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I DIECI ANNI DI ECCLESIA DEI
tratto dal n. 11 - 1998

«...formare una nuova generazione di prelati


in grado di vedere che non si tratta di un attacco contro il Concilio ma di una realizzazione, oserei dire, anche più fedele di ciò che attualmente si presenta come realizzazione del Concilio»


Brani dalla Conclusione del cardinale Joseph Ratzinger


Joseph Ratzinger dopo l’intervento di dom Gérard Calvet ha ripreso la parola rispondendo a braccio ai problemi sollevati dall’abate. Ecco alcuni passaggi:
«[...] Tra la posizione di dom Gérard, quella di Michael Davies e la mia c’è una certa differenza. Loro due hanno fatto delle proposte essenzialmente di tipo giuridico: quali possono essere le misure che consentano ai laici che lo desiderino di acquisire una posizione più forte e che rendano più incisivo il ruolo del dicastero competente, ossia la Commissione «Ecclesia Dei». Tutto questo è molto importante [...].
Non avevo parlato del problema [il problema di rendere effettivo quanto stabilito dall’EcclesiaDei] perché penso che bisogna sempre tener presente anche l’altra dimensione. Sulla base dell’esperienza fatta presso la Congregazione di cui sono prefetto, con misure esclusivamente giuridiche alla fine non si ottengono i risultati sperati se non vi è anche un’apertura di cuore, una persuasione, una convinzione che fanno comprendere alle persone di buona volontà le ragioni per cui si desidera una cosa.
[...] Certamente bisogna cercare una soluzione in ambito giuridico, ma è necessario sapere come operare al meglio presso i vescovi, perché anche se alcuni di loro si mostrano molto duri, se alcuni di loro, come ha detto Spaemann, qualche volta abusano della loro discrezione e non rispettano i diritti dei fedeli, tuttavia non sono persone di cattiva volontà. Si tratta piuttosto di una situazione culturale, spirituale, di una determinata educazione, di una determinata formazione di spirito che non consente loro di capire bene il perché e la necessità di aprire le porte alla celebrazione della vecchia liturgia. Essi hanno avuto una formazione, un’educazione che fanno vedere loro la questione come ormai chiusa, perché rappresenta una minaccia contro l’unità e soprattutto contro un Concilio ecumenico che ha il diritto di essere accettato con obbedienza da parte di tutti i fedeli. Questa mentalità ben precisa, quest’educazione ha formato non solo dei vescovi ma anche una larga parte del laici. Per queste ragioni è impossibile per loro accettare delle misure giuridiche che non siano molto ben preparate. È questo il motivo profondo per cui il Santo Padre tarda a dare delle nuove misure giuridiche, perché vede che i cuori non sono sufficientemente aperti e manca la capacità di capire che la questione non va contro il Concilio, contro l’unità della Chiesa e della comunità. Questa difficoltà di capire non deriva da una cattiva volontà, ma piuttosto dalla formazione.
[...] In base alla mia esperienza, sono convinto soprattutto che dobbiamo fare il possibile per formare una nuova generazione di prelati in grado [lungo applauso da parte dei pellegrini] di vedere che non si tratta di un attacco contro il Concilio ma di una realizzazione, oserei dire, anche più fedele di ciò che attualmente si presenta come realizzazione del Concilio, per usare le parole del professor Spaemann. Bisogna destare dunque il cuore e la ragione dal sogno della realizzazione del Concilio, aiutare i preti e i vescovi di buona volontà a vedere che celebrare la liturgia sulla base dei vecchi testi non significa oscurantismo. Non si tratta di tradizionalismo esasperato che si rifiuta di convivere con la Chiesa di oggi e di domani, che non vuole inserirsi nel cammino della Chiesa, che è un organismo vivo. Non si tratta di oscurantismo che è il semplice ritorno al passato, bensì si tratta del reale desiderio di essere nella fedeltà, nel presente della Chiesa, e nell’obbedienza.
[...] Penso dunque che si debbano approfondire i nostri argomenti, nel senso di vedere le intenzioni profonde del Concilio che non riguardano propriamente la riforma del testo ma piuttosto la comunità vivente nella preghiera, nel dialogo del corpo di Cristo con il suo Capo, nel dialogo della Chiesa con il suo Signore. In questo senso, accetto pienamente quanto detto in questa sede, tuttavia penso che [sia opportuna] un’opera di educazione e di sensibilizzazione anche di noi stessi per comprendere meglio gli altri, per essere maggiormente capaci di convincerli su una questione di primaria importanza [...].
Se noi diciamo soltanto che vogliamo avere i diritti delle persone giuridiche ecc., non arriveremo mai da nessuna parte. Armati della stessa grande pazienza che il Signore mostra sempre nei nostri confronti, dobbiamo fare il possibile per comprendere più approfonditamente l’essenza della liturgia e, contemporaneamente, celebrarla con la più grande devozione possibile e divenire capaci di aprire il cuore dei nostri vescovi e dei nostri amici laici».


Nostra traduzione dall’originale francese


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