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I DIECI ANNI DI ECCLESIA DEI
tratto dal n. 11 - 1998

«Forme liturgiche diverse non sono contro l’unità»

Perché cessi la guerra dei riti


L’intervento dell’abate di Sainte-Madeleine-du-Barroux


L’intervento di dom Gérard Calvet al convegno


Eminenza, ci siamo riuniti innanzitutto per esprimere il nostro ringraziamento al Santo Padre per aver firmato e promulgato il motu proprio Ecclesia Dei. Questo grande documento è un atto solenne del Magistero che ha reso possibile l’accesso alla liturgia tradizionale e ha liberato un rito secolare.
In secondo luogo, è a lei, eminenza, che dobbiamo esprimere tutta la nostra gratitudine per essere stato al centro di tutti gli interventi operati dalla Santa Sede per porre fine, da un lato, a quello che può essere definito uno spaventoso disordine liturgico, dall’altro, alla reazione spropositata di taluni ambienti tradizionalisti, feriti, bisogna ammetterlo, nel loro attaccamento al vecchio rito.
Bisogna, infine, menzionare la dedizione che i cardinali che si sono succeduti alla presidenza, il segretario e il personale della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» hanno mostrato in condizioni rese talvolta ancora più difficili da un margine d’azione spesso ridotto.
D’altra parte, mi permetto di farmi portavoce del grandissimo sconforto che affligge moltissimi fedeli, soprattutto giovani, che ci scrivono centinaia di lettere da tutte le parti della Francia, rattristati per il silenzio che i vescovi oppongono al “grido dei poveri”. Per quanto concerne alcuni preti, essi sono stati emarginati, quasi fossero cittadini di seconda classe, per aver scelto un catechismo e un culto tradizionali. Molti fedeli, d’altronde, hanno abbandonato la Chiesa (o perlomeno le chiese) in punta di piedi. Il danno è talmente evidente che lei stesso, eminenza, ha potuto scrivere: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene concepita “etsi Deus non daretur” [...]»1.
Una soluzione alla crisi, tuttavia, è stata data dal Santo Padre il 2 luglio 1988 con la lettera apostolica Ecclesia Dei, dove si dice testualmente: «A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà – alla quale chiedo che si associno quelle dei vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale – di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni. [...] Inoltre, dovrà essere ovunque rispettato l’animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l’uso del Messale Romano secondo l’edizione tipica del 1962»2.
Ma, purtroppo, sono stati ben pochi i vescovi che si sono associati alla volontà di papa Giovanni Paolo II, e così, in Francia, soltanto la metà delle diocesi ha concesso almeno un luogo di culto riservato ai fedeli legati alle forme tradizionali della liturgia latina. Bisogna inoltre sottolineare che un’interpretazione restrittiva del motu proprio Ecclesia Dei fa sì che il più delle volte i vescovi limitino l’uso del luogo di culto esclusivamente alla celebrazione del sacrificio eucaristico e al sacramento della penitenza, escludendo gli altri sacramenti. Oltretutto, in generale, è consentita la celebrazione della messa solo la domenica, e talvolta addirittura solo una domenica al mese. Pochi vescovi autorizzano i sacerdoti incaricati del ministero “tradizionalista” a occuparsi del catechismo, della preparazione al matrimonio, ecc. Si può dunque ancora parlare di «rispetto delle nostre giuste aspirazioni» e di «ampia e generosa applicazione»? Fortunatamente non mancano le eccezioni, quali le diocesi di Versailles, Parigi, Lione, Saint-Dié, Fréjus-Toulon, Perpignan-Elne, Gap, Strasburgo, tanto per limitarci alle principali.
Alcuni vescovi arguiscono che un atteggiamento più liberale potrebbe provocare divisioni all’interno delle loro diocesi. Ma ciò non significa forse dimenticare, secondo quanto dichiara l’Ecclesia Dei, «che tutti i pastori e gli altri fedeli prendano nuova consapevolezza, non solo della legittimità ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità di carismi, tradizioni di spiritualità e di apostolato, che costituisce anche la bellezza dell’unità nella varietà: di quella “sinfonia” che, sotto l’impulso dello Spirito Santo, la Chiesa terrestre eleva verso il cielo»3? Allora, per quale ragione vengono respinte senza alcun riguardo le domande dei cattolici che desiderano una liturgia diversa da quella praticata abitualmente? E, d’altra parte, siamo proprio certi che tale liturgia sia ancora una sola? In quante parrocchie francesi si celebra ancora la liturgia di Paolo VI in modo strettamente conforme all’edizione del Messale del 1970?
Nella lettera apostolica Apostolos suos, Sua Santità ricorda che: «“Compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice sono riservate alla suprema oppure ad altra autorità ecclesiastica”»4. Urge dunque richiedere all’autorità suprema un’interpretazione autentica che precisi dal punto di vista giuridico come debba essere applicata l’Ecclesia Dei. Per esempio, una lettera della Santa Sede indirizzata a tutti i vescovi diocesani potrebbe indicare opportunamente le diverse soluzioni. Tra quelle possibili ne indichiamo alcune.
A un più alto livello, appare indispensabile ampliare i poteri della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» al fine di sbloccare le numerose situazioni senza via di uscita.
A un livello inferiore, menzioniamo uno statuto ispirato a quello degli ordinariati militari, elaborato dalla costituzione apostolica Spirituali militum curae. Tale figura giuridica, estremamente aperta, presenterebbe il vantaggio di consentire ai fedeli che ne esprimessero il desiderio, di dipendere dall’autorità “di rito tradizionalista” per ciò che concerne gli atti e i luoghi di culto “tradizionalisti” e di continuare a dipendere dal vescovo diocesano per gli altri atti e luoghi di culto. Ci rammarichiamo che questa soluzione, già proposta dai nostri amici americani, non sia stata ulteriormente approfondita sia a livello dei singoli Paesi, sia a livello internazionale.
Un’altra soluzione, per molti aspetti analoga alla precedente, potrebbe essere la creazione di una sorta di vicario apostolico per i “tradizionalisti”, mettendo così in pratica il motu proprio Ecclesia Dei. A tutt’oggi non conosciamo la posizione della Santa Sede in merito a questa proposta che risale al 1990. Più blandamente, si potrebbe anche prevedere un delegato apostolico che dipenda dalla Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» e ne sia, per così dire, il rappresentante itinerante incaricato di proporre ai vescovi diocesani o una soluzione che dipenda da loro (come è stato fatto già in molte diocesi) oppure, nel caso in cui essi preferiscano non occuparsi del culto “tradizionalista”, una soluzione che non dipenda da loro bensì dal delegato apostolico il quale prenderà in considerazione caso per caso. Sotto questa nuova forma, l’ipotesi a noi sembra estremamente interessante.
Si possono prendere in considerazione anche altre tre soluzioni che sono già state messe in pratica con successo a livello locale. La prima prevede che la parrocchia sia divisa tra due parroci in solidum, dei quali l’uno assicuri la celebrazione del nuovo rito e l’altro quella del vecchio. Questo sistema ha funzionato per nove anni nella chiesa di Saint-Eugène a Parigi. La seconda prevede che il parroco di una parrocchia assicuri entrambi i riti; è questa la soluzione attualmente in vigore in quella stessa chiesa. Infine, l’ultima ipotesi prevede la quasi-parrocchia personale affidata interamente ed esclusivamente alle cure di una comunità di sacerdoti sottoposta alla Pontificia Commissione «Ecclesia Dei». È il caso, per esempio, di Notre-Dame-des-Armées e di Port-Marly nella diocesi di Versailles. Dobbiamo ringraziare il vescovo del luogo, monsignor Jean-Charles Thomas, per aver elaborato tali soluzioni che incontrano la nostra approvazione. Ma cosa si può fare quando un vescovo si rifiuta di applicare soluzioni analoghe? Ecco che ci troviamo di fronte al problema di cui parlavamo all’inizio. Tuttavia, se la Santa Sede provasse ai vescovi fino a questo momento reticenti, che tali soluzioni funzionano in modo ottimale, allora certamente qualcun altro si convincerà.
D’altra parte, sarebbe comunque auspicabile prendere nuovamente in considerazione la possibilità per tutti i sacerdoti di celebrare, seguendo liberamente il Messale del 1962 oppure quello del 1970. In attesa che tale disposizione possa entrare in vigore, chiediamo per lo meno che l’Ordo Missae del ’62 venga inserito come fascicolo ad libitum in tutte le edizioni del nuovo Messale, a disposizione dei sacerdoti per la celebrazione della santa messa. Ciò presenterebbe il vantaggio non solo di soddisfare in parte le aspirazioni dei fedeli affezionati al vecchio rito, ma anche di sostenere nella loro pietà i sacerdoti che celebrano la messa secondo il nuovo. Così circa duecento sacerdoti francesi e non, soprattutto giovani, sono venuti al nostro monastero per apprendere5 a celebrare la messa secondo il vecchio Messale. Tra loro c’era un prete americano che ci ha confessato che l’essere stato iniziato al rito classico gli consentiva di celebrare meglio il nuovo, al quale si doveva abitualmente attenere. Quest’esempio mostra quali siano la portata e la virtù educativa della nostra grande liturgia tradizionale.
Per finire, richiediamo insistentemente che cessi una volta per tutte questa guerra dei riti che lacera gli individui e le famiglie. I fedeli chiamati dal motu proprio Ecclesia Dei si augurano di tutto cuore che la persecuzione, ampiamente diffusa, faccia posto a un periodo di pace liturgica stabile e duraturo, dove nessuno possa essere accusato di tradimento e dove, conformemente alle promesse della Santa Sede «tutte le misure saranno prese per garantire la loro identità nella piena comunione della Chiesa cattolica»6.
Lo scandalo provocato dalla divisione deve cessare perché si ripristinino la concordia, l’armonia e l’unità. È in questo spirito di pace e comunione che il 27 aprile del ’95 ho accettato di celebrare la messa assieme al Santo Padre, desiderando mostrare che noi tutti che ci battiamo per la conservazione del vecchio Messale crediamo nella validità e nell’ortodossia del nuovo rito. Tuttavia, per usare le parole di monsignor Joseph Madec, vescovo di Fréjus-Toulon: «Una revisione della riforma liturgica è [...] possibile ed auspicabile: essa riporterebbe forse la pace negli animi e nei cuori»7.
Ricapitoliamo le tre soluzioni principali che continuiamo a proporre: 1) l’ampliamento dei poteri della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», oppure l’istituzione di una autorità intermediaria, sottoposta alla stessa Commissione, sotto forma di una delegazione apostolica che regolasse sul posto ogni questione assieme ai vescovi diocesani; 2) la creazione da parte dell’autorità vescovile o della Santa Sede di quasi-parrocchie personali in ogni diocesi dove un numero minimo di fedeli ne abbia fatto richiesta; 3) l’inserimento del vecchio Ordo Missaead libitum” in tutti i nuovi messali, se non addirittura il permesso a tutti i preti di celebrare secondo il Messale del 1962.
Concludiamo citando il noto adagio Opus iustitiae pax. Anche la pace liturgica è opera della giustizia e, aggiungiamo noi, della carità.


Note

1) J. Ratzinger, La mia vita, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo, 1997, pp. 112-113.
2) Motu proprio Ecclesia Dei nn. 5c e 6c. Il corsivo è dell’autore.
3) Ibidem n. 5a.
4) Il canone 381 § 1 del Codice di diritto canonico citato nella lettera apostolica in forma di motu proprio Apostolos suos n. 19. Il corsivo è nostro. Si tratta in ogni caso del richiamo di una verità dogmatica.
5) O riapprendere, nel caso dei meno giovani.
6) Nota informativa della Santa Sede sul caso Lefebvre, 16 giugno 1988. Il corsivo è dell’autore.
7) J. Madec, Enquête sur la messe traditionnelle, Paris, La Nef, 1998, p. 74.


Nostra traduzione dall’originale francese


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