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REPORTAGE DAL BRASILE
tratto dal n. 01 - 2003

«La speranza ha vinto la paura»

IL NEOREALISMO DI LULA


«La speranza ha vinto la paura» Così l’ex operaio sindacalista Lula aveva commentato i cinquantatré milioni di voti che lo hanno portato alla presidenza della Repubblica. Con il nuovo anno si insedia alla Casa Bianca brasiliana e non sarà solo un cambio di poltrona. Un viaggio per capire cosa farà per ridurre le condizioni di povertà in cui vivono milioni di brasiliani


di Stefania Falasca


Lula e la moglie salutano la folla subito dopo la cerimonia di insediamento a Palazzo del Planalto, Brasilia, il 1º gennaio 2003

Lula e la moglie salutano la folla subito dopo la cerimonia di insediamento a Palazzo del Planalto, Brasilia, il 1º gennaio 2003

E' inutile chiederlo ai brasiliani. Passerà. Di sicuro. Passerà come il capodanno di un nuovo corso storico. Il capodanno di Lula. Un bagno di folla lo ha aspettato al palazzo del Planalto di Brasilia. In 200mila, il 1� gennaio, hanno voluto aprire insieme a lui le porte ad un’altra via politica. Una folla, che in questo Paese dell’America Latina non s’era mai vista davvero per la cerimonia d’investitura d’un presidente. Ci sono voluti andare tutti. Anche Chico Buarque, la pietra miliare della musica brasiliana. E come poteva mancare dopo che il suo vecchio amico Gilberto Gil, come lui una delle più rappresentative stelle del firmamento musicale, era là nello staff del nuovo governo in veste di ministro della Cultura. C’è gloria per tutti in questo audace frullatore di idee della politica lulista. Già. Ma se alla Casa Bianca brasiliana hanno festeggiato l’entrata ufficiale di Luiz Inácio Lula da Silva alla guida del colosso latinoamericano e all’ex metallurgico non resta ora che rimboccarsi le maniche, qui, al centro della megalopoli di San Paolo, pulsante cuore finanziario del Brasile, il suo faccione da pedrero per il momento è ancora lì, appeso come una grande mela al lato del Banco Itaú; gli fanno da cornice le pareti specchiate dei grattacieli della Manhattan paulista. Del jingle elettorale "Agora é Lula" sono ancora tappezzate le strade. Non c’è angolo che non ne sia marcato. E non solo in queste strade centrali di primissimo mondo, pure in quelle che si diramano e degradano nelle enormi periferie del terzo e quarto mondo della sconfinata metropoli. Il coquero, che a Praza da República spacca cocchi all’ombra di trenta gradi, lo sfoggia fiero sul cappello: è il trofeo di una campagna elettorale memorabile, ma anche il segno di una speranza ancor più carica adesso di grandi aspettive di cambiamento; e perché no, anche di un rinato orgoglio nazionale.
Che non si è trattato di un semplice cambio di poltrona lo hanno già detto lo scorso 27 ottobre quei 53 milioni di voti che al tenace pedrero sono piovuti addosso come una benedizione. È stato il primo presidente dell’Occidente ad essere democraticamente eletto con un tale plebiscito. Ma tutti ora sanno che chi è al timone di questa meganazione, grande molto più dell’intera Europa, non avrà tanto tempo per accomodarsi a godere il sole nella piscina olimpionica della lussuosa residenza presidenziale firmata dall’architetto Nyemere, lasciata in eredità dall’uscente presidente Fernando Henrique Cardoso. Soprattutto sanno che non potrà permettersi il lusso di distrarsi dall’impegno di far quadrare i conti. Questi davvero dovrà dimostrare di saperli fare, e anche bene. Non fosse per i 235 miliardi di dollari di debito estero che pendono come una spada di Damocle sul vivo della nazione.
Dicono che Lula sia abile nell’accorciare distanze. Ne hanno preso atto per la maestria con cui finora ha saputo negoziare, stringendo alleanze iperboliche e gettando ponti a imprenditori e finanzieri. Negoziare, in fondo, è sempre stato il suo motto. Dicono anche che non sia un avventuriero, che sappia avanzare con estrema prudenza, tastando il terreno, e che il Brasile lui lo conosca come le sue tasche, in lungo e in largo. Anche a questo c’è da crederci. Di strada ne ha fatta tanta davvero. Del resto ha cominciato presto a macinare chilometri. Quando ancora bambino, dalla sperduta provincia pernambucana del nordest brasiliano, insieme alla madre e a otto fratelli, ha cominciato il suo lunghissimo esodo verso lo sconosciuto sud per ritrovarsi a vendere noccioline sulle spiagge di Santos. Abitava allora nel retrobottega di un bar dividendo i servizi igienici con i clienti del locale, ma da lì il passo sulle piazze sindacali del polo industriale di San Paolo è stato breve. Operaio doc con la stoffa del leader. Anche con i campus universitari ha tagliato corto. Ma sono tanti gli intellettuali pronti a giurare che la sua è una formazione perfettamente riuscita sul campo: da quando ha cominciato ad emergere come sindacalista, fondando poi il Partido dos trabalhadores (Pt), il suo corso di specializzazione è durato più di trent’anni. Non c’è da stupirsi allora se pure le sconfitte incassate sembrano avergli giovato. Inanellandone una dietro l’altra è riuscito a bruciare all’ultimo le tappe di una rischiosa corsa ad ostacoli in salita che lo separava dalla presidenza. E se la sua vittoria ha segnato la svolta di un Paese, visto che per la prima volta non uno dei tanti "Orléans e Bragança", come qui chiamano la serie dei blasonati presidenti, ma uno che viene dal basso è alla guida della nazione, Lula sa che solo adesso le sue spalle di ex metallurgico devono dar prova di saper affrontare l’impresa delle imprese: accorciare una buona volta la distanza esistente tra la vetta di un’estrema ricchezza e il fondo di un’abissale povertà. E sa anche che traghettare speranze può essere molto pericoloso. Perché le speranze non sono solo quelle di 46 milioni di persone strozzate dalla povertà e di quei 16 milioni che vivono sotto la soglia minima di sopravvivenza, ma anche di quella classe, non certo esigua, che non ha intenzione di mollare il benessere e i privilegi raggiunti e che, terrorizzata dal vedere polverizzarsi in un istante i propri capitali, sente soffiare sul collo l’alito gelido della catastrofe argentina.
Lula durante i festeggiamenti nella notte del 27 ottobre 2002 al termine 
dello scrutinio elettorale che lo ha proclamato vincitore

Lula durante i festeggiamenti nella notte del 27 ottobre 2002 al termine dello scrutinio elettorale che lo ha proclamato vincitore

"Miglioreremo il Brasile. Sono convinto di questo. E sento quest’obiettivo come la maggiore responsabilità che ho avuto in vita mia", ha dichiarato il neopresidente. Anche qui a Vila Mariana, il quartier generale del Pt, l’ottimismo non manca, e della frase storica pronunciata da Lula al momento dell’elezione, a esperança vinceu o medo (la speranza ha vinto la paura) ne hanno ormai fatto magliette da vendere. André Singer, il portavoce del presidente, non si stanca di ripetere quelle che sono le priorità del nuovo governo e le modalità con cui verranno attuate. La prima delle priorità è la lotta alla fame, progetto che costerà allo Stato sei miliardi di dollari l’anno e sarà realizzato anche con l’aiuto della Fao e della Banca interamericana di sviluppo. Tra le riforme principali c’è quella agraria, che sarà portata avanti con il consenso del Movimento dei sem terra, dei sindacati e dei proprietari rurali, e quella tributaria basata sull’equità, sulla progressività delle imposte e sull’alleggerimento degli oneri che gravano sulla produzione e sulle esportazioni. Ma l’immediato obiettivo del nuovo governo è la ripresa della crescita economica attraverso lo sviluppo del mercato interno e i massicci investimenti nel settore produttivo e sociale per favorire l’occupazione. "Per risolvere i gravi problemi sociali e la disuguaglianza non esiste altra ricetta", ha più volte ribadito il presidente: "Noi vogliamo uno Stato forte e socialmente giusto; non uno Stato imprenditore, ma uno Stato capace di pianificare e favorire lo sviluppo". Il nuovo ministro della Fazenda (finanza) ha già tuttavia annunciato che questo sarà un anno difficile, che i margini di manovra saranno molto stretti anche per gli accordi già siglati coll’Fmi dal precedente governo. "Ma se le congiunture internazionali lo permetteranno e Lula insieme alle forze del suo governo saprà giocare bene le sue carte", afferma l’economista Francisco de Oliveira, docente di scienze politiche all’Università di San Paolo, "la strada è quella di un capitalismo produttivo rispetto al capitalismo finanziario. Questa è la grande novità rappresentata dalla sua vittoria. E se questa nuova via si aprirà realmente", aggiunge ancora de Oliveira, "allora il mondo intero dovrà guardare con attenzione al Brasile".
«Per risolvere i gravi problemi sociali e la disuguaglianza non esiste altra ricetta», ha più volte ribadito il presidente: «Noi vogliamo uno Stato forte e socialmente giusto; non uno Stato imprenditore, ma uno Stato capace di pianificare e favorire lo sviluppo»
"Lula ha già dato prova del suo realismo politico ed ha già cominciato a muoversi nella prospettiva di una nuova via", sottolinea la sociologa Maria Victoria Benavides, fondatrice della Escola de Governo dell’Università di San Paolo, mirata alla preparazione della liderança politica. "Basta guardare", gli fa eco Carlos Tiburzio, responsabile per il Pt delle comunicazioni sociali, "anche solo a come ha saputo gestire sia la transizione che la costituzione del nuovo governo e ai viaggi intrapresi alla vigilia del suo insediamento. Prima di tutto in Argentina, poi in Cile e in Messico". E si tratta di mete che hanno certamente testimoniato un impegno politico preciso nel tentativo di risollevare le sorti economiche dell’area latinoamericana: rilanciare il Mercosur (Mercato comune del sud) e rafforzare i legami tra il Brasile e gli altri Paesi dell’America Latina. Lula pretende che il Brasile eserciti il suo ruolo naturale di leader latinoamericano e spinge perché l’America Latina negozi come blocco unito con gli Usa e l’Unione europea. Ed è stato a questo fine che durante la visita del 2 dicembre al presidente argentino Eduardo Duhalde ha lanciato la proposta di creare una moneta unica per i Paesi aderenti al Mercosur. Ma l’incontro più importante alla vigilia del suo insediamento è stato col presidente George Bush. Un incontro atteso. Anche dopo le parole forti pronunciate in passato da Lula contro l’Alca (Area di libero commercio delle Americhe) e la politica annessionistica statunitense. A stringere la mano al presidente nordamericano è andato con tre suoi fidati: l’economista Aloizio Mercadante, il sindaco petista di San Paolo Marta Suplicy, il neoministro delle Finanze Antonio Palocci. Alla fine dell’incontro alla Casa Bianca di Washington si era mostrato soddisfatto, "è andato oltre le aspettative", ha detto. Un’altra meta raggiunta nell’orizzonte aperto dal suo neorealismo. Ancora una volta un’altra distanza accorciata.
Prima di partire per Washington aveva incontrato a Brasilia anche il direttore del Fondo monetario internazionale, il tedesco Horst Kohler. Kohler si era detto "impressionato" da Lula. Ma lui forse, come ormai pochi altri, credeva ancora di incontrare un vecchio e rozzo esquerdista.


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