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DOCUMENTO
tratto dal n. 09 - 1998

La sorpresa di Dario Fo


La raccolta degli articoli di Giulio Andreotti pubblicati sul quotidiano Il Tempo dal 25 giugno al 16 settembre 1998


Gli articoli di Giulio Andreotti apparsi sul quotidiano romano Il Tempo


25 giugno
Mai dire mai

La visita in corso del presidente Clinton a Pechino mi richiama un episodio quasi giovanile. Nell’estate del 1954 (ero in anno “sabbatico” dopo il lungo periodo alla Presidenza) ricevetti l’imprevisto invito a una colazione privata dall’ambasciatrice americana Claire Luce. Mi parlò dell’Estremo Oriente dicendo che mai il Senato avrebbe riconosciuto la Cina comunista. Risposi che nessuno poteva ipotizzare il futuro in una materia così difficile. Fu il presidente Nixon negli anni Settanta a smentire la previsione così drastica; e lo fece realizzando il capolavoro di aprire alla Cina mantenendo buoni rapporti con Mosca. Ma non è escluso che la defenestrazione dello stesso Nixon non dipese tanto dagli zelanti impiccioni dello spionaggio politico nel Watergate quanto proprio dal mutamento di rotta nell’intransigenza anticinese. Speriamo che il tempo immunizzi Clinton da scherzi del genere.


30 giugno
Hanno ignorato il grande Giolitti

Il vecchio giornalista Gaetano Natale, che trascorse gli ultimi anni di vita nel Transatlantico di Montecitorio narrando episodi riservatissimi – si fa per dire – sulla vita del grande Giovanni Giolitti, se non lo avesse già fatto sarebbe morto di crepacuore apprendendo che nessuno degli studenti della maturità aveva scelto il tema su Giolitti e la prima guerra mondiale (in verità difficile e forse formulato poco brillantemente).
Nei cicli storici più o meno ventennali che l’Italia attraversa da circa un secolo, quello che ci riporta a Giolitti è stato senza dubbio rilevante, anche se con un passivo superiore all’attivo e con un finale di sostanziale resa ai fascisti che avevano occupato governo e Parlamento. Durante la discussione sul Patto Atlantico (1949) un corteo di oppositori marciò minacciosamente verso la Camera dei deputati e la Celere dovette ricorrere ai mezzi dissuasivi più efficaci per impedire che i protestatari andassero oltre piazza Colonna. In prima fila marciarono parlamentari, creando delicati problemi alla polizia. A un brigadiere che lo bloccava, uno dei deputati gridò: «Giù le mani. Sono Giolitti». Senza scomporsi, e ritengo in buona fede, il sottufficiale non mollò la preda, gridando a sua volta: «Sì. Io sono Cadorna». Qualche rudimentale idea del passato il celerino mostrò di averla. Più degli studenti del 1998.
Appendice non irrilevante. Divenuto socialista ed essendo stato deciso l’ingresso dei socialisti nel governo con la Dc, l’onorevole Giolitti nipote divenne ministro del Bilancio. Dovette però attendere qualche settimana per avere il nulla osta di segretezza Nato. Qualche coda delle marce precedenti restava negli atti.
P.S. Attratto da un terzo Giolitti, quello dei gelati agli Uffici del Vicario, l’onorevole Togliatti lasciò di soppiatto la Camera il 14 luglio 1948 e la sfortuna volle che trovasse all’angolo il suo attentatore Pallante.


1 luglio
La lezione portoghese sull’aborto

La risposta del popolo portoghese nel referendum sulla estensione dell’aborto legalizzato mi sembra abbia un significato di portata generale. Il Parlamento aveva in una prima fase approvato la riforma concessiva proposta dai socialisti, ma era intervenuta a bloccarla la richiesta referendaria.
Alle urne sono andati solo trentadue su cento aventi diritto. L’enorme astensione si spiega forse con la grande perplessità che un problema così delicato comporta. Se scientificamente è ormai certo che la “creatura” esiste fin dal concepimento, se ne dovrebbe trarre la conseguenza che ucciderla è comunque un omicidio.
È però un durus sermo che si fa fatica a recepire.
Altro insegnamento ricevuto. I cittadini – contrari sia pure con piccolo margine – hanno voluto tenere distinte le loro convinzioni politiche (i socialisti sono in maggioranza) dal tema specifico.
I socialisti stessi hanno compreso la lezione e hanno ritirato il progetto, riservandosi tuttavia di ripresentarlo nel 1999, dopo le elezioni generali. Rimane in vigore in Portogallo la normativa vigente.
Fino alla dodicesima settimana l’aborto è lecito in caso di violenza carnale o di grave rischio per la sopravvivenza della madre. Se invece è accertata una grave deformazione del nascituro, l’aborto è consentito per tredici settimane.
Riguardo all’Italia, c’è da chiedersi se una attenuazione della legislazione del 1978 sia opportuna – in attesa di coerenza totale sul divieto di uccidere – o se rappresenterebbe un alibi per rinviare sine die la obbligata decisione.


2 luglio
Lasciamo lavorare Cesare Maldini

Il quesito posto da Platone (se non ricordo male nel Critone) se una cosa è buona perché piace agli dèi o piace agli dèi perché è buona, può essere invocato in questi giorni in tema di campionati mondiali. Tra una partita e l’altra della nostra nazionale il processo a Maldini si svolge senza interruzione nelle tv, nella stampa, nei crocicchi delle strade, con sondaggi telefonici, ecc.
Con una sola felice eccezione almeno per ora: il Parlamento. Alla fine però conterà il risultato. Se sarà totalmente positivo i censori del commissario tecnico dovranno rinfoderare la loro polemica avanzata fino alla petulanza. Ma anche in caso inverso continueranno a mugugnare ma senza possibilità di controprova e non potendo correttamente negare le vittorie parziali. Fino a questo momento il bilancio è buono. E come tale non può che “piacere agli dèi”. Incontrando uno dei predecessori di Maldini, quando era lui sulla graticola, mi ricordo che gli dissi: «Ascolti pure tutti ma decida lei». Mi viene tanta voglia di gridare oggi: «Ragazzini, lasciatelo lavorare».


8 luglio
Il partito dei giudici e gli altri

Mi dispiace di dover rilevare che noi parlamentari abbiamo perduto una buona occasione per dare ai magistrati una prova di funzionalità. Ieri per la terza volta le Camere riunite non sono riuscite a eleggere i componenti “laici” del Consiglio superiore della magistratura. Mancando un accordo sui nomi da votare, deputati e senatori (quelli che non sono rimasti a casa) hanno deposto nell’urna scheda bianca. Tanto più spiacevole questa inadempienza, all’indomani delle votazioni dei giudici e procuratori che, a primo scrutinio, hanno adempiuto al compito fissato dalla legge. Può darsi – e ci si rifletta – che il tanto deprecato sistema proporzionale, in vigore tra i togati, facilita le elezioni e assicura a ciascuno il suo.
Auguriamoci che alla quarta prova il Consiglio venga completato. L’esperienza insegna che gli accordi andrebbero presi tra i gruppi parlamentari e non tra le segreterie dei partiti, che hanno campi importantissimi da coltivare senza invadere l’area parlamentare.
D’altro profilo è una osservazione che credo necessaria, prescindendo ovviamente da questioni personali. Il cittadino è turbato. Le dimissioni del procuratore generale Mele, dopo una serie di anelli di una penosa catena, sconcerta. Già la vicenda del dottor Coiro (promoveatur ut amoveatur) aveva sconvolto, con un dubbio fondato anche sulla influenza nella sua morte prematura. Non parlo poi della fine dell’autorevole dottor Vinci, che lascia inconclusa una procedura che forse avrebbe dovuto essere gestita fino al dibattimento in riservatezza. Ma si può parlare ancora di segreto istruttorio senza apparire anacronistici?
Il partito dei giudici e il partito contro i giudici sono indici di anarchica stoltezza.


12 luglio
Il grido tremendo che ruppe la noia di quella seduta

Anche se dopo un anno mi ero abituato a parlare dal banco del governo, come sottosegretario di De Gasperi, quel mattino del 14 luglio 1948 avvertivo la noia di un dibattito quasi amministrativo. Sotto l’esaltante tema della libertà di stampa, di fatto si discuteva sulla ripartizione della carta per i giornali quotidiani. Io dovevo dar conto della ristretta disponibilità e gli interroganti criticavano ammontare e criteri. Capisco bene perché poco dopo le undici Togliatti, sempre molto diligente nella frequenza dell’aula, pensò di utilizzare meglio il suo tempo, andando a prendersi un gelato nel contiguo negozio Giolitti.
Poco dopo, un grido tremendo ruppe la monotonia della seduta: «Hanno sparato a Togliatti».
Mi precipitai fuori e lo stavano trasportando verso l’infermeria, tra una comprensibile confusione. La prima cosa che feci fu di telefonare a De Gasperi suggerendo di venir giù (anche se era necessario concordare con Scelba le misure da adottare).
Nel Transatlantico il clima era tesissimo. Molti gridavano contro il socialista autonomo Carlo Andreoni che aveva scritto in quei giorni un articolo molto duro contro il segretario del Pci. Qualcuno urlava che si doveva ritardare la trasmissione per radio della notizia, ma sembrò un provocatore.
Il medico della Camera dottor Lega organizzò subito il trasporto al Policlinico, assicurandosi che il professor Valdoni fosse già pronto in sala operatoria. Il coordinamento fu preso dal dottor Mario Spallone, medico personale di Togliatti e a lui appena ripresi i sensi dette incarico di tranquillizzare il governo sulla… non rivoluzione. Fui tramite di questo messaggio assicurativo. Ed anche il giorno successivo ricevetti da Spallone una telefonata di sollecito perché la radio desse per intero i bollettini che i medici redigevano con molta cura e preoccupazione di tranquillizzare la massa. Mi aggiunse che vi era un versamento pleurico di cui il bollettino non parlava, ma non era preoccupante. Perché si chiedeva il testo intero?
Aver dato solo notizia della temperatura e non della pressione suscitava, secondo Spallone, voci allarmistiche.
Il pomeriggio precedente la Camera si era riunita in atmosfera surriscaldata. L’attentatore, Antonio Pallante, era stato fermato e non si riusciva ancora a capire se appartenesse a un complotto o comunque a uno schieramento politico.
Con coraggio prese la parola l’onorevole Francesco Turnaturi imbarazzatissimo perché aveva fatto rilasciare al Pallante il biglietto di ingresso a Montecitorio. Era in uso fino a quel momento che i curiosi chiedessero questo piccolo favore al primo deputato che capitava sulla piazza.
Un allentamento di tensione fu provocato dall’annuncio ad alta voce fatto dal deputato Tonengo della vittoria di Bartali al Giro di Francia. Con esagerazione si è attribuito a questo il merito di aver evitato all’Italia la guerra civile. Fu peraltro un elemento forte di correzione di tiro.
Il Consiglio dei ministri sedeva quasi in permanenza e accolse con sollievo il resoconto che De Gasperi fece di una visita tranquillizzante del “vice” della Cgil onorevole Bitossi (Di Vittorio era all’estero).
Togliatti recuperò rapidamente le forze e tornò ad essere regolare frequentatore delle sedute di Montecitorio.
Ricevetti qui il 19 dicembre dello stesso 1948 un bigliettino autografo che conservo. Eravamo riuniti nonostante fosse domenica per completare prima dell’interruzione natalizia l’esame di leggi importanti (elezioni regionali, una delle solite amnistie, ecc.). Il chirografo dell’autorevolissimo collega era questo: «Onorevole Andreotti, poiché siamo di domenica non potreste almeno comunicarci per altoparlante l’esito delle partite di calcio?».
Il Togliatti minore aveva caratteristiche davvero interessanti.


13 luglio
L’Italia si salva con i “tre tenori”

Il campionato mondiale è finito. Gli azzurri non avevano traversato le Alpi con orgogliosa sicurezza, ma almeno nei voti qualcosa di più la si sperava. Abbiamo però avuto nell’occasione un riconoscimento che vale almeno quanto un accesso alle finali. Mi riferisco allo splendido concerto dei “tre tenori” impostato quasi esclusivamente su musica italiana, compresa una cavalcata deliziosa nelle canzoni napoletane. Tornando al calcio, è stata criticata l’introduzione di norme disciplinari severissime (falli da dietro) che proprio per essere troppo drastiche hanno finito per venire adottate solo da alcuni direttori di gara suscitando critiche e sospetti con toni polemici – vedi Biscardi – da Santo Uffizio. In effetti, sistemi eccessivamente severi sono di più difficile applicazione (come un diritto penale che contemplasse solo la pena di morte o l’ergastolo). Con il sussidio della moviola le dispute sono sempre più aspre. Ne è venuta fuori anche una battuta perfida. Francia ’98 che doveva essere l’esemplare campionato repressivo delle “spinte” ha finito, in più di un caso, con una interpretazione benevola dei falli, ritenuti “spintarelle”. Un vocabolo polivalente.


15 luglio
La retorica antievasioni

Che continuano ad esistere evasori fiscali è purtroppo fuori dubbio; e non saranno mai abbastanza lodate tutte le misure – legislative e di organizzazione – che si cerca di adottare per contrastare questi imboscamenti. Occorre però stare attenti a non disorientare l’opinione pubblica, con bollettini informativi, magari ufficiosi, recanti cifre strabilianti di imposte sottratte all’erario. Si accredita l’impressione che in questa “lotta” si sia sempre all’anno zero, con una implicita censura per una presunta precedente disattenzione. Il che è ingiusto.
A confondere le idee contribuisce forse anche una terminologia impropria. Si definiscono, ad esempio, come accertate quote di tributo che sono invece punti di partenza in un contenzioso che si apre tra le persone – fisiche o giuridiche – e l’amministrazione.
Se fossero veramente accertate non resterebbe che andare a prendere le somme sottratte.
Da ragazzo ho lavorato per qualche tempo all’Ufficio imposte (reparto Imposte sui celibi) e ricordo che quando erano vicine le promozioni i dirigenti, per accreditarsi, gonfiavano gli accertamenti, sapendo benissimo che molti si sarebbero annullati tramite i concordati – che allora esistevano – o le decisioni delle Commissioni.
Attenzione. Nessuno pensi che voglia sminuire il fenomeno. Mi ispira proprio la preoccupazione opposta.


19 luglio
Ricordiamo il valore dell’Alleanza Atlantica

Ricorre nel 1999 il cinquantenario del Patto Atlantico e vanno rievocate a voce alta le benemerenze di questo strumento difensivo che bloccò tutti i disegni espansionisti del comunismo guidato da Mosca. Con qualche ritardo anche a Mosca rivedono le loro posizioni. La ciliegina sulla torta l’ha deposta Eltsin dichiarando che l’assassinio della famiglia degli zar fu un imperdonabile errore.
Tra le iniziative possibili per il mezzo secolo della Nato vi è anche l’istituzione di un grande centro universitario euroafroamericano a Comiso, dove si stanno svuotando le grandi attrezzature, anche di ricettività, create attorno ai famosi missili (già rimossi), la cui installazione fu decisiva per convincere Mosca a trattare. È anche un dovere verso i siciliani che, resistendo a tutte le pressioni, accolsero i missili con dignitosa compostezza.


24 luglio
Favole e politica

Passate le epoche della cicogna e della Befana i bambini sono svezzatissimi e si muovono con il computer molto meglio dei grandi. Si inserisce in quest’ottica una favoletta. Un fanciullo dice a suo padre: «Se non ci fossi stato tu io non sarei nato». Con realismo e modestia il genitore risponde: «È vero. Ma devi riconoscenza anche a tuo nonno». Qualunque riferimento alle cronache politiche non è da ritenersi occasionale.


6 agosto
Il Pontefice che ha osato “rimproverare” Dio

La celebrazione del ventesimo anniversario della morte di Paolo VI si svolge poco dopo la ripetizione di quelle tristissime immagini di un Papa che, nella solennità della sua cattedrale, esprime il proprio deluso rammarico – quasi una protesta – perché Dio non aveva ascoltato la preghiera di tanti lasciando che Aldo Moro venisse ucciso dai carnefici dinanzi ai quali il Papa si era inutilmente inginocchiato. La ricostruzione della sua sofferenza in quei giorni è stata rievocata nel libro-documento con il quale il fedelissimo testimone don Pasquale Macchi ha messo fine a tante petulanti meschinità.
È un Montini umanissimo che emerge, uscendo eccezionalmente da una rigorosa compostezza quasi protocollare che poteva apparire gelida, ma che rispondeva a quel senso di dignità altissima che era stato sublimato da Pio XII. Fedele alle tradizioni, non esitò tuttavia ad apportare novità sostanziali nella prassi della Curia romana. Basti pensare alla smilitarizzazione che cancellò insieme Guardie nobili e Guardie palatine; mentre toglieva le antiche distinzioni privilegiate, residuate come pallido ricordo del peso che il patriziato romano aveva avuto – anche tumultuosamente – nella vita della Chiesa. Si realizzava così, per una convergenza obiettiva di posizioni, l’auspicio espresso una volta da De Gasperi, che si desse finalmente in Vaticano il giusto posto ai rappresentanti del suffragio universale. Si badi. Nulla di demagogico in tutto questo. Sul piano personale i rapporti con alcune delle grandi famiglie erano ottimi. Da cardinale era venuto una sera per poche ore da Milano per partecipare ad un ricevimento in casa Colonna. Sempre da cardinale riempì di stupore con un discorso sulla liberazione dal potere temporale che la Chiesa aveva avuto nel 1870, togliendosi un impacciante peso. In altri tempi, anche non lontani, si sarebbero definite cose da Sant’Uffizio.
Lungo gli anni del pontificato introdusse la novità dei viaggi apostolici che Giovanni XXIII aveva timidamente segnato con una uscita extra urbem, ma brevissima e in territorio italiano.
Paolo VI iniziò con la visita in Terra Santa una serie di “uscite solenni”, alcune delle quali ebbero grandi ripercussioni. Penso in particolare al discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite e ai grandi congressi eucaristici in India e in Colombia. Qui in un colloquio pubblico con i campesinos dimostrò quanto fossero relative le classificazioni di destra e di sinistra che si usa dare ai diversi papi.
Ebbe due grandi amarezze per le leggi italiane sul divorzio e sull’aborto, non solo confermate dai referendum ma con una percentuale di oppositori inferiore a quella che si era registrata in Parlamento. Amarezze ma non inaspettate. Quando gli dissero che appellarsi al popolo a sostegno dell’indissolubilità matrimoniale era incautamente inutile, rispose che il referendum non era stato richiesto dalla Chiesa ma che non poteva impedire che un gruppo di cattolici, utilizzando un mezzo offerto dalla Costituzione, tentasse di abrogare una legge ingiusta.
Chi aveva avuto la possibilità di conoscere monsignor Montini assistente “perpetuo” degli universitari e dei laureati di Azione cattolica, ricorda le sue attenzioni formative, con un incitamento a non lamentarsi di una certa prepotenza degli altri in alcune discipline (vedi la Fisica e la Filosofia) ma di indirizzare e sostenere persone nostre adatte perché su un terreno meramente culturale restaurassero oggettività nella cultura e nella scienza. Prepararsi era il verbo più ricorrente nelle sue omelie e nei suoi colloqui. Talvolta, significava anche (nel figlio di un deputato popolare ostracizzato dai fascisti) un traguardo per così dire mirato a pubbliche responsabilità; ma il respiro del suo magistero sacerdotale guardava oltre. E non a caso faceva sovente l’elogio della qualità, pur non disconoscendo che nella vita anche i numeri hanno la loro importanza.
Mi domandai, in quegli inizi dell’agosto particolarmente torrido, se l’umidità che saliva soffocante dal lago non avesse accelerato la morte di un Papa tanto ammalato. Ma era impensabile allora suggerire ad un Papa che lasciasse i palazzi apostolici per un ospedale. E non era apparsa nemmeno confacente una camera di rianimazione, così come si era fatto in Vaticano qualche anno prima con l’allestimento di una sala operatoria improvvisata.
Giovanni Paolo II avrebbe dimostrato che persino l’Angelus domenicale può essere trasmesso dal Policlinico Gemelli. Forse gli giova la non provenienza dalla Curia, per altri versi tanto benemerita e costruttiva.


8 agosto
Tanti guai estivi

Un vasto rimpasto nell’Autorità nazionale palestinese – si chiama così, nella terminologia corrente, il governo presieduto da Arafat – è stato appena registrato dalla stampa. La lavagna delle attualità non comporta più di un problema per volta e in questi giorni è il Kosovo ad avere la precedenza, con segni molto crudi di possibili complicazioni ulteriori. Eppure del Medio Oriente non ci si può disinteressare. Le novità consisterebbero in una pacificazione interna nell’Olp superandosi il separatismo dei dirigenti che sono rimasti finora a Tunisi e non hanno mai voluto mettere piede nei territori restituiti. Ora si radunerebbero tutti a Gaza. Ma c’è di più. Netanyahu, il duro, lancia l’idea di una conferenza internazionale. Se vuol essere una via d’uscita dallo stallo, benissimo. Ma se significasse il superamento degli accordi di Oslo sarebbe molto grave.
Pur essendo in periodo di ferie non possiamo essere disattenti. Anzi, è proprio d’estate che si combinano più guai.


18 agosto
Anche De Gasperi fu vittima di giudici asserviti al potere

Sarebbe opportuno, a 44 anni dalla scomparsa di Alcide De Gasperi, lasciando nel suo Trentino la commemorazione del 19 agosto, celebrare a Roma la messa anniversaria presso la tomba di San Lorenzo al Verano nel giorno di ripresa dei lavori parlamentari. Avrebbe un duplice significato: di ricordo puntuale dello statista come artefice delle sintesi politiche più elevate; e insieme come momento di preghiera prima di tornare al lavoro legislativo e ai confronti politici. Così come, su iniziativa di De Gasperi, si fece alla vigilia dell’apertura all’Assemblea costituente, senza limitazioni negli inviti e senza la minima accentuazione di parte.
Organizzativamente, la struttura di partito che il presidente aveva promosso con tanta intelligenza e puntualità, non esiste più. Ma, a ben pensarci e senza forzature, la concezione degasperiana di partito non era tanto una aggregazione strutturale quanto la convergenza di opinioni comuni sulla base di un cristianesimo sociale programmato e vissuto.
Lungo gli anni, dinanzi ai problemi più vivi – interni ed esterni – viene spontaneo il quesito su come li avrebbe affrontati De Gasperi.
La crisi del Kosovo, ad esempio, richiama subito la soluzione che De Gasperi trovò per salvare il confine del Brennero, più che minacciato da una Conferenza di pace duramente ostile e punitiva verso l’Italia. Con l’accordo Gruber-De Gasperi si dette vita ad una esemplare convivenza interetnica che, fermo restando il quadro unitario della patria, garantiva ai cittadini di lingua tedesca e ladina una forte autonomia anche legislativa. Se Belgrado avesse tempestivamente adottato per la maggioranza albanese nel Kosovo uno schema simile, la grande maggioranza degli interessati avrebbe accettato scoraggiando la clandestinità armata, che ha portato all’orlo dell’abisso.
Accenno soltanto ad un tema più generale: i rapporti internazionali, ora che non esiste più – con le sue molte ombre, ma anche con qualche positività – il bipolarismo. Il “dopo” è tuttora molto confuso. L’Alleanza Atlantica ha aperto le sue porte ai Paesi dell’Est, con una rivincita storica indubbia, ma con marcate incertezze di prospettiva. A sua volta la Russia è alla faticosa ricerca di un suo ruolo effettivo, con la tentazione – per me vana – di divenire una interlocutrice fissa di Washington, in funzione sottilmente polemica con la grande Europa. In qualche momento De Gasperi, atlantico convintissimo ma non oltranzista, guardò con attenzione al campo dei non allineati quale riserva di ammortizzatori del grande scontro Est-Ovest (anche se i non allineati non sempre furono tali). È una tematica, mutatis mutandis, da ripercorrere.
Vi è infine una disputa in atto in Italia sui problemi della giustizia, anche con la ricerca di moduli di riforma che assicurino tranquillità effettiva e rispetto dei diritti personali. Ricordo un episodio. All’uscita dalla solenne cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario presso la Corte di Cassazione, il magistrato che scortava De Gasperi gli disse: «Presidente, noi non siamo stati mai asserviti al fascismo». La risposta gli venne spontanea e, risalito in macchina, si domandò se aveva fatto bene a darla: «Qualche volta sì. Io fui condannato per tentato espatrio clandestino senza la minima prova che stessi andando all’estero». L’indipendenza della magistratura De Gasperi la considerò un punto fermo. Indipendenza non solo dal governo ma anche dalle opposizioni. Il recente libro del magistrato Francesco Misiani offre in proposito motivi di fortissima meditazione.


21 agosto
Ricordiamo Francesca Romana con grande commozione

Mi sembra patetico il fatto che la signora De Gasperi, che è sopravvissuta 44 anni alla morte del Presidente, sia deceduta il giorno dopo che è stato ricordato quel tristissimo 19 di agosto. Credo che la caratteristica maggiore di Francesca De Gasperi sia stata la grandissima dignità con la quale aveva accompagnato tutto il lungo periodo di persecuzione e di vigilia del Presidente e aveva poi vissuto senza mai esibirsi, in grande umiltà, il periodo di gloria dell’onorevole De Gasperi dal momento nel quale entrò al governo, subito dopo la liberazione di Roma, sino al 1953. Fisso la data al 1953 perché quel 31 di luglio l’ultimo governo De Gasperi cadde alla Camera dei deputati per l’abbandono di alleati storici che in quel momento, senza alcun fondamento, pensavano, in modo particolare i socialdemocratici, che De Gasperi si fosse accordato con l’onorevole Nenni per una nuova maggioranza. Però, anche in quel momento fu per il Presidente di grandissimo conforto il rifugio presso la sua famiglia, in Valsugana, dove purtroppo l’anno successivo morì dopo avere, due mesi prima, dettato, al Congresso di Napoli della Democrazia cristiana, un vero testamento politico e tracciato le linee di quell’indirizzo di “moderazione” che non significava affatto rinuncia al progresso o atteggiamento conservatore, ma anzi era l’unico modo per esercitare un ruolo di mediazione e di sintesi che rappresenta poi la caratteristica di tutto il magistero di De Gasperi. In tutto ciò credo che la signora sia stata una donna, moglie e madre esemplare. Con grande commozione la ricordiamo noi che fummo vicini al Presidente, ma certamente la ricordano tutti. Mi sembra, infine, che sia giusto sottolineare che alla morte di De Gasperi la proposta di dare una pensione alla signora Francesca non fu di un parlamentare democristiano ma di un liberale che, proprio con questo gesto, testimoniava come De Gasperi fosse veramente super partes.


25 agosto
L’azione penale deve restare riservata

La notizia dell’iniziativa giudiziaria contro il cardinale di Napoli ha suscitato una profonda emozione e una dolorosa sorpresa. Ma l’occasione si presta per un rilievo di ordine generale. Almeno fino al rinvio a giudizio, l’esercizio dell’azione penale dovrebbe rimanere assiduamente riservato. La pubblicità che invece è ormai divenuta abituale arreca al cittadino, quale che sia il suo rango sociale, un colpo gravissimo, spesso irreparabile. Certo, se è un “notabile” la ripercussione ha misure molto più forti; ma anche se si tratta di un attentato al buon nome di una persona conosciuta soltanto nel suo condominio è un fatto ignobile, che nessuna prassi può rendere lecito.
Penso, per analogia, alla notizia che fu data sulla stampa e in televisione della proposta di incompatibilità ambientale riguardante il procuratore generale Mele. Non gli restò altra via che dimettersi.
È proprio il caso di chiederci chi custodisca i custodi.


27 agosto
Quei terroristi dell’Afghanistan

Sullo sfondo tragico del mortale attentato al colonnello Carmine Calò si colloca il dramma insoluto dell’Afghanistan, che iniziò il giorno infausto della stolta occupazione militare sovietica, che offese tra l’altro la posizione di Paese “non allineato”. Certi comunicatori occidentali non hanno però pudore. Qualche mese fa, quando cominciò l’offensiva dei talebani, la salutarono con entusiasmo inneggiando alle forze giovani che liquidavano non si sa bene quale vecchiume, incoraggiate da ambienti pakistani (e da altri). Gli applausi si affievolirono per certi eccessi antifemminili, ma si parlò di errori per inesperienza. Con grande disinvoltura le stesse fonti valutative lanciano ora fulmini sui terroristi di Kabul. E non solo fulmini.


4 settembre
Quando Fo cercÒ di salvare Moro

Non nascondo di essere tra quanti rimasero sorpresi per il conferimento del Nobel a Dario Fo. Certamente non per sottovalutazione della sua eccezionale arte mimica e neppure per pregiudizi politici. Anzi nutro per lui e per Franca Rame riconoscenza da quando svolsero una convinta azione per cercare di salvare Aldo Moro. Ma sono forse condizionato da un concetto antiquato di letteratura. Mi si scusi. Ho comunque ritenuto molto importante l’intervento critico che Fo ha fatto respingendo decisamente le sconcertanti ricerche sulla clonazione umana. Respinta da lui questa pseudomodernità va all’angolo, mentre se sono i “clericali” a censurarla emerge subito il sospetto di oscurantismo. È vero. Il linguaggio di Fo non sarebbe adatto per il parlatorio di un monastero, ma questo è dettaglio. Non si può avere tutto.


6 settembre
ScorciatoIe che fanno paura

Il medico curante di una signora francese novantaduenne constatato il sicuro coma della paziente, ha deciso di staccare la corrente. Fine della cura e remissione della pratica alla Procura della Repubblica, con immediate proteste per «vedere trattato come un malfattore il professionista che ha agito per spirito umanitario». Il ministro della Giustizia Bernard Koutcher è intervenuto quasi salomonicamente.
Non è escluso che le leggi vigenti possano essere cambiate, ma deve procedere un dibattito parlamentare su: «La fine della vita e il dolore». È un tema di estrema delicatezza. A parte la difficoltà scientifica di riconoscere la irreversibilità del coma, legittimare la morte accelerata di una persona apre la strada alle teorie della incurabilità di alcuni malati e persino della cosiddetta inutilità sociale di persone colpite da affezioni devastanti o paralizzanti. Sono scorciatoie che mettono paura.


10 settembre
Una legge sbagliata?

Il gioco del cerino è spesso in voga anche tra gli addetti alle cose pubbliche. In questi giorni si discute molto sulla legge che blocca in caso di sequestri di persona i beni della famiglia, onde rendere difficile – se non impossibile – il pagamento dei riscatti. Quando si adottò nel 1991 – e non nel secolo scorso – questa sofferta normativa si ritenne che potesse scoraggiare i criminali e, statisticamente parlando, il fenomeno è fortemente ridotto.
Ben venga, come si dice con una parola inelegante, la “rivisitazione” della legge. Ma il problema è un altro. Occorre riprendere la ramificazione, nel territorio nazionale, delle caserme dei carabinieri e dei nuclei di polizia. Se è vero che circa metà dei comuni italiani ne è priva, la clandestinità e i “trasporti umani” continueranno ad essere facilitati.
È chiaro che io parlo in termini generali. Nulla so della dinamica con cui è stata liberata la signora Sgarella.


16 settembre
A chi miravano le Br

All’uscita dal pregevole atto unico con cui Maria Fida e Luca Moro hanno rievocato quel terribile 9 maggio 1978 mi è stato chiesto se non vi è contraddizione tra la linea della fermezza tenuta allora dallo Stato e i casi in cui si sono consentite e addirittura promesse iniziative transattive. È una domanda sempre angosciosa, ma terribile in un contesto emotivo nel quale si era rivissuta l’atmosfera durissima di una tragedia, presentata qui sotto lo struggente profilo familiare. Non vi è però spazio per modificare la convinzione della ineluttabilità dell’atteggiamento dei cinquantacinque giorni. La posta in gioco non era un riscatto o altra ammissibile contropartita. Le Brigate rosse miravano con precisione a ricacciare la sinistra in una contestazione globale, specie nella politica estera, non perdonando ai comunisti e ai socialisti l’abbandono della lotta alla Alleanza Atlantica. Chi prescinde da questo è facilmente indotto in errori fuorvianti e speculativi.


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