José Dolores Grullón Estrella, a nome di tutti i presuli del suo Paese, aveva proposto l’idea di creare «un organismo eretto dalla Santa Sede che riunisca le tre Conferenze di Canada, Usa e Caraibi, con sede propria, responsabili permanenti e norme procedurali». L’idea non ha trovato molti consensi nella Riunione cubana. Anzi. «Non so se sia questo il momento di una Conferenza unica, perché tutti noi vescovi sappiamo che ci sono questioni particolari per ogni comunità locale», ci dice Wilton Daniel Gregory, 51 anni, vescovo di Belleville e vicepresidente della Conferenza episcopale statunitense. Della stessa opinione è il brasiliano Mendes de Almeida, 69 anni, gesuita, arcivescovo di Mariana e vicepresidente del Celam: «Non è nel nostro desiderio. Abbiamo già le nostre istituzioni che hanno una sede, una propria vita. Creare nuove strutture è forse prematuro. È preferibile puntare su una maggiore collaborazione tra quelle già esistenti. E poi ci sarebbero nuove spese...». Anche il cardinale Law boccia l’ipotesi di creare nuove strutture: «Dopo l’uragano Mitch c’è stata una risposta meravigliosa. Nella mia arcidiocesi è stata fatta una colletta in cui sono stati raccolti più di due milioni di dollari. Per me è molto importante promuovere e sviluppare questo tipo di comunione e solidarietà, che non tocca solo noi vescovi».

Il dramma della globalizzazione
La sera di martedì 16 i partecipanti alla Riunione sono stati ricevuti da Castro nel Palazzo della Rivoluzione. Il ricevimento, cui hanno partecipato pure il presidente del Parlamento Ricardo Alarcón, l’emergente Carlos Lage, l’ideologo José Ramón Balaguer, il ministro degli Esteri Roberto Robaina, si è prolungato fino a tarda notte. Assente al ricevimento è stato il cardinale Moreira Neves che ha dovuto anticipare il suo ritorno a Roma. Nel pomeriggio, comunque, Castro si era recato all’Hotel Palco per salutarlo personalmente e si era intrattenuto con lui per circa quindici minuti. Castro ha parlato lungamente, citando spesso l’esortazione postsinodale Ecclesia in America («L’ha letta più di noi», è stato il commento, tra l’ironico e il rispettoso, di più di un ecclesiastico). Il líder máximo ha affermato di condividerne i contenuti al novanta per cento. Di fronte ai vescovi ha poi dichiarato di essere personalmente contro l’aborto e contro il divorzio, anche se ci sono leggi che a Cuba li permettono, e ha ribadito che l’aborto comunque non deve essere considerato un metodo anticoncezionale. Riguardo poi al problema della pena di morte, ha rassicurato alcuni ecclesiastici che verrà applicata raramente (nel corso di una conferenza stampa il cardinale Ortega y Alamino aveva definito «preoccupante» la decisione del Parlamento cubano di allargare l’uso della pena capitale).
Ma il tema che più ha appassionato Castro, e sui cui si è dilungato, è stato quello della globalizzazione. Tema che aveva trattato con una terminologia “ecclesiastica” a gennaio, nel suo discorso per il quarantesimo della rivoluzione cubana: «I più fanatici difensori e credenti del mercato» aveva detto in quell’occasione «l’hanno trasformato in una nuova religione. Nasce così la teologia del mercato. I suoi accademici, piuttosto che scienziati, sono teologi; per loro si tratta di una questione di fede. Per rispetto alle vere religioni onestamente praticate da migliaia di milioni di persone nel mondo e ai veri teologi, potremmo semplicemente aggiungere che la teologia del mercato è settaria, fondamentalista e antiecumenica». Facciamo leggere queste parole all’arcivescovo Mendes de Almeida, il quale, da buon gesuita, non si scompone, non reagisce direttamente, ma commenta: «È veramente il capitalismo che genera questa malattia cronica dell’umanità. Perché colloca come valore supremo il capitale, cioè la ricchezza materiale che è fatta per servire l’uomo e non per costituire la ragione di essere dell’umanità. E così, come la filosofia materialista del comunismo ha asfissiato la libertà, così pure la realtà di una società e di un mondo capitalista riduce la libertà perché imprigiona l’uomo nell’orizzonte del lucro. Purtroppo noi che ci siamo allontanati, grazie a Dio, dal materialismo comunista siamo ancora coinvolti nelle esigenze del neoliberalismo che è così perverso come gli altri sistemi che eliminano la libertà».

«I provvedimenti presi da Washington a gennaio? Propaganda...»
Il tema dell’embargo statunitense contro Cuba (proclamato da Kennedy nel ’62 e inasprito dal Cuban Democracy Act del ’92 e dall’Helms-Burton Act del ’96) non era all’ordine del giorno della Riunione. Ma se ne è parlato. Eccome. Su questo i vescovi del continente hanno espresso la loro condanna unanime verso una misura economica che danneggia la popolazione. «Cercare l’ammorbidimento e anche la fine dell’embargo è sempre stata la posizione dell’episcopato statunitense», ha detto l’arcivescovo di Newark, Theodore McCarrick, “ministro degli Esteri” dei presuli Usa. Ovviamente sulla stessa lunghezza d’onda è l’episcopato latinomericano. «Non possiamo accettare questo embargo che, usando le parole del Santo Padre, è ingiusto ed eticamente indifendibile. Siamo convinti che l’unico embargo che dovrebbe esistere è quello sul traffico d’armi», ha affermato il presidente del Celam, il salesiano honduregno Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga.
A gennaio l’amministrazione Clinton, dopo aver fatto esplicito riferimento alla visita del Papa a Cuba dello scorso anno, ha preso delle misure unilaterali per alleggerire le restrizioni imposte dagli Usa a Cuba. In pratica Washington ha annunciato di aver autorizzato la ripresa del servizio postale diretto fra Usa e Cuba, l’incremento dei voli diretti e delle rimesse bancarie da privato a privato, aprendo inoltre la porta alla vendita di prodotti agroalimentari a individui e strutture non governative. I provvedimenti sono stati aspramente criticati dall’Avana. E anche negli Usa: Una chance perduta per annullare una politica fallimentare su Cuba: con questo titolo l’International Herald Tribune ha ospitato un contributo di Wayne S. Smith, capo della sezione di interessi americani all’Avana dal ’79 all’82. La Chiesa cubana finora non aveva preso posizione a riguardo, ma il cardinale Ortega, interpellato da 30Giorni, giudica queste misure «non realistiche», e aggiunge: «sembrano piuttosto una propaganda, ma tutto rimane uguale».

«C’è bisogno comunque di una commissione bipartisan»
Sempre a gennaio la Casa Bianca invece ha rigettato la proposta, fatta da venticinque senatori repubblicani e democratici e da ex segretari di Stato (tutti repubblicani) come Henry Kissinger, George Shultz e Lawrence Eagleburger, di creare una commissione bipartisan che rivedesse la politica di confronto con Cuba centrata intorno all’embargo (tipo quella creata nell’83 riguardo al Nicaragua e a El Salvador). Fra i primi a lanciare l’idea di una commissione di questo genere era stato proprio il cardinale Law in un discorso pronunciato all’Harvard University due mesi dopo la visita del Papa a Cuba. «Sono dispiaciuto di questo. Comunque penso che in prospettiva ci sarà un cambiamento. Recentemente il Council on Foreign Relations, che non è un organismo governativo ma nel quale sono presenti numerosi ex membri del Dipartimento di Stato, ha rilasciato un rapporto con idee più aperte rispetto a quelle della politica recente di Clinton», ci dice Law. E aggiunge: «C’è bisogno comunque di una commissione bipartisan. Se mi capiterà l’occasione lo dirò». La fine dell’affaire Monica Lewinski, chiediamo al porporato statunitense, potrebbe permettere a Clinton una maggiore libertà di manovra nei confronti di Cuba? «Lo spero. Spero che ora si potrà fare di più».
A Law chiediamo anche quali siano le sue impressioni riguardo alla influente comunità cubana negli Stati Uniti, concentrata soprattutto in Florida e nel New Jersey. Comunità che più di un anno fa ha perso il leader storico, Jorge Mas Canosa, e che continua a influenzare da posizioni ultraconservatrici la politica statunitense (e proprio da questi ambienti sono arrivate critiche all’atteggiamento troppo “accomodante” della Chiesa cattolica e del Vaticano nei confronti del regime). Risponde l’arcivescovo di Boston: «Ho alcune impressioni. Parlando con persone della Florida e di qualche altra parte mi pare che ci sia un cambiamento. Anche lì c’è gente che non pensa più a quanto successo quaranta anni fa. Ci sono i più giovani. Il cambio generazionale può fare del bene». «La maggior parte di quei cattolici cubani in Usa,» continua Law «che sono contro l’idea del Santo Padre riguardo alla necessità che il mondo si apra a Cuba e che Cuba si apra al mondo, hanno famiglie nell’isola e per questo sono contenti se qualcuno fa qualcosa per aiutare quelli che sono qui. La difficoltà è a livello politico. Per questo affermo la necessità che negli Usa si apra un dialogo nazionale sulla politica verso Cuba e sulla necessità di cambiare questa politica. È importante che il popolo cubano costruisca il proprio futuro, che non venga da fuori. E noi, per quanto possiamo, dobbiamo appoggiare questo processo».


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