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UN RICORDO DEL CARDINALE HAMER
tratto dal n. 11 - 1998

Il grido del fanciullo smarrito nel bosco di Tradate


Introduzione del cardinale Jean Jérôme Hamer al libro di Luigi Giussani, È, se opera, supplemento a 30Giorni, n. 2, febbraio 1994


Un articolo del cardinale Jean-Jérôme Hamer apparso nel libro È, se opera


Don Luigi Giussani racconta una sua esperienza, molto significativa in se stessa ma più ancora nell’interpretazione che ne dà. «Una volta, da giovanissimo, mi sono perso nel grande bosco di Tradate e, invaso dal panico, ho gridato per ben tre ore mentre il sole stava per cadere. Quella esperienza mi ha fatto capire – dopo – come l’uomo è ricerca: l’uomo è ricerca se grida, ma grida se c’è qualcosa d’altro. Il grido implica l’esistenza di qualcosa d’altro. Altrimenti perché l’uomo grida?».
Possiamo in questo semplice fatto scoprire una parabola che contiene in nuce il messaggio di don Giussani, messaggio che le sue conversazioni recenti mettono in luce sotto diversi aspetti. A questo grido c’è una risposta: l’avvenimento di Cristo che viene a soccorso dell’uomo che aspetta impotente nella disperazione. Ma questa risposta va ben al di là di questa operazione di salvataggio perché costituisce l’uomo nella condizione e nella dignità di figlio di Dio.
Il nuovo volumetto prosegue il filo di un discorso avviato dallo stesso autore nel libro Un avvenimento di vita, cioè una storia (Il Sabato, Roma, 1993). Già in quell’occasione mi interessò il modo in cui don Giussani presentava l’idea del cristianesimo come avvenimento. Un Fatto fondamentalmente nuovo: «Non prevedibile, non previsto, non conseguenza di fattori antecedenti». Per «incontrare» il cristianesimo, dice Giussani, non c’è bisogno di pre-requisiti d’ordine culturale, religioso o morale. Cristo è la risposta adeguata ai desideri più profondi dell’uomo. Ma il compimento non è lo sviluppo naturale e progressivo dell’attesa umana. L’attesa riceve una risposta che supera di molto la domanda posta.
San Paolo rivela anche lui la sua impotenza a superare gli antagonismi che sperimenta in sé: «Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto […]. Io non compio il bene che voglio ma il male che non voglio» (Rm 7, 15-19). Anche lui grida: «Chi mi libererà?». La risposta segue subito: «Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 7, 24-25).
Per rifare l’umano occorre l’intervento di qualcosa di sovrumano. Per sintetizzarlo don Giussani ripete spesso la parola di Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5).
Ma don Giussani non cede al pessimismo, vive invece intensamente un insegnamento importante della tradizione morale della Chiesa: indipendentemente da Cristo, che agisce con la sua grazia, l’uomo decaduto non può realizzare pienamente la sua umanità sul piano puramente umano. È l’intervento di Cristo, la sua grazia di redenzione, che rende l’uomo veramente uomo, capace di comportarsi da uomo, conducendo una vita autenticamente umana, in piena conformità con tutte le esigenze della legge morale.
Don Giussani non inventa una teologia nuova. Ricorre alle parole classiche del vocabolario cristiano: il peccato originale, la grazia, il miracolo del cambiamento morale. Eppure tutto sembra nuovo. Sia perché il pensiero dominante, oggi, ha svuotato e deformato proprio il senso vero delle parole della tradizione cristiana. Sia perché la sua non è una riflessione astratta ma ha l’efficacia persuasiva di una storia vissuta e raccontata.
In questo modo un Fatto capitato duemila anni fa diventa – che paradosso! – la novità più clamorosa e interessante nell’oggi di tanti giovani.
I giovani a cui parla don Luigi Giussani in questo libretto sono molto diversi dalla generazione che visse e preparò la stagione del Concilio ecumenico Vaticano II. Quasi nessuno di questi giovani è cristiano in forza di una tradizione, che umanamente non significava più nulla per loro. L’ha detto bene il cardinale Joseph Ratzinger in un’intervista allegata al numero di gennaio 1994 di 30Giorni: «Si può notare che le nuove generazioni non hanno più bisogno di entrare in discussione con il passato della fede, come è stata ed è tuttora così violentemente occupata a fare la generazione dei ribelli religiosi del post Concilio. Non hanno bisogno di rifiutarlo perché è un passato che non li riguarda». Il messaggio di don Giussani, così profondamente paolino, ha trovato l’ascolto attento di questi giovani. Incontrerà l’interesse e l’adesione di molti lettori di questo libretto, perché siamo tutti davanti alla stessa questione, e tutti noi abbiamo nella gola il grido del fanciullo smarrito nel bosco di Tradate.


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