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RUSSIA
tratto dal n. 01 - 2000

OPINIONI. La continuità del regime eltsiniano

Putin. Per ora, cosa loro


Il neopresidente, nonostante abbia poteri immensi, non darà segni di autonomia rispetto a chi l’ha creato, almeno fino alle prossime elezioni presidenziali. Ma una volta eletto dovrà, in un modo o nell’altro, prendere le distanze dal regime da cui è nato


Brani dall’ultimo libro di Giulietto Chiesa


Il volto di Vladimir Putin

Il volto di Vladimir Putin

Vladimir Putin, salvo eventi altrettanto improbabili quanto imprevedibili, sarà il nuovo presidente della Russia. L’operazione, iniziata l’8 agosto 1999 in singolare coincidenza con l’attacco di Shamil Bassaev in Daghestan, si è rivelata efficace e vittoriosa.
Allo stato degli atti si può dire che il regime eltsiniano è riuscito a garantirsi una continuità senza traumi. Il presidente Eltsin è stato “convinto” a dimettersi in anticipo solo quando la Famiglia si è sentita sufficientemente sicura di avere in tasca il risultato.
La “vittoria” elettorale del 19 dicembre, ottenuta in violazione di tutte le norme della decenza elettorale, è comunque servita a legittimare questa svolta. Essa non sarebbe stata nemmeno lontanamente pensabile senza la seconda guerra di Cecenia, e senza i sanguinosi attentati terroristici che, su quella base, furono scatenati non si sa da chi contro le città russe, Mosca compresa.
Gli artefici principali di questa operazione sono due: nell’ordine d’importanza, l’oligarca Berezovskij e l’oligarca Ciubais. Prima alleati, poi nemici giurati, infine di nuovo alleati in nome di un pragmatismo assoluto e del terrore altrettanto assoluto di perdere il potere – e tutto il resto – se avessero perduto la posta. Giocatori d’azzardo che hanno incamerato il piatto.
In tutta questa operazione Vladimir Putin è stato più oggetto che soggetto, anche se si è visto che egli non arretra di fronte a nulla. Ha condiviso tutte le mosse dei suoi mentori, le ha assecondate, vi ha apposto la sua firma. Ma non è stato lui a “scegliersi”. È stato scelto.
Ma ora i protagonisti sono già tre. Putin, nominato zar, acquisisce la possibilità di diventare un giocatore autonomo. Forse non subito, forse mai potrà esserlo nei fatti, ma la possibilità si apre. Senza tema di sbagliare si può supporre che i suoi mentori e creatori contino proprio su una impossibilità-incapacità. Si può anche supporre – ma qui le certezze sono molto più labili – che i due “cardinali” abbiano in serbo armi molto affilate, di ricatto per esempio, guinzagli che pensano infrangibili, che li fanno sicuri del comando, presente e futuro. Ma, in linea di principio, non si può escludere che Vladimir Putin possa a un certo punto decidere di non avere più bisogno di suggeritori.
Egli ha già, e avrà ancor più alla fine di marzo, immensi poteri, quasi dittatoriali, quali quelli che gli sono conferiti dalla Costituzione costruita su misura per Eltsin. Ora sarà lui a indossarla, quell’armatura potente. Colpirlo, una volta che l’abbia indossata, sarà molto difficile e pericoloso.
Si può scommettere su una sola cosa: che Vladimir Putin non farà nessuna mossa del cavallo prima di essere eletto, come molti ormai considerano inevitabile, trionfalmente. Fino a quel momento, infatti, egli sarà vulnerabile. Dovesse dare segni di autonomia, di indipendenza rispetto ai suoi “inventori”, potrebbe essere ancora scalzato e abbattuto. Se non ci ha già pensato da solo, certo qualcuno gli ricorderà le “idi di marzo”. Per ora egli rimarrà il “loro uomo”, in tutti i sensi. Non sapremo dunque chi è veramente Vladimir Putin (e quanto ha rischiato la Famiglia portandolo al potere) fino alla fine di marzo.
Eltsin e Berezovskij

Eltsin e Berezovskij

Dopo di allora si potranno usare tre cartine di tornasole per capire dove vuole andare e dove può andare. La prima sarà quella della sua politica verso le “autonomie”. Se Putin, con o senza la Famiglia, intenderà invertire la deriva verso il disfacimento della Russia, allora vedremo aprirsi una fase di forte tensione tra centro e autonomie. Passo estremamente difficile, poiché Putin, per giungere dove è, ha dovuto mettersi sulla stessa, identica strada di Eltsin. Cioè ha dovuto costruire le sue fortune concedendo sempre più poteri ai signori feudali delle autonomie. Il partito Unità questo è, e Putin non può non saperlo. Ma cedergli significherebbe smentire subito l’immagine che egli ha creato, di colui che intende porre fine al baccanale delle spinte centrifughe. Non cedergli significherà usare la mano forte. In molti sensi.
La seconda cartina di tornasole sarà data dalla sua politica verso l’Occidente e gli Usa in particolare. Per quanto si possa prevedere che l’Occidente gli darà tempo, e denaro, non c’è dubbio che egli sarà premuto da molti lati. L’allargamento a Est della Nato, ad esempio, andrà avanti. Andrà avanti lo “scudo stellare numero due”. La globalizzazione occidentale, con la sua forza fagocitatrice, assedierà una Russia sempre più recalcitrante e incline a chiudersi in se stessa. Vladimir Putin, con e senza la Famiglia, si troverà a dover scegliere tra una serie di ritirate tattiche e la tentazione di scavare qualche trincea e, da quella, avviare una ringhiosa controffensiva. Se sceglierà la prima variante il suo destino presidenziale sarà segnato entro breve tempo. Il voto di dicembre, per quello che vale, dice che gli elettori hanno scelto un leader che cancelli le umiliazioni (o quelle che sono state vissute come tali) subite in questi anni. Se scopriranno di averne uno che ne accumula altre e altre ancora, Vladimir Putin dovrà presto vedersela con un Paese riottoso, e sarà costretto a stringergli un cappio attorno al collo. Di nuovo è una mano forte che s’imporrà.
La terza cartina di tornasole sarà quella della sua “politica istituzionale”. Vorrà, Vladimir Putin, conservare così com’è l’attuale Costituzione? Regnare come uno zar giovane, continuare a calpestare le norme elementari dello Stato di diritto, impedire la creazione di un sistema realmente pluralistico, con una effettiva divisione di poteri autonomi e controbilanciantisi? Certo è che la tentazione, o la necessità (vedi le altre due cartine di tornasole), lo spingeranno a usare tutti i poteri attuali. Anche nell’ipotesi che egli intenda indossare i panni del riformatore illuminato e del modernizzatore in senso occidentale della società russa.
Ma due cose balzano subito evidenti da questa sommaria rassegna di possibilità. In primo luogo, in tutte e tre le prospettive l’esito più probabile sembra essere quello autoritario. In due casi sui tre esaminati, per assumere la doppia veste del riformatore e del difensore degli interessi nazionali russi, Vladimir Putin dovrà, in un modo o nell’altro, prendere le distanze dal regime da cui è nato.


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