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TRIBUNALE PENALE...
tratto dal n. 11 - 1998

La giustizia e gli sceriffi


Da Versailles a Roma: la lunga storia degli sforzi per costituire una giurisdizione penale internazionale. L’opposizione degli Usa che invece preferirebbero regolare da soli i conti con i propri nemici


di Francesca Scopelliti


È il Trattato di Versailles, che decretò la fine della prima guerra mondiale, a contenere i primi provvedimenti per l’istituzione di una giurisdizione penale internazionale: si voleva giudicare l’imperatore tedesco per quelli che, successivamente, furono definiti “crimini contro la pace” e perseguire i criminali di guerra. Furono individuati circa 20mila imputati, ai quali si aggiunsero i responsabili del massacro compiuto contro gli armeni tra il 1915 e il 1917 e incluso fra i cosiddetti “crimini contro le leggi dell’umanità”. Ma i processi non ebbero luogo, l’imperatore tedesco non venne mai né indagato né processato, delle 20mila persone individuate la Corte suprema tedesca ne processò soltanto 22 e soltanto 12 furono condannate. Sia gli Stati Uniti sia il Giappone scartarono il concetto di “crimini contro l’umanità” e il successivo Trattato di Losanna con la Turchia garantì l’amnistia per ogni crimine.
Dopo la prima guerra mondiale furono prese due iniziative a favore della Corte penale internazionale: la prima, datata 1926, riguardante un progetto della Association Internationale de Droit Pénal (Aidp), un’associazione che ha continuato con grande impegno questa battaglia fino ai nostri giorni, non ebbe seguito perché priva di sostegni politici; l’altra del 1937, quando nella Convenzione contro il terrorismo voluta ed elaborata dalla Lega delle Nazioni fu incluso un protocollo per una Corte penale internazionale. La Convenzione fu ratificata solo dall’India e non entrò mai in vigore.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’8 agosto 1945, i quattro alleati firmarono il documento che rimase nella storia come l’Accordo di Londra, cui allegarono la Carta del Tribunale militare internazionale, sottoscritto successivamente da altri 19 governi: per la prima volta nella storia moderna veniva istituito un organismo in grado di processare individui per «crimini contro la pace», «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità».
Inoltre, i quattro grandi istituirono dei tribunali nelle rispettive zone di occupazione del suolo tedesco per processare i responsabili di quegli stessi crimini previsti dalla Carta del Tribunale militare internazionale. Tali processi riguardarono circa 15mila persone e passarono alla storia come i Processi di Norimberga.
Nell’anno successivo, a Tokyo, fu promulgata una Carta simile a quella di Londra che istituiva il Tribunale internazionale militare per l’Estremo Oriente: sul banco degli imputati salirono 28 persone, molte altre furono processate nei territori occupati o colonizzati dagli alleati, ma nel 1953 tutti i prigionieri condannati furono rilasciati in conformità a un programma di riconciliazione con il Giappone.
Gli sforzi delle Nazioni Unite per istituire il Tribunale penale internazionale iniziarono quasi contemporaneamente ad alcuni dei processi del dopoguerra. Nel 1947 l’Assemblea generale chiese alla Commissione del diritto internazionale di elaborare un Codice delle offese alla pace e alla sicurezza dell’umanità e di redigere uno statuto per una giurisdizione penale internazionale. L’inizio dei lavori della Commissione coincise però con l’avvento della guerra fredda che influenzò pesantemente il progresso dell’iniziativa: la bozza del Codice fu ostacolata e successivamente bocciata. La stessa definizione del crimine di “aggressione” fu cancellata dal mandato.
Rimossa quindi dal suo incarico la Commissione del diritto internazionale, furono istituiti due comitati separati: il primo con l’incarico di elaborare una giurisdizione penale internazionale e l’altro la definizione del reato di aggressione. Questi due nuovi organi, composti dai rappresentanti dei governi, furono istituiti dall’Assemblea generale.
Solo nel 1972, ventidue anni dopo aver ricevuto il mandato, il Comitato per l’aggressione portò a compimento il proprio lavoro, ma nel 1978 l’argomento fu nuovamente affidato alla Commissione per il diritto internazionale. Tale Commissione assunse il compito nel 1980 e procedette lentamente fino al 1991 quando presentò un testo piuttosto elaborato che ricevette le critiche di molti governi e di molti esperti. Apportò in ogni modo indicative modifiche alla bozza del Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità e produsse un testo finale nel 1996, che pur avendo una sua “storia”, non aggiungeva molto a quello già elaborato negli statuti dei Tribunali ad hoc per la ex Iugoslavia e il Ruanda, istituiti rispettivamente nel 1993 e nel 1994.
Il tema della giurisdizione penale internazionale fu riportato all’attenzione della Commissione del diritto internazionale soltanto nel 1989 a seguito di una sessione speciale dell’Assemblea generale sul traffico della droga. Alcuni Paesi formularono l’ipotesi di istituire un Tribunale internazionale permanente in grado di perseguire i trafficanti di droga.
Tale ipotesi non ebbe alcun esito, ma riaccese il dibattito sulla Corte permanente.
All’inizio degli anni Novanta, la Commissione stilò un rapporto sui vari problemi legali e sulle opzioni relative a tale giurisdizione. Il rapporto fu accolto con favore dall’Assemblea generale che poté quindi proseguire i suoi lavori e giungere nel 1994 ad una bozza di statuto per la Corte penale internazionale.
Verso la fine del 1992 il Consiglio di sicurezza istituì una commissione di esperti incaricata di investigare sulle violazioni del diritto umanitario internazionale nella ex Iugoslavia. Il mandato del Consiglio di sicurezza includeva il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra: in altre parole tutti i crimini previsti dalla Carta di Norimberga fatta eccezione per i «crimini contro la pace».
Questa commissione, presieduta da Cherif Bassiouni, nel suo rapporto del febbraio 1993 invitava il Consiglio di sicurezza ad istituire un Tribunale penale internazionale ad hoc per la ex Iugoslavia. Lo stesso mese il Consiglio chiedeva al segretario generale di preparare un rapporto e una bozza di statuto che si concretarono con l’istituzione di tale Tribunale nel maggio dello stesso anno. Nel 1994 il segretario generale seguì la stessa procedura per il Tribunale ad hoc per il Ruanda.
L’istituzione di questi due Tribunali, pur con tempi ristretti e inevitabili difficoltà amministrative e di gestione, ha dato comunque grande forza all’idea del Tribunale penale internazionale poiché ha reso quanto mai evidente la necessità di creare un organo permanente: fin dal 1990 l’opinione pubblica internazionale, a fronte delle tragedie di massa che si stavano compiendo in Iugoslavia, nel Ruanda, nella regione dei Grandi Laghi in Africa, cominciò a chiedere a gran voce l’istituzione di un sistema giudiziario penale internazionale indipendente e libero. E la forza e l’efficacia con cui le Organizzazioni non governative si sono fatte carico di queste richieste non potevano essere ignorate dai vari governi.
Nel 1995 quindi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì un comitato ad hoc incaricato di seguire e analizzare le questioni relative alla creazione della Corte permanente, che basò il proprio lavoro sulla bozza di statuto preparata nel 1994 dalla Commissione del diritto internazionale. Dopo un anno, il Comitato ad hoc sollecitò l’Assemblea generale a istituire quello che nel 1996 divenne il Comitato preparatorio (PrepCom), il cui mandato fu poi esteso fino al 1998. Cioè fino a Roma.
Tale mandato, infatti, prevedeva l’elaborazione di un “testo consolidato” da sottoporre alla Conferenza diplomatica che si è tenuta appunto a Roma dal 15 giugno al 17 luglio di quest’anno.

Il ruolo decisivo delle Organizzazioni non governative (Ong)
La lunga premessa che ho ritenuto opportuno riportare fa un sintetico esame dei tentativi messi in atto per giungere alla istituzione della Corte internazionale, privilegiando inevitabilmente il punto di vista e i “protagonisti” istituzionali e gli organismi internazionali all’interno dei quali la discussione si è svolta e l’idea della Corte si è pian piano affermata.
Va detto però con assoluta chiarezza che senza la generosa, costante, capace, coraggiosa e instancabile iniziativa delle Organizzazioni non governative non ci sarebbe stata la Conferenza diplomatica di Roma, non avrebbe avuto l’esito che ha avuto e, molto probabilmente, non avremmo neanche i Tribunali ad hoc per la ex Iugoslavia e per il Ruanda. L’obiettivo di istituire una giurisdizione penale internazionale permanente ha sempre goduto del sostegno di numerose e autorevoli istituzioni a carattere accademico, ma mai come oggi, mai come in questa occasione l’attività delle Organizzazioni non governative ha saputo coinvolgere le istituzioni e i governi, tramite una mobilitazione e un dialogo senza precedenti con l’opinione pubblica e le parti più sensibili e critiche della società.
Nata nel 1995, la Coalizione internazionale delle Ong per l’istituzione della Corte permanente ha contato finora circa trecento adesioni, fra cui quelle di istituti, associazioni, comitati per la difesa dei diritti umani. Tra i membri della Coalizione, i più attivi sono stati Amnesty International, la International Commission of Jurists, il Lawyer’s Committee for Human Rights Watch, l’Istituto superiore di scienze criminali.
Una nota particolare merita “Non c’è pace senza giustizia”, il comitato di parlamentari, sindaci e cittadini che, presieduto da Sergio Stanzani, vanta la partecipazione di moltissime personalità italiane assieme ad autorevoli rappresentanti internazionali, e che – assieme al Partito radicale – fa parte del Comitato esecutivo della Coalizione delle Ong. Io credo che se il governo italiano – e mi riferisco a tutti i governi che si sono succeduti a partire dal 1993 – ha assunto il ruolo che gli viene ormai universalmente riconosciuto dalla comunità internazionale, ovvero quello di essere espressione del Paese decisamente e assolutamente all’avanguardia nella iniziativa mondiale a tutela dei diritti umani nel mondo, ciò è dovuto anche all’attività, anche di pressione e di iniziativa, alla “caparbietà” di questo comitato. Potrei anche dire “in gran parte” e difficilmente potrei essere smentita: è stata certo meritevole la capacità dei governi di “subire” – con evidente disponibilità – l’iniziativa e le proposte della società civile, della quale “Non c’è pace senza giustizia” si è fatto portavoce; ma non c’è stata presa di posizione, dichiarazione impegnativa in sedi ufficiali internazionali e nazionali, formalizzazione di candidatura o di iniziativa politica da parte del governo italiano che non sia stata preceduta da sollecitazioni, proposte, mozioni parlamentari, interrogazioni, manifestazioni autorevoli, convegni, conferenze internazionali, raccolte di firme di capi di Stato o di semplici cittadini, tutte promosse da questo comitato.
Difficile poi è non citare Emma Bonino che ha svolto negli anni un ruolo fondamentale a sostegno di questa straordinaria campagna mondiale, nella quale ha speso l’immenso patrimonio di credibilità personale e politica acquisito in anni e anni di instancabile impegno internazionale, prima come deputato e poi come commissario europeo. A lei e a tutti gli altri il nostro grazie, perché a loro va riconosciuto il merito di aver reso possibile la Conferenza di Roma.

Roma, 15 giugno-17 luglio ’98
Il Comitato preparatorio, che ha concluso il suo lavoro a New York il 3 aprile 1998, aveva come mandato principale quello di redigere un progetto consolidato di Statuto per la Corte penale internazionale da presentare alla Conferenza diplomatica e aveva inoltre la responsabilità di adottare le regole di procedura della Conferenza stessa, di nominare i candidati per le cariche ufficiali e di accreditare le Organizzazioni non governative.
Il PrepCom ha operato esclusivamente per consenso – principio molto caro alle Nazioni Unite – e ha formulato proposte alternative quando il consenso non è stato raggiunto. Di conseguenza le decisioni da prendere a Roma erano quelle più importanti per il futuro della giustizia internazionale.
I punti chiave che la Conferenza diplomatica ha dovuto affrontare e sui quali il lavoro per la ricerca di un compromesso è stato più difficoltoso riguardavano in particolare: il potere del procuratore di dare inizio a procedimenti ex officio, il ruolo del Consiglio di sicurezza, la giurisdizione della Corte e il consenso degli Stati, il rapporto della Corte con le giurisdizioni nazionali, la cooperazione degli Stati e l’esecuzione degli ordini della Corte, il finanziamento della Corte.
Questi gli elementi sui quali il contrasto era più forte, ma – trattandosi di una Corte penale – si potrebbe dire che praticamente tutto è importante: è importante la procedura, è importante l’autonomia della Corte, ma è importante anche salvaguardare il diritto alla difesa dell’imputato, il principio irrinunciabile di avere giustizia e non certo vendetta, con pene giuste e non certo esemplari.
Va anche detto che su questi punti si è arrivati a Roma con delle ipotesi di compromesso che già si erano individuate in sede di PrepCom, all’interno del quale gli sforzi per mettere d’accordo il maggior numero di Stati erano stati poderosi, e importanti compromessi erano stati raggiunti. Così è stato, tanto per fare un esempio importante e significativo, per la questione del finanziamento la cui soluzione era decisiva per i risvolti che questo aspetto aveva sulla indipendenza della Corte. Fra le varie ipotesi, c’era quella degli Stati Uniti che sostanzialmente proponeva che la Corte fosse a carico degli Stati parti e non a carico del bilancio delle Nazioni Unite: il compromesso che è passato prevede invece che vi sia un finanziamento iniziale delle Nazioni Unite, anche sulla base del budget già esistente per i Tribunali ad hoc (inizialmente le strutture saranno condivise), e poi, al momento in cui la Corte sarà ratificata da un certo numero di Stati – forse i sessanta di cui si parla, forse di più, questo sarà definito successivamente – saranno gli Stati parti a finanziare la gestione della Corte.
Anche per quanto riguarda la questione del rapporto fra la Corte e il Consiglio di sicurezza la soluzione prospettata compariva già come ipotesi di compromesso all’interno del PrepCom: il Consiglio di sicurezza non sarà un filtro dal quale tutto deve passare, perché l’accordo ha definito la possibilità del Consiglio di intervenire solo successivamente all’apertura di una eventuale procedura – per sospenderla – e per un periodo di tempo limitato, eventualmente rinnovabile.
Ho fatto questi due esempi soprattutto per dimostrare che alla fine i compromessi che sono stati adottati e che si capiva sarebbero stati gli unici possibili, sono compromessi ragionevoli e sostanzialmente accettabili. Laddove, invece, gli elementi sono contraddittori, poco chiari, macchinosi o addirittura quasi incomprensibili, è necessario ricercarne la causa soprattutto nella volontà, che ha accompagnato tutti i lavori della Conferenza diplomatica e che non sempre è stata giusta e condivisibile, di adeguare il testo ai desideri di alcuni governi (in particolare – bisogna pur dirlo – di un Paese molto importante, gli Stati Uniti, che aveva della Corte un’idea molto diversa da quella che la maggior parte dei partecipanti aveva sperato).
Possiamo anzi dire francamente che gli Usa non volevano questa Corte, che hanno remato decisamente contro la sua istituzione per una serie di motivi, dei quali i mass media hanno abbondantemente parlato e che gli stessi Usa non hanno mai nascosto: fra questi, alcuni sono anche comprensibili (la cosiddetta “sindrome del Vietnam”, la loro forte esposizione in tutte le zone calde del pianeta) mentre altri appaiono francamente un po’ meno nobili e più legati a un concetto secondo il quale, essendo rimasti gli Stati Uniti l’unica grande superpotenza, trovano scarsamente accettabile l’idea di dover essere sottoposti a una giurisdizione sovranazionale, quasi fossero uno Stato come gli altri.
Gli Stati che volevano fortemente questa Corte hanno quindi cercato di rincorrere gli Usa (e gli altri Paesi che nonostante tutti gli sforzi possibili per una mediazione che non stravolgesse il concetto stesso di Corte autonoma e indipendente hanno votato contro) senza capire che l’unico compromesso accettabile per gli americani era quello di non costituire il Tribunale permanente. Perché tale e tanto dissenso? Cosa spaventa gli Stati Uniti? I malpensanti (“a pensare male si fa peccato, ma...”) sostengono che essi non vogliono correre il minimo rischio di vedere qualche cittadino americano fra gli eventuali imputati, ma, a detta di alcuni osservatori, questa non è la preoccupazione maggiore degli Usa, anche se si è lasciato pensare che fosse così. D’altronde, il fatto che le resistenze maggiori alla istituzione della Corte internazionale non siano venute dal Dipartimento della difesa – preoccupato della impunità dei militari americani come molti hanno scritto – ma piuttosto dallo stesso Dipartimento di Stato, offre una lettura diversa sui motivi della opposizione americana.
Fortunatamente, però, con il procedere dei lavori ha prevalso la posizione giusta e il risultato della Conferenza diplomatica si può definire un grande successo, nonostante quei sette voti contrari (assieme agli Usa, la Cina, Israele, India, Filippine, Sri Lanka e Turchia) che rischiano di pesare tantissimo nel percorso futuro della Corte internazionale.
L’Italia, si sa, ha fatto molto, e nessuno può dubitare che l’attività, la disponibilità e anche la generosità del governo italiano su questo terreno siano state determinanti per il successo della Conferenza diplomatica, al di là di qualche sbavatura e di qualche incertezza. È quindi necessario che il nostro Paese mantenga ancora alta e forte l’iniziativa per le prossime fasi, numerose quanto delicate. E uno degli impegni più difficili e gravosi sarà proprio quello di lavorare affinché gli Stati che hanno negato la loro adesione a Roma accettino infine il Tribunale penale internazionale, vi aderiscano, e anzi diano il loro contributo per renderlo operativo, ancora più forte, ancora più indipendente. Per far sì che questo organismo diventi un efficace deterrente per i crimini contro l’umanità. Il simbolo della difesa dei diritti inviolabili degli uomini. Di tutti gli uomini.


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