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STORIA DEI GIUBILEI
tratto dal n. 02 - 1999

Il Papa penitente sulle memorie degli apostoli


Quello del 1575 è il primo Anno Santo dopo il Concilio di Trento. Fu preparato da Gregorio XIII insieme all’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo. La gente rimase stupita nel vedere il Papa ormai anziano andare per sei volte pellegrino alle quattro Basiliche patriarcali


di Serena Ravaglioli


A papa Gregorio XIII Boncompagni non sfuggiva di certo l’importanza di sfruttare l’occasione dell’Anno Santo del 1575 per dare una dimostrazione del rinnovato vigore della Chiesa e del nuovo clima spirituale instauratosi dopo la chiusura del Concilio di Trento e la promulgazione dei decreti conciliari. Il Pontefice cominciò dunque a occuparsi della preparazione del Giubileo con grande sollecitudine, nel 1573, poco tempo dopo essere stato eletto.
Furono presi i consueti provvedimenti di carattere organizzativo, relativi agli alloggi e agli approvvigionamenti, alle norme per rafforzare l’ordine pubblico e la sicurezza, alla costruzione e al restauro di ponti, strade ed edifici, ma si insistette soprattutto sul lato morale e spirituale della preparazione, in modo che la città potesse offrire ai pellegrini un’immagine inedita di austerità e di rigore, ben lontana dagli sfarzi e dalla mondanità che avevano caratterizzato la prima metà del secolo. Per questo motivo, fra l’altro, furono per la prima volta aboliti i festeggiamenti del carnevale e tutte le altre manifestazioni del genere; il denaro comunemente adibito alla loro organizzazione fu, per disposizione pontificia, usato dai Conservatori per opere di carità. Raccomandazioni particolarmente pressanti furono rivolte ai cardinali: in un concistoro segreto, tenutosi nel novembre 1574, il Papa esortò i principi della Chiesa a non dare scandalo con il loro contegno e con quello dei loro familiari: «A forzarvi di sradicare dagli animi vostri, mediante la divina grazia, le disordinate passioni e a disfare i cattivi abiti se vi sono».
La promulgazione della bolla d’indizione Dominus ac Redemptor noster Iesus ebbe luogo il 20 maggio 1574, giorno dell’Ascensione, in anticipo rispetto al solito; la scelta della festività aveva chiaramente un carattere simbolico, alludendo all’apertura delle porte del cielo garantita ai peccatori dall’indulgenza giubilare. Subito dopo furono inviate a tutti i vescovi della cristianità i brevi per la pubblicazione del Giubileo e ai principi cattolici lettere particolari d’invito. A tutti i sacerdoti di Roma e d’Italia fu raccomandato di spiegare il significato dell’anno giubilare ai loro fedeli.
A sé Gregorio XIII riservò il ruolo di pellegrino modello, di esempio di fede e devozione. La vigilia di Natale diede inizio all’Anno Santo, con la solenne cerimonia dell’apertura della Porta Santa, ormai divenuta consuetudine. Già il 3 gennaio compì per la prima volta il prescritto pellegrinaggio alle quattro Basiliche, che ripeté poi altre cinque volte nel corso dell’anno. Suscitò profonda impressione e ammirazione il fatto che, nonostante l’età avanzata (aveva settantacinque anni), salì la Scala Santa in ginocchio e percorse a piedi la strada da Porta San Paolo alla Basilica ostiense. Fu poi instancabile nel presenziare a tutte le solennità religiose e nell’accordare udienze, cui dedicava diverse ore ogni giorno.
Degno compagno del Papa, sia nella preparazione sia nello svolgimento dell’Anno Santo, fu san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Già nell’autunno 1574 Gregorio XIII lo mandò a chiamare per averlo a fianco in questa occasione. Ancora prima, in settembre, san Carlo aveva indirizzato ai suoi diocesani una lettera pastorale nella quale, spiegando l’importanza e l’origine della pratica giubilare, li esortava a compiere il pellegrinaggio a Roma nel più santo dei modi: «Benché in questi nostri infelici tempi […] il religioso esercizio del pellegrinare sia assai intiepidito, per questo non dovete ritirarvi […] anzi maggiormente accendervi essendo appunto questo il tempo nel quale i veri cattolici […] devono mostrare zelo per la fede e la pietà loro, imitando e rinnovando l’antica devozione».
Convocato dal Papa, san Carlo si mise in viaggio e volle che anche questo fosse una preparazione devota al Giubileo. Passando per vie impervie e difficili, non curandosi del freddo, non venendo mai meno al rispetto del digiuno dell’Avvento, visitò Camaldoli, la Verna, Vallombrosa e Monte Oliveto, trascorrendo in ognuno di questi santuari intere notti immerso nella preghiera. Giunto finalmente a Roma il 21 dicembre, dopo essersi presentato al Pontefice, si ritirò nel convento di Santa Maria degli Angeli dove passò in preghiera ed esercizi di penitenza i giorni precedenti la vigilia di Natale, quando fu al fianco di Gregorio XIII all’apertura della Porta Santa.
Compì le quindici visite alle quattro Basiliche, previste per i pellegrini non romani, sempre a piedi, talora scalzo. Pregava per tutta la strada a voce alta non distraendosi mai, limitandosi a ricambiare frettolosamente con un cenno chi lo salutava, e tralasciando anche questo saluto se si trattava di persone amiche o parenti; cosa che avvenne con i principi Colonna, di cui uno era suo cognato: il cardinale fece proprio finta di non vederli pur essendo quelli scesi dalla carrozza per rendergli omaggio. Oltre a quella di prammatica alle Basiliche, Carlo Borromeo compì più volte la visita alle Sette Chiese, secondo la consuetudine da poco reintrodotta da san Filippo Neri, e si recò anche in tutte le altre chiese dove era conservata qualche reliquia o che erano sede di particolare devozione presso il popolo. Ogni giorno, inoltre, si recava alla Scala Santa e la saliva in ginocchio.
Tutti erano ovviamente molto ammirati dal suo comportamento, che fra l’altro si accompagnava a continui atti di generosità e carità, come l’aver messo a disposizione dei pellegrini il suo palazzo cardinalizio a Santa Prassede. La venerazione nei suoi confronti cresceva ogni giorno. Il biografo del Borromeo, Giovan Pietro Giussano, da cui sappiamo tutte queste notizie, racconta in particolare che Cesare Baronio, devotissimo dell’arcivescovo di Milano, come molti dei seguaci di san Filippo Neri, volle conservare per sé le scarpe che san Carlo aveva indossato per le sue visite giubilari e le tenne come cimelio prezioso e persino miracolante.
L’esempio dell’arcivescovo fu seguito da molti dei suoi diocesani e di fatto quello dei milanesi fu uno dei gruppi più numerosi tra quelli convenuti a Roma. L’Anno Santo 1575 fu comunque nel complesso molto frequentato: dati abbastanza certi permettono di stabilire una cifra di più o meno 400mila pellegrini. Per diminuire i disagi dell’affollamento, Gregorio dispose che il numero delle visite potesse essere ridotto se queste fossero compiute in forma processionale. Le lunghe sfilate di pellegrini oranti e salmodianti divennero così uno spettacolo caratteristico della vita cittadina.
Fra i tanti devoti venuti a Roma si può ricordare anche il triste caso del principe ereditario Carlo Federico di Clèves. Noto per la sua pietà, assistette alla cerimonia inaugurale in San Pietro; i primi giorni di gennaio ricevette la spada e il cappello benedetti dal Papa, dono onorifico comunemente riservato ai re e agli imperatori; Gregorio XIII nutriva infatti grandi speranze di poter influire per mezzo di Carlo Federico sulla conversione dei principi tedeschi protestanti. Ma pochi giorni dopo il giovane si ammalò di vaiolo e il 9 febbraio morì. Il Papa ordinò che fosse sepolto con tutti gli onori e con la più grande pompa nella chiesa nazionale tedesca di Santa Maria dell’Anima.
I frutti che ci si era augurati di conseguire con quell’Anno Santo furono certamente raccolti: i giudizi dei contemporanei furono tutti di lusinghiera ammirazione per il «silenzio, fervore e devozione» che contraddistinguevano Roma, i suoi abitanti e i suoi visitatori; non furono pochi, poi, i casi di conversioni. Annotano gli Avvisi di Roma (una specie di cronaca quotidiana dei fatti salienti accaduti nella città): «Per l’esempio di tante opere sante che si fanno in Roma sono tornati spontaneamente alla fede cristiana alcuni tramontani [pellegrini provenienti da Oltralpe] che erano a quella per i loro errori lontani».


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