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ORTODOSSI
tratto dal n. 08/09 - 2003

Come riprendere il dialogo tra Patriarcato di Mosca e Roma

Rimane la speranza


Intervista con Kirill, metropolita di Smolensk e Kaliningrad: «Oggi, nonostante l’immutata posizione della Chiesa ortodossa russa, le nostre relazioni sono tornate indietro al periodo precedente il Concilio Vaticano II. Non rimane altro che sperare, pregare e lavorare affinché il ritorno alle cose buone già sperimentate nei nostri rapporti non diventi un fatto di un futuro lontano»


di Gianni Valente


 Kirill Gundjaev, metropolita di Smolensk e Kaliningrad

Kirill Gundjaev, metropolita di Smolensk e Kaliningrad

Nel barometro dei rapporti tra Roma e Mosca la lancetta sembra incollata a segnare tempi di gelo e burrasca. Anche nella prima metà del 2003 nuovi contrasti hanno reso più spesso il muro di scontento sorto negli ultimi dieci anni tra la Santa Sede e il Patriarcato che guida la Chiesa numericamente e politicamente più rilevante dell’ortodossia. E nelle ultime querelle, con il patriarca Aleksij II afflitto da perduranti problemi di salute, un ruolo di primo piano è stato assunto dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Da lì sono partite le bordate più forti verso la recente “politica russa” del Vaticano. Come le due note pubblicate in contemporanea lo scorso 19 maggio per protestare contro l’istituzione di due nuove diocesi cattoliche in Kazakistan e per manifestare il proprio niet sulle voci, definite «stupefacenti», di una possibile sosta del Papa in territorio russo, durante il viaggio ipotizzato in Mongolia, per restituire alla Chiesa ortodossa la copia dell’icona di Kazan custodita nell’appartamento pontificio.
Kirill Gundjaev, metropolita di Smolensk e Kaliningrad, è il deus ex machina dell’influente dicastero della Chiesa ortodossa. Interpreta il suo ruolo con grande abilità, tessendo rapporti in tutto il mondo e ispirando tutte le iniziative di rilievo pubblico messe in campo dal Patriarcato ortodosso.
Nell’intervista che segue, molte risposte danno il senso del vicolo cieco in cui sembra incagliato il dialogo ecumenico degli ultimi anni. Ma tra le righe si accenna anche ad aspetti nuovi (ad esempio l’esplicita apertura di credito verso il nuovo rappresentante vaticano in Russia) che in un futuro non lontano potrebbero mutare lo scenario.

Nelle polemiche seguite all’istituzione delle diocesi cattoliche in territorio russo, già lo scorso anno, da parte cattolica è stato richiamato anche l’argomento dei diritti civili e delle libertà di autogestione che un sistema democratico deve garantire alle diverse comunità religiose. Come giudica il ricorso a simili argomenti legali nei rapporti tra Chiese sorelle?
KIRILL: Non nascondo che una tale argomentazione da parte cattolica ha suscitato e continua a suscitare perplessità da parte nostra. Che cosa c’entrano le norme giuridiche, quando si parla di dialogo tra le Chiese, o più esattamente di negazione dei principi del dialogo? Il fatto che il Vaticano prenda la decisione di istituire delle proprie diocesi sul nostro territorio, dove gli ortodossi sono la maggioranza confessionale, senza alcuna consultazione con la Chiesa ortodossa russa, ci costringe a dubitare della reale dedizione di Roma all’idea del miglioramento delle relazioni interecclesiali. Dopo aver mostrato una tale incapacità di relazioni con la “Chiesa sorella”, ogni discorso sull’“aspetto giuridico” del problema o sui “diritti umani” assomiglia a una mistificazione, a un tentativo di portare la discussione fuori binario.
Io sono profondamente convinto che le nostre Chiese debbano condurre un dialogo aperto e onesto. E non c’è dubbio che ogni comunità di credenti abbia il diritto di costituirsi liberamente in accordo con le leggi civili dell’uno o dell’altro Paese. Tuttavia la nostra impressione davanti al costituirsi delle diocesi cattoliche è profondamente diversa rispetto a quella che riceviamo quando si strutturano comunità buddiste, musulmane o protestanti. Il Vaticano stesso ha dichiarato molte volte di considerare la Chiesa ortodossa come una “sorella”, con la quale ha intenzione di collaborare e non di concorrere. Questo, secondo l’interpretazione del Protocollo firmato dai rappresentanti della Santa Sede e del Patriarcato di Mosca durante le trattative bilaterali di Ginevra del 1992, significa che le decisioni più importanti, che toccano gli interessi degli ortodossi e dei cattolici, vanno prese dopo consultazioni reciproche. Non molto tempo fa il Vaticano ha creato due nuove diocesi in Kazakistan, una delle quali è un’arcidiocesi centrale, il che di fatto significa la formazione in questo Paese di una struttura ecclesiastica centralizzata e parallela all’analoga struttura del Patriarcato di Mosca. I dirigenti del Vaticano avrebbero dovuto prevedere una reazione negativa da parte degli ortodossi, eppure non è stata fatta alcuna consultazione al riguardo con noi, così come è avvenuto lo scorso anno per le diocesi istituite in Russia.
Il vescovo Jerzy Mazur, espulso dalla Russia dopo le polemiche sulle nuove diocesi cattoliche, è stato nominato alla guida di una diocesi in Polonia. Per più di un anno la Santa Sede aveva insistito che gli fosse permesso di tornare alla sua diocesi in Siberia. Il suo trasferimento in Polonia non è forse un indizio che la Santa Sede vuole archiviare i contrasti recenti con la Chiesa russa?
KIRILL: La questione del rilascio del visto a cittadini stranieri da parte delle autorità russe non è assolutamente legata alla problematica ortodosso-cattolica e quindi non può diventare argomento di discussione tra le nostre Chiese. La Chiesa ortodossa russa non ha in alcun modo fatto pressioni per la privazione del visto ai sacerdoti cattolici. Per quanto ne so, si tratta di problemi che hanno alcune singole persone con la legge russa. Noi riteniamo che lo spostamento del vescovo Jerzy Mazur da una sede all’altra sia un affare interno del Vaticano, che non ha nulla a che vedere coi rapporti tra le due Chiese.
Negli ultimi mesi si è riproposta la possibilità che il Papa riconosca alla Chiesa greco-cattolica ucraina il rango di Patriarcato. Come valutate questa ipotesi?
KIRILL: Noi ovviamente siamo ben informati riguardo ai progetti dei greco-cattolici, in quanto essi vengono apertamente propagandati. Inoltre nelle loro celebrazioni i greco-cattolici commemorano già il proprio capo, il cardinale Husar, come “patriarca”. Dico subito che la Chiesa ortodossa russa è assolutamente contraria a questi progetti. Alla nostra Chiesa appartiene la stragrande maggioranza dei credenti dell’Ucraina. I greco-cattolici in questo Paese rappresentano soltanto una minoranza confessionale. Essi vivono perlopiù in tre regioni dell’Ucraina, quelle di Leopoli, Ternopol e Ivano-Frankivsk. Al riguardo non si capisce perché la dirigenza della Chiesa greco-cattolica ucraina intenda spostarsi a Kiev, nell’oriente ortodosso dell’Ucraina, dove di greco-cattolici o non ce n’è proprio, o sono comunque pochissimi. A causa del suo carattere strettamente locale, la Chiesa greco-cattolica non può pretendere lo status di Chiesa ucraina nazionale.
Identica perplessità è suscitata dal desiderio dei greco-cattolici di avere in Ucraina un patriarca. L’Ucraina è un Paese prevalentemente ortodosso, quindi ha già un patriarca che è erede storico del capo della Chiesa di Kiev: è il patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Al riguardo sorge la domanda circa gli scopi della creazione in Ucraina di un sedicente Patriarcato parallelo; noi vediamo in questi piani l’intenzione dei greco-cattolici di presentarsi come una specie di Chiesa “nazionale”, quindi alternativa alla Chiesa ortodossa ucraina. Il che contraddice lo spirito delle relazioni proclamate dal Vaticano nei confronti della Chiesa ortodossa intesa come “sorella”. Il risultato inevitabile di un passo simile sarebbe il peggioramento catastrofico delle relazioni tra le nostre due Chiese.
Erigendo il proprio Patriarcato a Kiev, dove avvenne nel 988 il “battesimo della Rus’”, i greco-cattolici ucraini vedrebbero confermata la propria continuità con quella “prima sede” del cristianesimo nell’Oriente europeo a cui anche il Patriarcato di Mosca fa risalire la propria legittimazione storica e canonica. Quali conseguenze avrebbe questo caso di eredità contesa?
KIRILL: Sono convinto che proprio questo sia il vero scopo degli sforzi attuali dei greco-cattolici: il carattere espansionistico dei loro piani è evidente. Tale carattere è confermato anche dai continui tentativi di impiantare la Chiesa orientale unita nelle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, come anche in Russia e in Kazakistan, spesso usando allo scopo dei proseliti ortodossi già di per sé compromessi.
In generale, pare che agli uniati ucraini non interessi molto che le loro pretese non abbiano alcun fondamento storico. L’unico erede della sede storica di Kiev è il Patriarcato di Mosca. Secondo la decisione del patriarca di Costantinopoli Geremia II, in seguito sostenuto dagli altri patriarchi d’Oriente, la Chiesa russa ricevette nel 1589 il nuovo status di Patriarcato, e il suo capo ricevette il titolo di patriarca di Mosca e di tutte le Russie. La dizione “di tutte le Russie” presuppone la giurisdizione sul territorio dell’attuale Ucraina e della Bielorussia. Ricordo che l’Unione di Brest, che alcuni vescovi russi occidentali conclusero arbitrariamente con Roma, risale al 1596, sette anni dopo i fatti sopra esposti. Dopo essere stata sottoscritta, l’Unione fu valutata in modo estremamente negativo dalla maggioranza dei sacerdoti e dei credenti della Russia occidentale. Fin dall’inizio essa ebbe carattere localistico e fu impiantata con rozza violenza. Nessun vescovo greco-cattolico ebbe mai un titolo parallelo al titolo del patriarca, capo della Chiesa ortodossa russa. L’apparizione di un tale parallelismo nel XXI secolo risulta assolutamente incomprensibile. Si può capire solo come un tentativo di rianimare l’ecclesiologia del tempo delle crociate, quando, come è noto, vennero istituiti in Oriente dei patriarcati cattolici paralleli a quelli ortodossi.
Monsignor Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, saluta il patriarca Aleksij II, il 20 febbraio 2003

Monsignor Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, saluta il patriarca Aleksij II, il 20 febbraio 2003

Ci sono ambienti e singoli ecclesiastici cattolici che vi sembrano particolarmente prevenuti verso la Chiesa ortodossa russa?
KIRILL: Non vorrei tanto parlare di quelli che distruggono le nostre relazioni, ma sottolineare che molti gerarchi, teologi e sacerdoti cattolici soffrono come noi per quanto è accaduto e rimangono, nonostante tutto, fedeli alla linea del Concilio Vaticano II.
Sia lei che il patriarca avete ricevuto il nuovo rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa Antonio Mennini, cosa che non era accaduta coi suoi immediati predecessori. Come giudica i suoi primi mesi di missione?
KIRILL: Il rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa da poco nominato, l’arcivescovo Antonio Mennini, ha proclamato fin dall’inizio di essere dedito alla causa del miglioramento delle relazioni tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa romano-cattolica. Vorremmo molto avere fiducia nella sincerità delle sue dichiarazioni, sperando che faccia il possibile, per quello che dipende da lui, per cambiare in meglio la situazione.
Negli ultimi tempi, diversi personaggi politici russi e anche stranieri, come il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, hanno affermato di voler favorire la riconciliazione tra Patriarcato di Mosca e Santa Sede. Come giudicate simili offerte di “mediazione” provenienti dal mondo della politica?
KIRILL: Giudicando non in base alle voci, diffuse ampiamente dalla stampa negli ultimi tempi, ma a partire dalle dichiarazioni effettive, si può notare che i rappresentanti delle autorità russe lasciano alle Chiese la responsabilità di risolvere tra di loro le loro proprie incomprensioni. Penso che la situazione sia simile anche in Italia. La Chiesa ortodossa russa e la Chiesa romano-cattolica non sono rappresentanti di due Stati in conflitto. Noi abbiamo canali perfettamente adeguati per i nostri rapporti, che a livello ufficiale non sono mai stati interrotti. Quando però si tratta di adempiere agli obblighi reciproci, vediamo purtroppo che la controparte cattolica usa la politica del doppio binario: dice una cosa, ma nella pratica ne fa una completamente diversa. Mi pare che una soluzione positiva dei problemi esistenti non dipenda dal far partecipare l’una o l’altra struttura statale al processo delle trattative, quanto anzitutto dalla volontà sincera della parte cattolica di superare i problemi esistenti.
I rappresentanti del Patriarcato di Mosca hanno annullato all’ultimo momento la loro partecipazione al Simposio sul primato del successore di Pietro, organizzato a Roma lo scorso maggio dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Quale forma di esercizio del primato petrino potrebbe favorire l’unità tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse?
KIRILL: All’inizio era previsto che a tale Simposio prendessero parte anche dei nostri rappresentanti, ma dopo che il 17 maggio il Vaticano ha annunciato la creazione di nuove diocesi in Kazakistan, senza essersi consultato con la Chiesa ortodossa russa, i dirigenti della Chiesa ortodossa russa hanno preso la decisione di astenersi dalla partecipazione al forum. Non possiamo concedere l’illusione delle “buone relazioni” quando a tali relazioni viene inferto un danno grave.
Le azioni dei capi della Chiesa romano-cattolica hanno suscitato sofferenza e profonda delusione nel gregge ortodosso della nostra Chiesa. E il ruolo del Pontefice, a mio parere, dovrebbe consistere nella capacità di guarire dinamicamente queste ferite. Bisogna fare degli sforzi per dimostrare ai nostri fedeli che il Vaticano non è un nemico, e che i suoi appelli al dialogo sono sinceri.
Sono necessarie consultazioni preventive con la Chiesa ortodossa russa prima di prendere delle decisioni legate ai mutamenti dello status amministrativo delle strutture cattoliche in tutti i Paesi della Csi. Bisogna che ci sia un controllo sull’attività degli ordini religiosi in questi Paesi, in modo che la loro presenza corrisponda a reali esigenze pastorali. Non è ammissibile la pratica dell’arruolamento di bambini e adolescenti battezzati nell’ortodossia nelle organizzazioni cattoliche, in ostelli o altre strutture dove si fanno partecipare a funzioni religiose cattoliche, alla comunione, all’assistenza spirituale del clero cattolico. È assolutamente necessaria una forte presa di posizione del Vaticano riguardo all’allargamento della missione dei greco-cattolici all’Ucraina centrale e orientale, regioni dove non è mai esistita la Chiesa greco-cattolica, tanto meno in Russia e in Kazakistan. Infine bisogna garantire i diritti dei credenti della Chiesa ortodossa canonica nell’Ucraina occidentale, anche se per fare questo fosse necessario contrastare decisamente le posizioni dei politici nazionalisti russofobi e degli scismatici pseudortodossi. Sarebbero passi concreti, in seguito ai quali diventerebbe possibile valutare le reali intenzioni del Vaticano di sciogliere il ghiaccio che è sorto, non per colpa nostra, nell’ambito delle relazioni ortodosso-cattoliche.
Nella recente enciclica Ecclesia de Eucharistia il Papa ha ribadito che in circostanze particolari è lecito amministrare il sacramento eucaristico a fedeli ortodossi in riti cattolici e viceversa (ospitalità eucaristica). Come valutate questo riconoscimento della sostanziale unità tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse nelle cose essenziali della fede?
KIRILL: Nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia ci sono effettivamente delle affermazioni secondo le quali, in condizioni di particolare necessità, si permette di amministrare il sacramento dell’eucarestia e della penitenza a persone non in piena comunione con la Chiesa romano-cattolica. La stessa idea si trova anche nell’enciclica Ut unum sint, e ancora prima principî simili erano stati esposti al Concilio Vaticano II. L’enciclica non accentua l’attenzione sull’accoglienza reciproca di cattolici e ortodossi, in essa si parla genericamente di «Chiese o comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica» (4, 45). Tali fatti non significano assolutamente il riconoscimento della pienezza e della validità dei sacramenti nelle comunità ecclesiali non cattoliche. L’autentico sacramento dell’eucarestia, secondo la presentazione cattolica tradizionale, viene compiuto solo in quelle comunità che si trovano in comunione sacramentale con la Sede romana. La stessa eucarestia è pensata come sacramento della comunione con il successore dell’apostolo Pietro, come viene detto nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia. Quindi io non parlerei di reali progressi nella sfera dottrinale riguardo alla Chiesa ortodossa. L’ultima enciclica conferma le concezioni cattoliche della “secondarietà” dell’ecclesialità nell’ortodossia.
Certo, negli anni Sessanta e Ottanta del XX secolo avevamo fatto insieme un lungo cammino, che ci aveva permesso di valorizzare gli elementi positivi custoditi in ciascuna delle nostre diverse tradizioni ecclesiali, e in particolare le diverse competenze nella cura pastorale secondo i rispettivi territori. Oggi invece, nonostante l’immutata posizione della Chiesa ortodossa russa, le nostre relazioni sono tornate indietro al periodo precedente il Concilio Vaticano II. Non rimane altro che sperare, pregare e lavorare affinché il ritorno alle cose buone già sperimentate nei nostri rapporti non diventi un fatto di un futuro lontano.


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