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GIUSTIZIA
tratto dal n. 02 - 1999

Il trionfo del solito ignoto


La mappa dei reati in Italia. Uno studio statistico approfondito per capire perché nel nostro Paese la stragrande maggioranza dei delitti resta impunita


di Maria Elena Andreotti


Da molto tempo ormai, l’apertura dell’anno giudiziario è segnata, in quasi ogni distretto, da una relazione sull’amministrazione della giustizia del procuratore generale presso la corte d’appello che lamenta l’inefficienza dell’apparato giudiziario e, nelle ventiquattro ore successive, tutti i mezzi di comunicazione dedicano lunghi servizi alla “emergenza giustizia”, un nuovo rito annuale che si colloca fra il cenone di capodanno e i messaggi di San Valentino.
«È sotto gli occhi di tutti che il pianeta giustizia evidenzia vistose, e sempre più profonde, crepe che caratterizzano il suo operare e che ne sconvolgono l’alta funzione di sistema equilibratore dei conflitti sociali, individuali, economici, morali e funzionali che, nello Stato moderno, caratterizzano la quotidianità» (Bari).
«Ed infatti la “risposta” processuale ai “fatti-reato” permane farraginosa e lenta e la sanzione continua ad essere inflitta a distanza di anni dall’illecito commesso, sì da integrare frequentemente quella denegata giustizia che è stata più volte accertata nei confronti del nostro Paese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo» (Bologna).
«L’inefficienza della macchina giudiziaria è sotto gli occhi di tutti e comporta tempi di durata dei processi tali da assumere talora aspetti intollerabili» (Palermo).
Altrettanto in crisi appare il sistema penitenziario, con una popolazione carceraria media di 53mila persone, rinchiuse in istituti sovraffollati e carenti, delle quali il 38% non è condannato, ma è formato da imputati sottoposti a custodia preventiva in attesa di giudizio.
Sporadicamente, poi, un crimine particolarmente efferato, o una serie di gravi delitti ravvicinati nel tempo, fanno gridare all’allarme criminalità. Nove morti nei primi nove giorni di gennaio a Milano hanno richiamato l’attenzione di tutto il Paese sul problema di una diffusa mancanza di sicurezza in molte zone, soprattutto in alcuni quartieri delle grandi città. Da allora divampa un dibattito politico, caratterizzato da tocchi esotici e folcloristici (daremo la stella al sindaco sceriffo?); i talk-show televisivi trasmettono fiumi di parole – pareri, suggerimenti, divagazioni – di esperti e quasi-esperti ed il governo annuncia l’assunzione di altri 50-60mila poliziotti.
Fra tante voci mi sembra saggia quella di Fulvio Scaparro, sul Corriere della Sera del 15 febbraio: «Mi sembra discutibile usare troppo spesso il termine “emergenza” che dovrebbe essere limitato a circostanze o eventualità impreviste e a situazioni pubbliche pericolose che richiedono provvedimenti eccezionali. Molti dei reati che affliggono la nostra convivenza non sono affatto imprevedibili e se siamo ridotti a chiedere provvedimenti eccezionali lo si deve in buona parte alla scarsa capacità di previsione e di prevenzione».


Per prevedere, e prevenire, bisogna conoscere; varrebbe allora la pena tenere presente, nel suggerire riforme e rimedi, che la mappa del delitto ricorda quella dell’Africa medioevale: una breve fascia di terreno noto e poi… hinc sunt leones.
Ricordate il vecchio Capannelle che mangia pasta e fagioli nella scena finale del capolavoro di Monicelli? Ha vinto lui, hanno vinto i suoi soci pasticcioni, hanno vinto i loro discendenti – diciamolo pure, meno pittoreschi e simpatici – e hanno vinto alla grande. È lui, il solito ignoto, l’autore del 94, o 97%1, dei furti denunciati, e, logicamente, del 100% di quelli per i quali non è stata sporta denuncia.
La figura 1 mostra le percentuali dei reati non risolti2 dalle forze di polizia3 per il periodo 1994-1996 (l’ultimo anno per il quale tutti i dati sono disponibili), e la figura 2 analizza le percentuali del furto, prendendone in considerazione alcuni dei tipi più diffusi.
In assoluto, i borseggiatori corrono i rischi minori: nel 1996, solo per il 2,97% delle denunce la polizia è riuscita ad identificare l’autore, mentre nei “delitti di droga” (fabbricazione e spaccio) l’autore è conosciuto nel 100% dei casi. Non c’è da stupirsi, visto che nella lotta al narcotraffico non si attende la segnalazione del cittadino e la polizia intraprende autonomamente lunghe indagini, spesso svolte in collaborazione con colleghi stranieri, delle quali la denuncia rappresenta l’atto finale.
Lascia più perplessi constatare che restano irrisolte percentuali rilevanti di reati nei quali la vittima – che ha presentato denuncia e si ritiene quindi cooperi al successo dell’indagine – ha sicuramente avuto contatti abbastanza prolungati tali da permetterle di fornire agli investigatori, se non proprio tutti i dati anagrafici, almeno descrizioni esaustive e informazioni abbastanza dettagliate sui malviventi. Mi riferisco, per esempio, al 23% delle estorsioni e al 56% delle truffe che sono commesse da ignoti.
Un testo ufficiale del governo americano (Crime in the United States, l’annuario statistico dell’Fbi) afferma, per giustificare percentuali di casi irrisolti analoghe a quelle italiane, che, se la grande maggioranza dei crimini resta impunita, si riesce, quanto meno, a conoscere l’identità della maggioranza degli assassini e dei violentatori. Una scarsa consolazione, sulle due sponde dell’oceano: negli Stati Uniti restano sconosciuti il 33% degli assassini e il 48% degli stupratori, da noi “solo” il 18% di questi ultimi, ma ignoriamo chi abbia commesso il 55% degli omicidi.
Se si guarda, poi, alle cifre in assoluto, ci si rende conto che sono proprio i reati che hanno la più bassa percentuale di “soluzione”, e si tratta, come già accennato, dei vari tipi di furto4, a rappresentare la stragrande maggioranza dell’attività delittuosa (quasi il 58%). È vero che i danni materiali e psicologici provocati dai “grandi” crimini sono enormi, ma non è giusto sottovalutare quanto possano dolorosamente incidere, e non solo dal punto di vista finanziario, un borseggio, uno scippo, un furto nella propria abitazione: e al danno si aggiunge la beffa. Le cifre della tabella 1 sono più eloquenti di tanti discorsi sulle cause del senso di insicurezza diffuso nella popolazione italiana.
Tutti sogniamo l’oasi felice dove non si commettono reati, o, se si commettono, il colpevole è subito identificato e punito. Isernia è balzata agli onori della prima pagina, quando una ricerca della Lega delle autonomie locali (La qualità della sicurezza pubblica nelle 103 province italiane) la ha indicata come la provincia più sicura del Paese. La ripartizione per regione dei reati denunciati è riportata nella tabella 2.
L’efficienza delle indagini varia da regione a regione (fig. 3): soltanto in Molise la polizia scopre la maggioranza dei presunti autori dei reati (circa il 57%), mentre nel Lazio gli ignoti superano l’80%. In Basilicata si sporgono meno denunce (1,89 per ogni cento abitanti); gli abitanti del Lazio hanno invece anche questo primato (6,16), seguiti a ruota dai liguri (6,04) (fig. 4).
Si è portati spontaneamente a ritenere che ad una maggiore frequenza di denunce corrisponda una maggiore incidenza di reati, o addirittura che le cifre nelle tabelle indichino con precisione quanto si sia infranta la legge. Ma di come le statistiche giudiziarie debbano essere prese, a questo riguardo, con beneficio d’inventario, parleremo fra poco.
I dati ufficiali indicano, con certezza, solo quale sia il volume della criminalità noto alle forze di polizia e al sistema giudiziario e quanto sia efficace la loro azione di contrasto; ma sono sufficienti a delineare un panorama poco rassicurante.
Che il problema non sia solo italiano appare evidente se si confrontano le nostre statistiche con quelle degli altri Paesi: se, almeno in Europa, i dati rilevano una maggiore efficienza della polizia, dovunque la maggioranza dei colpevoli resta impunita.
In Germania si risolve il 49% dei casi, contro il 30% della Francia e il 26% dell’Inghilterra5; negli Stati Uniti, invece, s’individua il colpevole in meno del 22% dei casi (fig. 5). Al di là del dato totale, la differenza di sistema legale (basato nei Paesi anglosassoni sulla common law) rende ogni comparazione molto dubbia. Va inoltre ricordato, per quanto riguarda gli Stati Uniti, che l’autonomia e il numero delle polizie statali e locali inficiano notevolmente l’esattezza dei dati federali, che hanno spesso lacune di notevole dimensione e rimpiazzano, talvolta per interi Stati, con stime le cifre reali.
È possibile, invece, compiere un’analisi più dettagliata raffrontando Francia, Germania e Italia, proprio perché il sistema della giustizia è sostanzialmente analogo e, di conseguenza, è simile la classificazione dei reati (figg. 6 e 7). I tre Paesi hanno un tasso di reati denunciati molto diverso, rispettivamente: 6,31, 8,17 e 3,99 per ogni 100 abitanti (1995).
Le percentuali assolute di successo variano notevolmente, ma le linee di andamento, con l’eccezione dell’omicidio volontario in Italia e delle violenze carnali in Germania, sono molto simili (fig. 8); in altre parole, dovunque, per gli stessi tipi di reato, trovare un colpevole presenta le stesse difficoltà.
Il “ladro” è il più bravo a sfuggire alla polizia: in Italia s’identifica il 5,77% degli autori dei furti e il 2,97% dei borseggiatori, in Francia il 12,29 e il 3,73, in Germania il 32,80 e il 6%. Di fronte ad un dato che indica, per il borseggio, l’impossibilità della repressione, anche dove si ottengono risultati nettamente più positivi per altri reati, andrebbero studiati ed attuati specifici interventi di prevenzione, tesi a diminuire le occasioni – soprattutto le situazioni di sovraffollamento – che favoriscono il lavoro, davvero privo di rischi, del borseggiatore.
Il problema fondamentale, per quanti vogliano porre mano a una seria politica di lotta al crimine, è che, per misurare esattamente l’efficacia dell’azione repressiva, bisognerebbe raffrontare i “casi risolti”, non con i “reati denunciati”, ma con i “delitti commessi”, un dato questo che non esiste, e non può esistere nelle statistiche ufficiali.
Identificare la “cifra oscura” del crimine – in altre parole fornire una stima attendibile del crimine ignorato dalle autorità giudiziarie – è un’impresa che coinvolge da decenni gli esperti di tutto il mondo.
Non parliamo del delitto perfetto, quello che non è riconosciuto come tale, l’azione dolosa (un assassinio, una lesione, un sabotaggio o un incendio) che appare un incidente o sfugge, addirittura, alla percezione degli altri. Si può presumere che i delitti perfetti siano casi molto sporadici, soprattutto in una società del sospetto, come quella contemporanea.
Ben altra incidenza hanno i casi che non sono denunciati: se si vuole davvero conoscere l’estensione e la struttura della criminalità è questo il dato che va accertato.
Da alcuni decenni, il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti e l’Home Office (Ministero dell’Interno) inglese conducono regolarmente un’inchiesta su un campione molto alto di cittadini per accertare se abbiano subito reati nell’anno precedente e se li abbiano eventualmente denunciati. Queste “inchieste di vittimizzazione” forniscono una stima abbastanza attendibile della diffusione della criminalità quotidiana, quella che colpisce la persona comune, e ne rilevano le paure e le aspettative nei confronti del sistema giustizia.
Il metodo si è progressivamente diffuso in campo internazionale e queste indagini sono oggi pratica comune in molti Paesi6.
Da noi sono state condotte inchieste locali di vittimizzazione in circa 170 comuni nel 1990-91; l’Italia ha partecipato all’Icvs7 nel 1992 e l’Istat, dopo aver incluso delle sezioni nelle indagini multiscopo tra il 1987 e il 1990, ha lanciato nel 1998 un’indagine nazionale su un campione di 50mila persone, i cui risultati non sono, purtroppo, ancora disponibili.
Limitiamoci, nell’attesa di dati, a considerazioni basate sull’esperienza degli altri Paesi e a quanto accadeva sette anni fa.
La propensione a denunciare un reato varia, anzitutto, secondo il tipo. Intervengono fattori culturali e condizionamenti sociali: si pensi alle violenze carnali, nelle quali la vittima teme, ahimè spesso a ragione, di subire un ulteriore, e altrettanto grave, danno se la sua vicenda sarà conosciuta. La stessa vittima può avere, poi, una responsabilità penale, come nei casi di corruzione-concussione.
Il rapporto con chi ha commesso il delitto può essere un ulteriore fattore di remora: richiede spesso molto coraggio denunciare un parente, un amico, un conoscente.
Infine, conta la gravità del danno, materiale, fisico o psicologico, subito. Nell’inchiesta americana si chiede, per i reati contro la proprietà, di indicare l’ammontare della perdita: per la quasi totalità di quelle sotto i 50 dollari non viene sporta denuncia.
Esistono poi fattori collegati: si è obbligati a rivolgersi alla polizia quando si tratta di furti per i quali si può ottenere un indennizzo assicurativo (da qui l’altissima incidenza di denunce per il furto d’auto e, nei Paesi più ricchi, per quello in appartamento) o si debbono svolgere pratiche collegate (richiesta di duplicati di documenti, blocco di carte di credito e così via).
Infine, il dato più preoccupante: la mancanza di fiducia nella polizia, e sembra essere questa una caratteristica italiana. Nel 1992, per esempio, gli intervistati hanno risposto di non aver denunciato i furti in appartamento nel 34,5% dei casi (contro il 16,2% in media dell’Europa occidentale) e le rapine nel 58,4% (contro il 51,9%); mentre per la maggioranza degli intervistati degli altri Paesi la ragione era stata la “non gravità” del danno, da noi la gran parte dei reati era restata sconosciuta all’autorità perché «la polizia non poteva farci niente» oppure «non avrebbe fatto niente».
Possiamo sperare che, quando saranno pubblicate, le cifre raccolte dall’Istat siano diverse da quelle americane e non dovremo leggere affermazioni simili a quella del Sourcebook of Criminal Statistics del Dipartimento della Giustizia: «Circa il 63% dei reati commessi non sono mai stati portati all’attenzione delle autorità». È certo, però, che le stime internazionali parlano di una percentuale di reati non denunciati variabile, secondo il tipo, fra il 35 e il 65%.
E allora s’impone una considerazione finale. Abbiamo un sistema giudiziario e un sistema penitenziario che non riescono a fare fronte ad un quarto dei reati denunciati, vale a dire, a un presumibile 12% del volume del crimine in Italia.
Cosa accadrebbe se, improvvisamente, i cittadini italiani decidessero di rivolgersi all’autorità ogni volta che sono vittime di un reato? Ed ancora, cosa succederebbe se le forze dell’ordine divenissero più efficienti e, non chiediamo troppo, raggiungessero i risultati dei loro colleghi tedeschi?


Note

1 Le Statistiche giudiziarie penali pubblicate annualmente dall’Istat riportano due serie di dati:
• delitti denunciati all’Autorità giudiziaria dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei Carabinieri e dal Corpo della Guardia di Finanza (questi dati non comprendono dunque i reati denunciati direttamente all’Autorità giudiziaria da altre istituzioni e da privati);
• delitti denunciati per i quali l’Autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale.
Le due serie sono comparabili solo nelle grandi suddivisioni, perché i reati seguono una differente classificazione. In questo caso il 94% risulta dalla prima serie, il 97% dalla seconda. In linea generale, quest’ultima disegna un panorama più pessimistico: l’83,04% di reati “d’autore ignoto” nel 1996, contro il 74,84 riportato dalle forze di polizia.
In questo articolo, sono usate le “statistiche di polizia” perché permettono una comparazione con le statistiche giudiziarie straniere, che si basano su dati della stessa origine e presentano un’analoga classificazione dei reati.
2 Il termine “risolto” va interpretato in senso molto lato, in quanto l’autore di reato identificato dalla polizia può risultare innocente durante l’iter giudiziario; in questo senso si preferisce in molti Paesi usare il termine “chiarito” che ha un valore un po’ meno assoluto.
3 Per brevità, si usa qui il termine “polizia” per indicare il complesso delle forze dell’ordine rappresentato dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei Carabinieri e dal Corpo della Guardia di Finanza.
4 Non sono incluse le rapine che sono classificate sotto i reati violenti.
5 Nel Regno Unito le statistiche giudiziarie sono pubblicate per Inghilterra (che include il Galles), Scozia e Irlanda del Nord, in quanto sia le forze di polizia sia il sistema della giustizia sono diversi e la procedura penale presenta differenze, anche notevoli.
6 Esiste, dal 1989, anche un’inchiesta comparativa internazionale, l’Icvs (International Crime Victim Survey), condotta da un istituto dell’Onu, l’Unicri, in collaborazione con Olanda e Inghilterra, che ha coinvolto finora circa sessanta Paesi.
7 Vedi nota precedente. L’Italia non ha partecipato alla successiva fase dell’inchiesta, che ha una cadenza quadriennale.


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