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CINEMA
tratto dal n. 03 - 2000

Tutti i Nicky Renda del mondo


Intervista con Carlo Verdone: il suo ultimo film dedicato al delirio di onnipotenza che segue il successo. E poi Roma, la “caciara” e il Giubileo. La Chiesa dei poveri e quella che cerca il potere


Intervista con Carlo Verdone di Roberto Rotondo e Antonio Termenini


Carlo Verdone è uno che a quarantanove anni non si è stancato di guardare e rileggere l’umanità che lo circonda. Vive in uno stato di osservazione continua della società e dei cosiddetti “tempi che corrono”. È uno degli attori-registi comici più amati e popolari del nostro Paese, ma i suoi personaggi sono molte volte venati da una comicità amara, disincantata. Come nel suo ultimo film, C’era un cinese in coma, per parlare del quale l’abbiamo incontrato in una assolata mattinata primaverile. Ma la sensibilità di un tipo eclettico come Verdone ci porta presto a dialogare anche su altri argomenti: il Giubileo, la Chiesa, i terremotati abbandonati a se stessi, i fornai che giocano in Borsa...

Carlo Verdone sul Lungotevere, all’altezza di via Giulia, a Roma

Carlo Verdone sul Lungotevere, all’altezza di via Giulia, a Roma

Qual è la chiave di lettura di C’era un cinese in coma, storia dell’ascesa e della caduta di Nicky Renda, il giovane comico interpretato da Beppe Fiorello, e del rapporto con il suo manager, Ercole Preziosi, il personaggio che tu interpreti?
CARLO VERDONE: Il tema del film è la facilità con cui si può raggiungere oggi il successo. È un film sulla presunzione, sul delirio di onnipotenza e sul vizio che segue a questo successo. Un successo effimero che si risolve sempre in una grande fiammata. È anche un film sul fatto che abbiamo dimenticato cos’è un’amicizia vera, un rapporto autentico con gli altri. È un film sull’egoismo, sull’egocentrismo. Il personaggio di Beppe Fiorello rappresenta un certo ambiente che io conosco bene e che è spesso pieno di totale irriconoscenza, di tradimenti e, alla fine, di solitudine.
Non è la prima volta che racconti del rapporto tra un attore e il suo manager. L’avevi fatto in Sono pazzo di Iris Blond...
VERDONE: Questa storia è totalmente diversa: Ercole Preziosi è un agente di serie C, un brav’uomo sposato con una donna russa, con la quale ha una figlia di diciotto anni. È una famiglia che va avanti con una certa fatica, una certa noia, una certa malinconia. Ercole esce di casa il pomeriggio e torna all’alba, fa un lavoro stressante, a volte anche un po’ umiliante.
Ha un autista molto devoto, un giovane con velleità di attore che lo allieta ogni notte con delle barzellette. Il ragazzo studia all’università, ma ama questo mondo da avanspettacolo, con elezioni di miss e cabaret. Racconta così bene le sue barzellette che una sera, in occasione di una convention di piastrellisti di Treviso, viene convinto da Preziosi a salire sul palco e ad improvvisare, perché l’attore principale dell’agenzia non c’è (si è schiantato in macchina). Ha molto successo. E così inizia la parabola ascendente di Nicky Renda, che, serata dopo serata, diventa la prima star dell’agenzia.
Da questo momento il rapporto con il suo agente si capovolge. Nella seconda parte, il film scivola in una comicità molto cattiva: Renda si prende delle confidenze con l’agente, lo umilia più volte in pubblico, lo odia, perché questo manager, adesso che lui è corteggiato anche dalle televisioni, non è più adeguato. Renda comincia a diventare molto vizioso: si intromette nella famiglia di Preziosi, riesce a concupire sua figlia. A questo punto inizia la vendetta di Preziosi nei confronti della sua creatura: alla fine la distruggerà. Qualche somiglianza con Sono pazzo di Iris Blond può anche esserci, ma in fondo gli umori, le atmosfere sono diverse. Lì ci sono due anime un po’ sole che si incontrano, tutte e due deluse dalla vita.
C’era un cinese in coma è anche la storia di uno scontro generazionale: da una parte c’è un quasi trentenne, dall’altra un quasi cinquantenne, un tuo coetaneo. Cosa pensi della tua maturazione?
VERDONE: Io, a quarantanove anni, sono ancora attento a come cambia la gente, a come cambia il linguaggio, il costume. Sono un curioso; e nonostante il successo mi piace girare per strada. Vado avanti con gli anni e la mia faccia non è più quella di Un sacco bello o di Bianco, rosso e verdone.
Mi adeguo al mutamento della mia fisionomia... Ma non è una sconfitta, è un obbiettivo in più: devo far ridere con un’altra maschera addosso. Sarà sempre comica, ma un po’ più invecchiata, con lati più drammatici. La malinconia può affiorare in modo più evidente rispetto al passato. Il desiderio di stare insieme ai ragazzi è immutato, loro hanno preso moltissimo da me: pensa al fenomeno malefico del “coatto”. Mi viene in mente Gallo Cedrone (un film molto controverso perché è stato visto, a volte, solo come l’ennesimo travestimento di Carlo Verdone), che è fondamentale per me, perché è l’apoteosi del disastro di un uomo di mezza età di fine millennio. Tra qualche anno ci ricorderemo dell’attualità di quel personaggio, che deve essere visto, metaforicamente, come un grande bugiardo, un grande “cazzaro”, un grande... “infantile”. Ma in questo Paese, uno così può avere anche l’opportunità, un giorno, di parlare da un palco elettorale...
Mi sembra di capire che sei piuttosto pessimista sul futuro...
VERDONE: Credo che ci sia troppa superficialità, troppa presunzione e una spaventosa mancanza di memoria storica. Viviamo solo di presente, ma è un presente fatto di attimi sconnessi con ciò che è accaduto prima. Lo vedo anche con i miei figli e i loro amici. La loro memoria storica non copre che gli ultimi dieci anni. Tutto ciò che è avvenuto prima è stato cancellato, così come si “resetta” la memoria del computer e la si aggiorna.
L’ansia dei giovani infatti è solo quella di essere sempre aggiornati: cambiano cellulare ogni tre mesi perché deve essere sempre l’ultimo modello, cambiano computer, modem... qualsiasi cosa pur di non sentirsi scavalcati. Hanno il problema di dover andare sempre oltre. In questo modo, certi scrittori, certi film, certi libri fondamentali di qualche anno fa sono già perduti, dimenticati.
Gli happy end sono pressoché banditi dai tuoi film e si è molto parlato della vena di malinconia presente nel tuo cinema comico. Da cosa nasce questa commistione?
VERDONE: Nasce da quello che uno ha dentro. Fellini aveva una malinconia di fondo innegabile, che traspare da ogni suo film. Io, che sono un esempio infinitamente più piccolo di lui, ho un medesimo approccio nei confronti della vita. Sono un malinconico, anzi un “malincomico”, come mi definì una volta La Stampa. Se fossi stato più furbo, in alcuni film avrei scelto finali diversi. Ma sarebbe stato un errore. E non dipende dall’età: non c’è un mio film, a partire dai primi, che non abbia un velo di tristezza nel finale. Non è snobismo o voglia di guadagnarsi l’etichetta di “cinema d’autore” con un finale triste... È che sono così: attorno a me sento tutto così precario, sento che non c’è motivo per non concludere che il domani sarà più triste di oggi.
Gran parte dei tuoi film partono da Roma. In che cosa questa città è unica?
VERDONE: Nella “caciara”, nella grande confusione, nella contraddittorietà: accogliamo gli stranieri, poi non sappiamo dove metterli. Siamo molto cattolici, ma anche un po’ razzisti; siamo bonaccioni, ma anche insofferenti. Siamo caotici nella burocrazia, nel traffico... Eppure Roma è una città curiosa, interessante e meravigliosa. È indubbiamente il mio punto di osservazione preferito. Qui sono libero di cogliere quei comportamenti, quei tic, quel tipo di linguaggio che riporto sempre nei miei film e che a volte diventano dei tormentoni.
Quest’anno a Roma si celebra il Giubileo. Pupi Avati, in un’intervista rilasciata alla nostra rivista, ha detto che la trasformazione del Giubileo in un evento mediatico l’ha bruciato in un attimo, l’ha reso una manifestazione televisiva tra le tante. Tu cosa ne pensi?
VERDONE: È vero. L’aspetto spettacolare del Giubileo sta sovrastando nettamente l’aspetto religioso. Ricordo che, dopo l’apertura della Porta Santa, sui giornali veniva riportato lo share d’ascolto. Ma è così importante? Serve a qualcuno? Lasciamo la battaglia sull’auditel ai programmi di intrattenimento, ai quiz. Quando si parla di Anno Santo la prima preoccupazione, anche nella Chiesa, non possono essere i dati di ascolto. Sarebbe l’ennesimo segnale che si sta smarrendo il significato vero del Giubileo. E la colpa non è della televisione. Non facciamoci illusioni: quello che passa nel piccolo schermo sul Giubileo, bene che vada, è equiparabile a una campagna di promozione di tipo turistico.
Ma sapere se un avvenimento del Giubileo è stato seguito in televisione da un milione di persone o da cento, ha una sua rilevanza...
VERDONE: Il fatto è che oggi conta solo la quantità e mai la qualità. A me che faccio il regista chiedono solo quanto ha incassato il mio film, non ti dicono mai se è bello o se è brutto. In televisione conta solo l’audience, lo share. Si ragiona solo in termini quantitativi; i telegiornali aprono con la notizia sulle vincite al Superenalotto, su quanto è cresciuta la Borsa. È un’epoca brutta, troppo materialista.
Mi sembra che la voglia di arricchirsi sia vecchia come il mondo...
VERDONE: Ma non è mai stato così. Oggi gioca in Borsa anche il mio fornaio, e mentre lavora nel negozio ha sempre il Televideo su pagina 302 per controllare costantemente il Mibtel!
Che rapporto hai con la Chiesa cattolica?
VERDONE: Sono religioso, mi reputo un cattolico. Non sono purtroppo un grande praticante, ma ho molto rispetto e stima per una Chiesa povera che si pone per quello che è, che riesce a comunicare in maniera semplice. Sono stupito dalla Chiesa dei poveri, da certi sacerdoti che lavorano in condizioni impossibili e con pochissimi mezzi nei Paesi del terzo mondo. Ho decisamente minor stima per tanti prelati con i Rolex al polso e tanta brama di potere. Non ne faccio una questione di ruoli: da una parte il missionario generoso e dall’altra il cardinale burocrate e cinico. Per esempio ho conosciuto il cardinale Tonini. Con lui ho realizzato un’intervista per un settimanale femminile e mi ha detto delle cose che mi hanno fatto riflettere. Allo stesso modo stimo il Pontefice, che rimarrà uno dei personaggi più significativi del Novecento.
Ultimamente la Chiesa sta cercando la collaborazione di molti personaggi dello spettacolo. Ci sono stati concerti organizzati dal Vaticano. In questi casi, a “guadagnarci” è l’immagine della Chiesa o quella dell’artista che partecipa?
VERDONE: C’è un vantaggio reciproco. La Chiesa pensa che organizzare un concerto con un cantautore famoso sia un modo per riaccostarsi ai giovani. I cantautori pensano che il fatto che la Chiesa li chiami, sia una prova della non banalità della loro produzione.
Si tratta di un rapporto autentico?
VERDONE: Dipende dall’autenticità e dal valore dell’artista. Certo, il cantante dice di avere solo motivazioni ideali per andare a cantare in piazza San Pietro, però tutti sanno che essendo magari sponsorizzato dall’azienda dei telefoni, il concerto è stato organizzato a fini squisitamente commerciali. Ma anche se non fosse così, sarebbe un male abusare di queste occasioni. La Chiesa non ha bisogno di Baglioni per accostarsi ai giovani, o di Jovanotti o di Celentano. Né i giovani riscoprono il cristianesimo per un concerto. Penso che la Chiesa debba comunicare quello che le è proprio, riscoprendo certi valori di semplicità, di povertà.
Una Chiesa che appaia meno sui giornali?
VERDONE: Non dico questo. Anzi, su alcuni argomenti dovrebbe alzare la voce e non lo fa.
Prendiamo il caso dei terremotati dell’Umbria: c’è di mezzo la vita di tante persone costrette a vivere da anni nei container. Come in un lager. Ci sono stati abusi, ladronerie nella beneficenza... Perché la Chiesa non è accanto a queste gente, non si fa paladina dei diritti di queste persone? Io sono felice che la Basilica di Assisi sia stata ristrutturata velocemente... per i turisti. Sarei stato più contento se fosse stata ristrutturata mezza Basilica e costruite metà delle case per i terremotati. Io credo che qualche voce autorevole del Vaticano, forse lo stesso Pontefice, dovrebbe dire qualcosa...


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