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CUBA
tratto dal n. 02 - 1999

LA CHIESA A CUBA. Parla l’arcivescovo dell’Avana Ortega y Alamino

Il dialogo? Avanti adagio




«Dopo la visita del Papa, per la prima volta si è svolta una trattativa vera con il governo per l’accesso di nuovi sacerdoti a Cuba. Solitamente le autorità hanno sempre preferito concedere più permessi per suore e meno per sacerdoti. Questa volta invece abbiamo ottenuto una equa ripartizione: venti visti per preti e venti per religiose». Parola di Jaime Lucas Ortega y Alamino, 63 anni a ottobre, dall’81 arcivescovo di San Cristóbal de La Habana. La notizia ufficiale della concessione di questi visti è stata data il 18 novembre scorso. I nuovi arrivati provengono da tre continenti (tra i preti ci sono due cubani residenti all’estero, nove colombiani, tre spagnoli, due italiani, un messicano, un maltese, un argentino, un canadese; tra le religiose una cubana residente all’estero, quattro provenienti dalla Spagna, tre dal Messico, due dalla Colombia, e una, rispettivamente, dalla Repubblica Dominicana, dal Perù, dal Guatemala, dall’India, dalla Tanzania, dal Kenya, dal Nicaragua, da Porto Rico, dall’Argentina e dall’Italia). Oltre a questi quaranta visti il governo ne ha concesso un’altra mezza dozzina dopo l’ultimo Natale, che ormai è diventato, definitivamente, festività civile anche a Cuba.
Oltre al problema dell’arrivo di nuovi sacerdoti («sempre ammesso che ce ne siano a disposizione», ci dice Ortega) ci sono altre tre questioni che stanno a cuore alla Chiesa cubana: la costruzione di nuove chiese, l’accesso stabile ai mezzi di comunicazione e l’educazione dei giovani.
Durante la XXVII Riunione interamericana dei vescovi, i presuli si sono assunti l’impegno di sostenere, anche finanziariamente, la costruzione di nuove chiese a Cuba. Quello che manca però sono i permessi governativi. «Negli ultimi cinque anni» spiega il porporato «abbiamo dovuto celebrare messe e amministrare sacramenti in case di famiglia. Ci sono infatti interi quartieri che non hanno una chiesa. E questo riguarda non solo la diocesi dell’Avana, ma anche quella di Bayamo-Manzanillo, Guantánamo e altre».
Negli ultimi mesi del ’98 Ortega ha avuto accesso due volte alla radio nazionale. È successo, l’8 settembre, in occasione della festività della Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba, e il 25 dicembre, per Natale. Per il porporato cubano sarebbe auspicabile un accesso più sistematico ai mass media. L’ipotesi lanciata dal cardinale sarebbe quella di «avere un programma radiofonico cattolico di frequenza almeno settimanale e qualche tipo di accesso abituale della Chiesa cattolica alla televisione». C’è da dire comunque che la Chiesa cubana, nel suo piccolo, ha le sue pubblicazioni. La diocesi di San Cristóbal de La Habana pubblica già due mensili, il bollettino Aquí la Iglesia (diffuso in circa 25mila copie) e la rivista Palabra Nueva (13/14mila), diretta dal giovane Orlando Marquez. Mentre la diocesi occidentale di Pinar del Río pubblica Vitral, considerata la rivista di maggior spessore politico e culturale della Chiesa cubana.
Un’altra richiesta da parte di Ortega y Alamino riguarda la questione dell’educazione. È un argomento scottante. Lo Stato cubano infatti da una parte vanta, a ragione, una alfabetizzazione popolare che non ha pari in America Latina. Dall’altra però non è affatto disponibile a vedere scalfito il proprio monopolio in questo settore. Per questo le parole del cardinale sono misurate e non tradiscono alcuna impazienza. In pratica il porporato dichiara di non voler restaurare le scuole cattoliche prerivoluzionarie (dove pure studiò il giovane Fidel Castro) ma invoca la possibilità di costituire scuole parrocchiali e di avere l’ora di religione nelle scuole statali. «La Chiesa» afferma Ortega «sostiene dappertutto il suo diritto, che è inerente alla sua missione, di educare cristianamente le nuove generazioni di cattolici secondo la fede dei padri. In questo, come nelle altre cose, il nostro sguardo deve essere rivolto al futuro, un futuro che si deve costruire con pazienza. Reclamare il vecchio potrebbe prestarsi a malintesi. Quando la Chiesa reclama il suo accesso all’educazione delle nuove generazioni non vuole resuscitare vecchie scuole con vecchio stile. Sono passati quaranta anni da quando quei prestigiosi centri di studio hanno cessato di esistere. Esistono in molti luoghi e sono esistite anche a Cuba le scuole parrocchiali, che sono scuole accessibili al popolo cristiano. In molti Paesi c’è un appoggio statale a questo tipo di scuola religiosa e, inoltre, in molti altri si offre alla Chiesa la possibilità di insegnare la religione».


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