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OBLATI DI MARIA IMMACOLATA
tratto dal n. 10 - 1998

Anche oggi si può rischiare la vita


Intervista con monsignor Marcello Zago, per dodici anni superiore generale della Congregazione. Oggi è segretario di Propaganda Fide


Intervista con Marcello Zago di Stefano Maria Paci


Marcello Zago è stato per dodici anni (il massimo consentito dalle costituzioni della Congregazione) superiore generale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Un incarico che ha lasciato da pochi mesi. È stato nominato, infatti, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, il dicastero vaticano meglio conosciuto come Propaganda Fide. Giovanni Paolo II l’ha consacrato arcivescovo il 25 aprile scorso, nella Basilica di San Pietro.
L’inizio della storia degli Oblati presenta aspetti eroici, sembra un’epopea. Missionari che si recano in terre pressoché sconosciute, tra persone che non hanno mai sentito parlare di cristianesimo. Oggi il lavoro del missionario è cambiato?
MARCELLO ZAGO: Per molti aspetti è lo stesso. Basti fare l’esempio del Turkmenistan, un Paese dove finora non c’è mai stata traccia di cristianesimo. L’anno scorso ci sono andati degli oblati polacchi, e sono i primi sacerdoti che sono entrati in quel Paese. Saranno loro a far nascere, per la prima volta nella storia, una Chiesa turkmena. Il Paese è sempre stato esclusivamente musulmano, ma dopo le deportazioni effettuate da Stalin c’è una popolazione pluralista. Ci vivono anche dei cattolici, ma per decine e decine di anni a questi cattolici è stata impedita ogni pratica religiosa, mancando la libertà e ogni luogo di culto. E altri oblati sono andati recentemente a Cuba, in aiuto di tre diocesi. Si occupano di comunità cristiane che da trentacinque anni non vedevano più un sacerdote.
Avete creato altre nuove fondazioni missionarie durante questi dodici anni in cui lei è stato superiore generale?
ZAGO: Molte, ed è stato come l’avverarsi di un sogno, non costruito a tavolino. Le nuove fondazioni sono state tredici. Sono state create nuove presenze missionarie in quattro Paesi dell’America Latina: tra gli indios del Guatemala e quelli del Venezuela, tra gli afroamericani della Colombia e, appunto, tra i cristiani abbandonati di Cuba. Altre quattro nuove fondazioni sono nate in Africa: in Nigeria, in Angola, in Botswana e in Kenia. In Asia sono andati due gruppi di oblati: oltre che in Turkmenistan, anche in Corea. E in Europa centro-orientale, dopo la caduta dell’impero sovietico, sono state fatte nuove fondazioni in Ucraina, Bielorussia e Repubblica Ceca.
Come nascono queste nuove iniziative missionarie?
ZAGO: Rispondendo a degli appelli che ci giungono da diverse parti della Chiesa. O ci chiamano le Chiese locali, per bisogni particolari, o ci viene chiesto di andare dove la Chiesa non esiste ancora. Dopo aver fatto un debito discernimento delle proposte, le trasmettiamo a gruppi di oblati o a singole persone. Personalmente, mi ha stupito vedere che hanno risposto non solo province con vocazioni sufficienti, come la Polonia e il Congo, ma anche quelle afflitte da scarsezza estrema, come il Canada e il Kenia.
Sono numerose le situazioni in cui i missionari ancora oggi rischiano la vita?
ZAGO: Sì. Ci sono situazioni di guerra e di guerriglia come nello Sri Lanka, nel Congo o nel Perù. Ci sono stati anche dei vescovi oblati uccisi, come monsignor Ben de Jesus e monsignor Nepomuceno nelle Filippine. Per i nostri missionari, il pericolo di sequestro o di assassinio è costante in molte zone. La testimonianza dei martiri ci richiama l’esigenza della nostra vocazione, che è quella di essere «pronti a sacrificare tutto, la vita stessa per amore di Gesù Cristo, per il servizio della Chiesa e per la santificazione del prossimo».
Anche voi risentite della crisi di vocazioni che colpisce molti ordini nella Chiesa?
ZAGO: Le partenze sono molto diminuite rispetto agli anni Settanta e Ottanta. E la Congregazione continua a diminuire in numero complessivo. Ma oggi, nella parte meridionale del globo le nostre vocazioni sono in notevole aumento. In Africa, America Latina e Asia il numero dei missionari cresce e l’età media diminuisce, mentre in Canada, Europa e Stati Uniti avviene il contrario.
E questo cosa comporta?
ZAGO: Nei Paesi occidentali bisogna spesso chiudere non solo delle case, ma anche delle opere significative, proprio in un momento nel quale le sfide missionarie aumentano. L’immigrazione, infatti, introduce in queste nazioni dei gruppi che non sono mai stati evangelizzati. Gli istituti missionari potrebbero dare un contributo di esperienza, ma la mancanza di persone spesso blocca le iniziative.
Un’altra causa di sofferenza è il constatare l’insufficienza di missionari per rispondere a bisogni antichi e nuovi. Faccio un esempio. Gli Oblati hanno vissuto per un secolo e mezzo una meravigliosa epopea nelle missioni nordiche, tra gli eschimesi e gli indiani. Oggi ci sono otto vescovi oblati in questi territori del Canada settentrionale, ma i missionari invecchiano, muoiono, e il loro numero si riduce progressivamente. Io ho inviato una decina di giovani missionari, ma ce ne vorrebbero un centinaio per far fronte a un mondo che cambia e diventa sempre più difficile.
Della Congregazione fa parte anche padre Tissa Balasuriya, il teologo asiatico che la Congregazione per la dottrina della fede ha scomunicato all’inizio dell’anno scorso. Come hanno vissuto gli Oblati, e lei personalmente, che ne era il superiore, questa vicenda?
ZAGO: È stato uno dei momenti più penosi di tutta la mia esperienza di superiore generale. Conoscevo e stimavo padre Balasuriya per le sue attività sociali. Il dicastero guidato dal cardinale Ratzinger ha iniziato un processo a uno dei suoi libri, ma per due anni è continuata una specie di dialogo tra sordi. Alla fine è scattata la scomunica. Però la costanza accompagnata dalla carità ha portato, un anno dopo, alla riconciliazione di padre Balasuriya con la Chiesa. Una riconciliazione che è stata cercata con ostinazione dall’amministrazione generale degli Oblati, e che è stata approvata dal dicastero vaticano. Un esempio di come la carità genera la comunione.


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