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STORIA DEI GIUBILEI
tratto dal n. 10 - 1998

Perdono di colpa e di pena


Persino durante il lungo Scisma d’Occidente gli Anni Santi furono celebrati rispettando il loro scopo specifico, che è quello di offrire ai pellegrini misericordia e pace


di Serena Ravaglioli


Fra il 1390 e il 1423 furono celebrati ben tre anni santi. Lo svolgimento di tutti e tre si lega in qualche modo allo Scisma d’Occidente, la grave spaccatura avvenuta nella Chiesa nel 1378 dopo l’elezione al soglio pontificio di Urbano VI, quando i cardinali francesi, che non avevano voluto riconoscere il nuovo Papa italiano, ne avevano eletto un altro con il nome di Clemente VII. Per quarant’anni il papa da Roma e l’antipapa da Avignone andarono avanti scomunicandosi a vicenda – e scomunicando l’uno i fedeli dell’altro, sicché il provvedimento finì per riguardare l’intero orbe cattolico – e affrontandosi in armi.
In questo clima si pone il Giubileo del 1390, voluto da Urbano VI proprio con il fine di ribadire il primato della sede di Roma e di assicurarsi allo stesso tempo il favore della popolazione romana in perenne turbolenza. La motivazione ufficiale non era evidentemente questa: nella bolla d’indizione si parla della volontà di ridurre a 33 gli anni d’intervallo fra un giubileo e l’altro per commemorare gli anni di Cristo. Si teneva in conto anche il fatto che gli uomini «debilitati dalle lunghe contagioni» e in maniera particolare dalla peste, che in quegli anni la faceva da padrona in tutte le regioni europee, spesso non arrivavano ai cinquant’anni e restavano quindi privi dell’opportunità di lucrare l’indulgenza giubilare.
Poiché i 33 anni dall’ultimo Giubileo, che era stato celebrato nel 1350, erano già passati, Urbano VI indisse il nuovo per il 1390, ma la sorte non gli fu amica ed egli morì prima dell’inizio dell’anno. Fu dunque il suo successore, Bonifacio IX, a dare inizio all’Anno Santo con le cerimonie del Natale. Rispetto ai due precedenti, questo Giubileo vide un’affluenza di pellegrini molto ridotta. Vennero infatti soltanto quelli che riconoscevano il Papa italiano: i tedeschi, gli inglesi, i polacchi, gli ungheresi; gli altri, invece, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Italia meridionale, rimasero in patria per fedeltà a Clemente VII, che da Avignone negava a Urbano VI ogni facoltà di concedere “perdonanze”.
A due fedeli d’eccezione, il re d’Inghilterra Riccardo II e il re del Portogallo Giovanni I, l’indulgenza giubilare fu inviata a domicilio, tramite un confessore. In cambio ambedue i sovrani si impegnarono a impiegare in chiese e opere buone quanto avrebbero speso per venire a Roma.
Ben diversa fu la temperie in cui ebbe inizio l’Anno Santo del 1400. Secondo la nuova periodicità stabilita da Urbano VI, in quell’anno non avrebbe dovuto celebrarsi il Giubileo e di fatto non venne emessa alcuna bolla d’indizione. Fu la pietà popolare a imporlo, spinta da una devozione che la scadenza secolare sembrava acuire e alla quale non era certamente estraneo lo sconforto per la triste situazione della Chiesa divisa in due sedi apostoliche. Un gran numero di romei cominciò così a recarsi nell’Urbe, incurante della peste e dell’insicurezza del viaggio su strade infestate da banditi e malfattori, e a loro il Papa concesse il perdono e la benedizione.
Il pellegrinaggio di gran lunga più significativo fu quello dei Bianchi. Si chiamò così un movimento religioso popolare che aveva avuto origine a Chieri in Piemonte, ove un gruppo di persone esasperate dalla lunga guerra tra Savoia e Monferrato era sceso in piazza gridando «pace e misericordia» e flagellandosi a sangue in segno di penitenza. Da lì i flagellanti si erano presto diffusi in varie parti dell’Italia settentrionale e cominciarono a discendere verso Roma. Sopra le vesti indossavano un lungo saio bianco, da cui il loro nome, e anche il capo era coperto da un cappuccio bianco con due fori per gli occhi. Avanzavano in processione dietro una croce, allineati a due o a tre, tenendo in mano candele accese e battendosi forte con una sferza mentre chiedevano perdono dei peccati e cantavano laudi sacre. I primi versi di quella intonata più di frequente recitavano: «Misericordia, eterno Dio / Pace, pace, Signore pio». Alla “passata” dei Bianchi aderiva il popolo in massa, ma non furono pochi anche i notabili che si unirono a loro, come l’arcivescovo Fieschi di Genova o il marchese Niccolò d’Este a Ferrara. Il fervore mistico che li contraddistingueva portò un cronista dell’epoca a commentare così il loro pellegrinaggio: «Pareva proprio cosa di Dio».
Il papa Bonifacio a Roma li attendeva con una certa diffidenza, timoroso della portata rivoluzionaria di un simile movimento spontaneo e incontrollato. Poi però il racconto di un miracolo verificatosi a Sutri, dove un crocefisso fu visto sorridere ai Bianchi, l’adesione convinta di molti cardinali, che si diedero a seguire scalzi i pellegrini, e il ruolo di guida assunto dal conte Nicolò dell’Anguillara, che si mise a capo della folla portando egli stesso una grande croce nera, oltre che naturalmente l’impressionante spettacolo di fede che i Bianchi offrivano, conquistarono Bonifacio al loro stesso entusiasmo. Il cronista Sercambi riferisce che il Papa mostrò a una folla di 120mila persone il sudario della Veronica e proclamò il «perdono di colpa e di pena» a chi avesse compiuto opere di penitenza per nove giorni. Fu, tuttavia, l’epilogo del movimento dei Bianchi, ché di lì a poco la peste scoppiò implacabile fra di loro, facendo strage e disperdendo i pochi superstiti.
L’ultimo Giubileo che si collega allo Scisma d’Occidente è quello del 1423, celebrato da Martino V poco dopo il suo trionfale ritorno a Roma, dopo che il Concilio di Costanza lo aveva riconosciuto unico Pontefice mettendo termine allo scisma. L’Anno Santo fu dunque un’occasione propizia per dimostrare l’accresciuto prestigio papale e la riconquistata unità cattolica.
I pellegrini italiani non furono moltissimi. Risultarono di gran lunga più numerosi quelli provenienti dai Paesi del Nord Europa e questo non riuscì molto gradito al raffinato entourage del primo Papa dell’Umanesimo. Poggio Bracciolini, che Martino V si era portato a Roma da Firenze in veste di segretario, ha lasciato un giudizio abbastanza significativo a questo proposito: «L’affluenza dei pellegrini fu grande e come inondazione di barbari riempirono la città di sporcizia e di sudiciume». Non è improbabile che la mancanza di apprezzamento fosse reciproca e che i pellegrini oltremontani già da allora cominciassero a nutrire serie riserve nei confronti della cristianità romana, troppo mondanizzata.
Un’ultima notizia sul 1423 riguarda la Porta Santa. È infatti a questo Giubileo che si riferisce la prima notizia relativa all’uso di un ingresso alle Basiliche patriarcali, nella fattispecie quella del Laterano, riservato all’Anno Santo. Scrive infatti nella Cronica di Viterbo Nicola della Tuccia: «Papa Martino fe’ poi aprire la porta santa di S. Joanni». Notizie più precise ci vengono però per il Giubileo successivo, quello del 1450, da Giovanni Rucellai, ricco mercante fiorentino che raccolse le impressioni del suo pellegrinaggio romano in uno Zibaldone indirizzato ai figli: «Delle cinque porte (del Laterano) ve n’è una che del continuo sta murata, eccetto che l’anno del giubileo, che si smura per Natale, quando comincia il giubileo; ed è tanta la divozione che le persone hanno nei mattoni e calcinacci che subito come è smurata a furia di popolo sono portati via et gli oltremontani se li portavano a casa come reliquie sancte... et per detta divozione ciascuno che va al perdono passa per detta porta la quale si rimura subito finito il giubileo».


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