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ROSMINIANI
tratto dal n. 12 - 1998

Il carisma di essere cristiano


Intervista con padre James Flinn, irlandese, 61 anni, che dopo un lungo periodo trascorso in Tanzania come missionario, è dall’aprile del 1997 alla guida del piccolo Istituto della Carità, fondato da Antonio Rosmini nel 1828, meglio noto come Istituto dei Padri Rosminiani. A lui abbiamo chiesto di descriverci la vita e la storia di questa Congregazione che attende ancora, dopo più di cent’anni dalla morte, la beatificazione del proprio fondatore


Intervista con James Flinn di Giovanni Ricciardi


Quando si parla di Rosmini si pensa in genere alla sua attività di pensatore e filosofo. Pochi forse lo conoscono come fondatore di una Congregazione che prende il suo nome.
JAMES FLINN: È vero. Ma ovviamente Rosmini non voleva che i suoi discepoli si chiamassero Rosminiani. Questa denominazione è piuttosto del nostro secolo. Il vero nome della Congregazione è Istituto della Carità.
Quale impronta ha voluto dare Rosmini al suo Istituto?
FLINN: Rosmini credeva che l’unica cosa importante fosse realizzare la volontà di Dio ed essere aperti alla sua chiamata. E diceva che se gli fosse capitato di avere dei seguaci avrebbe offerto loro le uniche due regole che lui stesso cercava di vivere: anzitutto, la santificazione personale, perché Dio non ha bisogno di nessuno per far progredire il suo regno, ma può servirsi di chi vuole e di chi sceglie. Di qui, la seconda regola: se Dio chiama, non avere nessuna pretesa ma essere lieti di fare qualunque tipo di lavoro. Fare cioè unicamente la volontà di Dio, nel modo che Dio suggerisce.
Dunque Rosmini non aveva identificato alcuna specifica missione per i membri del suo Istituto.
FLINN: Rosmini diceva che il suo carisma era quello di essere cristiano. Le sue Massime di perfezione altro non sono che lo sviluppo delle due regole fondamentali. Altri fondatori, come Francesco d’Assisi o Ignazio di Loyola, avevano individuato un carisma specifico per il loro ordine. Rosmini non ne ebbe alcuno. Le Massime di perfezione vogliono semplicemente suggerire un modo di vivere il Vangelo così com’è. E le sue Costituzioni sono solo uno sviluppo di questa idea fondamentale.
Come si concretizzò questa scelta voluta da Rosmini per la sua Congregazione?
FLINN: Nelle Costituzioni c’è il senso di un gruppo aperto alla volontà di Dio, che si manifesta attraverso la chiamata della Chiesa, del papa, dei vescovi, dei parroci secondo i bisogni, ma, lo ripeto, senza un carisma specifico. Aspettiamo la chiamata della Chiesa. Se questa non viene non c’è nessun problema, perché il primo scopo dell’Istituto è la santificazione dei suoi membri.
Come si è sviluppata nel tempo la vita dell’Istituto?
FLINN: Al tempo di Rosmini il primo fiorire della Congregazione fu favorito da uomini di Chiesa che avevano grande stima di lui. Subito dopo la nascita dell’Istituto, alcuni vescovi italiani, specie al Nord, chiamarono i Rosminiani a lavorare nelle loro diocesi. Poi ci fu una diffusione anche in Inghilterra. Un nobile inglese aveva invitato Rosmini ad inviare alcuni padri nell’isola. Erano gli anni del “movimento di Oxford” di Henry Newman. Un romano, Luigi Gentili, che parlava perfettamente l’inglese, avrebbe voluto sposare una nobildonna inglese, ma la famiglia si era opposta. Incontrato Rosmini, decise di entrare nell’Istituto e farsi sacerdote. Rosmini lo mandò in Inghilterra con un gruppo di seguaci. Iniziarono a lavorare come cappellani, e dettero l’impulso a un’ondata missionaria, di cui ancora non si è scritta una vera e propria storia. Si figuri un gruppo di italiani che inizia a girare per l’Inghilterra di allora a predicare il cattolicesimo. Facevano missioni al popolo, parlavano molto bene la lingua. Così è cresciuto il ramo inglese. Dall’Inghilterra passarono poi in Irlanda, e Gentili acquistò fama di santità. Morì a Dublino nel 1848 durante la grande carestia che colpì il Paese. Nel passato si voleva introdurre la sua causa di beatificazione, ma si è preferito aspettare il riconoscimento della santità di Rosmini, che ancora non viene.
Nel 1888 arrivò invece la condanna del Sant’Uffizio per le famose “quaranta proposizioni” di Rosmini. In che misura ne risentì l’Istituto?
FLINN: Dopo la condanna delle proposizioni nacque un grande sospetto nei confronti dei Rosminiani da parte dei vescovi, specialmente in Italia, ma anche in Inghilterra, per cui l’Istituto soffrì per mancanza di vocazioni. I parroci e i vescovi non suggerivano più ai giovani di entrare tra i Rosminiani. L’Istituto stesso divenne molto cauto nell’accettare nuovi ingressi. C’era il timore che potesse essere addirittura condannato e sciolto. Poi, dopo la grande guerra, le cose a poco a poco migliorarono e l’Istituto riprese lentamente a svilupparsi.
In quali direzioni?
FLINN: L’Istituto è sempre rimasto fedele al principio del fondatore di non cercare nuovi campi di azione se non dietro una chiamata specifica della Chiesa. Per esempio dall’Irlanda, nel 1945, siamo passati in Tanzania su richiesta di un vescovo locale. Nei primi anni abbiamo cercato di sviluppare il clero locale, senza accettare vocazioni per l’Istituto. Le prime vocazioni rosminiane in Tanzania sono state accolte solo quindici anni fa. Anche la nostra presenza in Venezuela nasce dall’invito dei vescovi locali alla provincia italiana di inviare laggiù dei padri per la cura pastorale dei tanti emigrati italiani. Lo stesso è accaduto in Nuova Zelanda con la provincia inglese. Questo sviluppo si è avuto soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Prima della guerra eravamo approdati negli Stati Uniti, grazie all’opera di un rosminiano straordinario, don Giuseppe Costa, un uomo forte, molto originale, un vero pioniere. Siamo comunque rimasti fedeli alla regola, a costo di non andare in regioni in cui avremmo senz’altro potuto raccogliere vocazioni. Ma il nostro compito è quello di servire la Chiesa, dove la Chiesa ce lo chiede, non di cercare nuovi membri per l’Istituto. Se la chiamata della Chiesa non viene, noi non andiamo.
Il problema delle vocazioni, in quest’ottica, diventa relativo.
FLINN: Forse, dentro di noi, c’è un po’ di ansia per la mancanza di vocazioni, ma cerchiamo di fidarci della Provvidenza. Rosmini dice molto chiaramente che l’Istituto è fondato sulla Provvidenza. Se cerchiamo noi di mettere un altro fondamento, lo distruggiamo. E ha detto anche chiaramente che quando l’Istituto non sarà più utile per la Chiesa potrebbe anche estinguersi. Questo ci mette al riparo dall’ansia e ci fa capire che l’importante è lavorare per la Chiesa, non cercare per forza nuove vocazioni, non garantire a tutti i costi la continuità dell’Istituto.
Qual è lo stato attuale dell’Istituto della Carità?
FLINN: Siamo una realtà molto piccola, poco più di 350 membri in tutto il mondo. Anche in passato, a cavallo fra le due guerre, nel momento di massima espansione dell’Istituto non abbiamo mai superato il numero di 500 membri. Un impedimento alla nostra crescita, oltre alla condanna di Rosmini, è stato certamente il chiaro pensiero del fondatore per cui la questione dell’ordinazione sacerdotale era secondaria rispetto alla vocazione specifica ad entrare nell’Istituto della Carità. Così molti giovani decisi a farsi sacerdoti trovavano in questo aspetto una difficoltà. Oggi i membri sono nella grande maggioranza sacerdoti. C’è però anche un ramo laicale, voluto dallo stesso Rosmini, i cosiddetti “iscritti”, presenti soprattutto in Italia, in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Qual è la loro funzione?
FLINN: Sono laici interessati alla spiritualità del fondatore. Il loro compito è quello di essere buoni cristiani, là dove si trovano, e lì lavorare per la Chiesa. La loro storia è legata all’impulso, non sempre costante, che a questo ramo dell’Istituto hanno cercato di dare i singoli rosminiani. In questi ultimi tempi l’Istituto si è reso sempre più consapevole della loro fondamentale importanza.
Come vive oggi l’Istituto della Carità?
FLINN: Nei Paesi in cui la nostra presenza è consolidata, Italia, Inghilterra, Irlanda, Stati Uniti, stiamo invecchiando come età media e abbiamo poche vocazioni; sono più numerose nei Paesi come il Venezuela, la Tanzania e l’India, ma sono ancora troppo giovani per dare in questo momento il “cambio” alla vecchia guardia. In questi anni non abbiamo avuto nuove fondazioni, e ci stiamo concentrando sulla formazione dei giovani che dovranno prendere il nostro testimone. La loro formazione avviene inizialmente nei luoghi d’origine, alcuni poi vengono a Roma per studiare. Ora siamo orientati a creare due sole case di formazione a livello internazionale.
Rosmini, filosofo e pensatore, non concepì tuttavia un Istituto che fosse impegnato anzitutto sul fronte culturale. Può sembrare una curiosa anomalia.
FLINN: È così. L’Istituto opera unicamente secondo le chiamate specifiche della Chiesa. In Irlanda ad esempio svolgiamo un lavoro con giovani affetti da handicap. In Inghilterra abbiamo parrocchie e scuole, in America e in Africa parrocchie, in Venezuela due scuole, in Italia scuole e parrocchie, più il Centro studi di Stresa, l’unica attività prettamente culturale curata dall’Istituto.
Qual è secondo lei la funzione dei Rosminiani nella Chiesa di oggi?
FLINN: Siamo chiamati a servire la Chiesa e a non essere preoccupati della nostra esistenza, del futuro. Vivere pienamente il momento presente, fare nel miglior modo possibile quello che dobbiamo fare oggi e lasciare il resto a Dio. Come diceva il nostro fondatore, non siamo essenziali per la Chiesa, cerchiamo di fare al meglio possibile il nostro dovere per poterci presentare in pace al cospetto di Dio.


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