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LIBRI
tratto dal n. 12 - 1998

Elogio del materialismo


In questi decenni di spiritualismo e di gnosi, Vittorio Messori pubblica un’indagine storico-scientifica su un miracolo avvenuto in Spagna nel 1640: un giovane si sarebbe risvegliato avendo di nuovo la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima. Intervista


Intervista con Vittorio Messori di Stefano Maria Paci


A stupire, Vittorio Messori è abituato. In un Paese in cui trentamila copie di un volume bastano a fare un bestseller, il suo primo libro, Ipotesi su Gesù, di copie ne ha vendute oltre un milione. Non pago, ha poi “sequestrato” il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, l’austero cardinale Joseph Ratzinger, e per una settimana l’ha sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio e ne ha registrato le risposte. Non era mai accaduto nella storia della Chiesa, e il libro-intervista Rapporto sulla fede per anni è stato al centro del dibattito sul cattolicesimo. Poi, ha rivolto ad un’altra persona le sue domande, e questa volta si trattava dell’attuale Pontefice, papa Wojtyla. Varcare la soglia della speranza è stato tradotto in 53 lingue.
Ma adesso, forse, Messori ha esagerato. Il suo nuovo libro (Il Miracolo, Rizzoli) ha la pretesa di raccontare che almeno una volta, nella storia, il prodigio per eccellenza, quel miracolo “impossibile” su cui così spesso si ironizza, è avvenuto: un arto tagliato è ricresciuto. Tra le dieci e le undici di sera del 29 marzo 1640 un giovane contadino spagnolo, Miguel Juan Pellicer, si sarebbe risvegliato avendo di nuovo la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima. Il miracolo – compiuto per intercessione di Nostra Signora del Pilar, la veneratissima Madonna di Saragozza davanti al cui santuario Miguel Juan aveva per anni mendicato – avvenne nel villaggio aragonese di Calandra, dove il giovane era ritornato per salutare i genitori. Un evento sconvolgente di cui quasi si era persa la memoria.
Difficile da credere? Noi abbiamo fatto la parte dell’“avvocato del diavolo”. Abbiamo cioè posto a Messori, che scrive come un giornalista ma si documenta come un diligente professore universitario, alcune di quelle obiezioni che su questo “miracolo impossibile” formulerebbe l’uomo comune.

I cristiani credono ai miracoli, certo. Ma sembra che Dio si sia sempre dato una specie di limitazione per rispettare la libertà dell’uomo. I prodigi, cioè, non sono mai così clamorosi da rendere automatico il credere. Per spiegarli si può sempre ricorrere a qualche causa scientifica che non è ancora stata scoperta. Questo miracolo, invece, sembra del tutto “impossibile”. Davvero lei crede che una gamba amputata sia rispuntata?
VITTORIO MESSORI: Non lo nego, questo miracolo è sconcertante. Lo è stato anche per me. In realtà anch’io avevo uno schema in testa, e la scoperta di questo prodigio lo ha messo in crisi. Il mio era lo schema di Pascal: Dio non impone la fede, la propone. Mi dicevo: se Dio compisse un “miracolo spettacolo”, se facesse ricrescere un arto tagliato, la nostra libertà sarebbe annullata, saremmo messi con le spalle al muro e dovremmo arrenderci all’evidenza.
Così, quando trovai rari accenni a questo miracolo avvenuto nel paesino di Calanda, non mi sentii spinto ad approfondirlo, non lo presi sul serio. Io stesso non volevo arrendermi fino a quando, studiando i documenti, ho riscontrato l’indubitabilità del fatto. Alla fine ho allargato le braccia: ho accettato il mistero, perché a questo mi costringeva l’evidenza. È il modo più ragionevole per usare la ragione.
Però non era mai accaduto un miracolo simile nella storia: è come se qui, a Dio, fosse sfuggita la mano...
MESSORI: O, se è possibile scherzarci sopra, fosse sfuggita la gamba. Sì, è vero, si tratta di un caso unico: in questo caso Dio è andato al di là di quello che ha sempre fatto, sia prima che dopo. Ho studiato a lungo i 65 miracoli riconosciuti a Lourdes. In tutti ho sempre trovato questa sorta di strategia del Deus absconditus. Anche in quelli più clamorosi ci sono ottime ragioni per credere, ma ci sono sempre scappatoie per non credere. C’è il caso di Peter van Rudder, il belga a cui per miracolo venne ricostruita la gamba spezzata e si riformarono sei centimetri d’osso. Il miracolo però si vede solo con le radiografie, e uno può dire: magari non era rotta davvero. Tanto che Émile Zola, di fronte alla grotta di Lourdes, disse, beffardo: «Qui vedo molte stampelle, ma nessuna gamba di legno». Invece, almeno una volta nella storia, questo è accaduto: nel santuario di Nostra Signora del Pilar, a Saragozza, fu appesa una gamba di legno.
E, fatto ancor più straordinario, il miracolo è perfettamente documentato: 62 ore dopo l’evento questo fu registrato dal rogito di un notaio reale. Al processo davanti al tribunale dell’arcivescovado di Saragozza sfilarono decine di testimoni giurati, ma migliaia di altre persone avrebbero potuto testimoniare: il prodigio fu un fatto pubblico. Il giovane miracolato era un monco che tutta Saragozza per due anni e mezzo aveva visto tutti i giorni alle stesse ore alla stessa porta chiedere l’elemosina.
Per quanto straordinario, il fatto è attestato in modo così granitico che se negassimo che fino alle ore 22 del 29 marzo 1640 Miguel Juan Pellicer aveva una gamba sola, e mezz’ora dopo ne aveva due, dovremmo negare la storia stessa. Che so, l’esistenza di Napoleone.
D’accordo, un notaio ha certificato il miracolo. Ma il miracolo è accaduto secoli fa, e si sa come andavano le cose in quei tempi. Le testimonianze che lo documentano non saranno poi così certe...
MESSORI: Il rogito del notaio reale, il dottor Miguel Andréu, steso seguendo ogni regola del diritto, è inattaccabile. E, sul piano storico, è garanzia di straordinario valore che un evento di questo genere si sia verificato in quel periodo in Aragona, patria dell’Inquisizione spagnola, allora al culmine della sua potenza. L’Inquisizione era un’istituzione dettata dal razionalismo della religione cattolica, ed assai più dell’eresia temeva e reprimeva la superstizione, i falsi miracoli. Era assolutamente implacabile nell’intervenire laddove c’era anche solo semplicemente il sospetto di visionari o di annunciatori di prodigi fasulli. Basti dire che nei secoli in cui l’Inquisizione controlla la Spagna non ci sono notizie di apparizioni mariane, al contrario di quanto avviene in Italia, in Francia o in Germania.
Così nel lungo, rigoroso processo canonico iniziato due mesi appena dopo l’evento nella diocesi di Saragozza, si sente che l’arcivescovo ha sul collo il fiato del grande inquisitore. Basti ricordare che il grande inquisitore di Spagna mise in galera il cardinale arcivescovo di Toledo. Il tribunale dell’Inquisizione veniva chiamato la “Suprema” perché aveva un potere quasi onnipotente, e poteva mettere in difficoltà anche il re.
Il fatto che l’Inquisizione lasci che il processo si svolga e che addirittura si proclami il prodigio, il 27 aprile del 1641, per lo storico è una garanzia assolutamente straordinaria.
Documenti su questo prodigio, dunque, ce ne sono a bizzeffe. Ma documenti risalenti al Seicento hanno la stessa validità storica di una inchiesta fatta oggi?
MESSORI: No, non la stessa: maggiore. Oggi probabilmente quel rigore d’inchiesta storica si è perso, e se volessimo ricostruire la storia sulle pagine dei giornali, staremmo freschi. Il processo non si svolse nel Medioevo, ma un secolo dopo il Concilio di Trento e sotto il pontificato di Urbano VIII che aveva proprio allora emanato nuove, rigorose norme per il riconoscimento dei miracoli. Le regole con le quali si svolge quel processo sono le stesse che verranno usate per più di tre secoli, fino a dopo il Vaticano II. E il problema dell’arcivescovo non fu trovare testimoni, ma limitarne il numero. Il miracolato – un giovanotto di ventitré anni con la gamba tagliata che per due anni e mezzo staziona sempre allo stesso posto, all’ingresso del santuario della Madonna del Pilar, dove per tradizione gli abitanti di Saragozza vanno ogni giorno – era diventato un personaggio che tutti conoscevano. A favore della garanzia storica c’è anche il fatto che non si sia mai levata nessuna voce di dubbio o di esitazione. E tutto questo senza alcun fine di lucro: Calanda non è mai diventata una Lourdes o una Fatima.
E se si fosse trattato di un gemello, o di un sosia di Miguel Juan Pellicer?
MESSORI: Un gemello no, perché i registri parrocchiali di Calanda sono stati conservati, e Miguel Juan Pellicer non aveva alcun gemello. Nelle decine di pagine del processo viene esaminata tutta la situazione familiare e vengono fatte tutte le domande possibili, anche le più insidiose. Un sosia, invece… uscito da dove? E come si fa ad ingannare dei compaesani sospettosi? E, soprattutto, perché? Questo è un miracolo gratuito in cui nessuno ci guadagna nulla, nemmeno la famiglia. Filippo IV, il re di tutte le Spagne – c’era ancora l’impero su cui non tramontava mai il sole – dopo il processo s’inginocchiò a baciare la gamba risanata di questo contadino, ma a Miguel Juan non venne mai data una pensione: muore da mendicante come era vissuto.
Il ragazzo è stato riconosciuto da tutti, ed era stato operato dal più noto chirurgo di Saragozza, il professor Estanga, assistito da due ottimi medici e da tre infermieri: era presente anche un prete, amministratore dell’ospedale. Tutti testimoniarono al processo, parlando anche del luogo in cui era sepolta, secondo le usanze, la gamba tagliata. Coloro che gli facevano l’elemosina hanno ricordato che non solo Miguel Juan non nascondeva la gamba, ma che mostrava il moncone con la ferita cicatrizzata per esortare all’elemosina.
Insomma, secondo lei è impossibile non credere a questo miracolo. È davvero convinto che questa volta non ci sia spazio per l’incredulità?
MESSORI: Non ci sono dubbi e, ripeto, mi sono arreso a fatica. Ho studiato il caso per anni e non ho lesinato tempo, fatica e viaggi. Quello che ho scritto è un libro di storia, una storia che però cozza contro il mistero. Ogni storico farebbe salti di gioia se gli eventi che studia fossero attestati in questo modo, con tale ricchezza e sicurezza documentaria.
Ma se tutto è così evidente, così perfettamente documentato e incontrovertibile, perché un miracolo così clamoroso è stato dimenticato per tanto tempo?
MESSORI: Il 1640 non è un anno come gli altri per la Spagna. Nei manuali di storia è indicato come il discrimine in cui inizia il rapido e rovinoso declino del dominio spagnolo e della sua influenza politica ed economica. Poche settimane dopo el gran milagro, scoppiano due insurrezioni terribili: il Portogallo si distacca dalla Spagna, e contemporaneamente insorge anche la Catalogna. In quell’anno cominciano le disfatte dei reggimenti spagnoli nelle Fiandre. Ci sono insurrezioni anche nell’Italia spagnola: Masaniello guida la rivolta nel Regno di Napoli. È l’anno in cui il conte-duca Gaspar de Olivares, quello citato nei Promessi sposi, scrive al re: «Non sappiamo se l’anno prossimo ci sarà ancora una Spagna». E arrivarono la peste, la carestia: tutto congiurò perché questo miracolo fosse poco conosciuto al di fuori del Paese. Poi vennero i secoli dell’Illuminismo e dello scientismo, che fecero di tutto per nasconderlo, perché imbarazzante. Era l’esatta risposta a quello che veniva chiesto da tutti i Voltaire dell’epoca: poter vedere una gamba recuperata.
Secondo le testimonianze, la gamba “miracolosa” di Miguel Juan Pellicer non è, se così si può dire, ricresciuta: è proprio la stessa gamba che era stata amputata più di due anni prima – e che, sepolta nella terra, era necessariamente imputridita – ad essere ricomparsa. Una specie di resurrezione della carne avvenuta prima della fine dei tempi. Questo sembra più difficile da credere...
MESSORI: Sì, la gamba fu subito riconosciuta. Aveva tutti i segni, inconfondibili, che c’erano sull’arto amputato: la cicatrice causata dalla ruota del carro che aveva fratturato la tibia nell’incidente che aveva provocato l’amputazione, le tracce del morso di un cane sul polpaccio, i resti di una grossa cisti asportata, due profondi graffi lasciati da una pianta spinosa. Insomma, una gamba tagliata quando già era divorata dalla cancrena e sepolta per due anni e mezzo nel cimitero dell’ospedale di Saragozza, viene reimpiantata di colpo a Calanda, a cento chilometri di distanza. Quando andarono a controllare il posto in cui era stato sotterrato l’arto, trovarono la buca vuota. I primi giorni la gamba, secondo le testimonianze, aveva un aspetto come di carne morta: era fredda, bluastra. Col passare del tempo, e lo scorrere del sangue, tornò normale.
Forse, se questo miracolo è rimasto nascosto per tanto tempo, è perché ne avevamo bisogno proprio noi, uomini di oggi. Perché questo prodigio non è soltanto un segno dell’esistenza di Dio: è un segno di sano materialismo cristiano. E ciò che oggi minaccia il cattolicesimo non è certo il materialismo, ma lo spiritualismo, la gnosi: molta della nuova teologia cattolica è una teologia gnostica.
Questo è un miracolo “teologicamente scorretto” perché contrasta con il regno dello spiritualismo che ci minaccia. Basta un Platone qualunque per credere nell’immortalità dell’anima. I cristiani, invece, credono nella resurrezione dei corpi, proprio ciò che tanta teologia oggi non annuncia più.
Quali sono state le reazioni al suo libro?
MESSORI: Da manuale. Prima ancora che il libro uscisse sono bastati tre annunci dell’editore e Beniamino Placido su la Repubblica ha scritto un articolo dal titolo significativo: Un libro su un miracolo: non vedo l’ora di non leggerlo. Placido, a nome dell’intellighenzia laica, ha detto che si trattava certamente di una bufala, e non bisognava perdere tempo e soldi per leggere un libro così. Rifiuto previo. In realtà, è il credente il vero libero pensatore. Perché ha un concetto di ragione libera da gabbie ideologiche. Come diceva Gilbert Keith Chesterton: «Un credente è un signore che accetta il miracolo, se ve lo obbliga l’evidenza. Un non credente è, invece, un signore che non accetterà neppure di discutere di miracoli, perché a questo lo obbliga la dottrina che professa e che non può smentire».
E le reazioni da parte cattolica?
MESSORI: Appena il libro è uscito, un guru dell’intellighenzia cattolica, Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, cattolico aggiornato e teologicamente corretto, ne ha fatto una stroncatura feroce su Tuttolibri, l’inserto letterario della Stampa. Anche lui senza confrontarsi con il libro. Ha detto che qualunque cosa ci fosse scritta era «inutile e dannosa». Inutile, perché quelli come lui, che hanno una fede pura e dura, non hanno bisogno di miracoli; dannosa perché prodigi, madonne, santuari e pellegrini, sono cose alienanti per chi ha una fede “adulta”.
Quando ho letto queste due recensioni, ho sorriso compiaciuto: nel libro avevo previsto esattamente queste reazioni. Ma avevo anche previsto altro: due mesi dopo l’uscita, Il Miracolo era alla quarta ristampa e stanno per essere pubblicate molte traduzioni.


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