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REPORTAGE DAL BRASILE
tratto dal n. 01 - 2003

Tempo di una politica concreta e minimale


«Se coloro che portano il nome di Gesù non hanno pietà per la folla di affamati che oggi invade interi continenti, vuol dire che per loro il cristianesimo è diventato un intrattenimento religioso per sazi borghesi occidentali». L’arcivescovo Luciano Mendes de Almeida descrive le iniziative della Chiesa brasiliana per combattere la fame. Un obiettivo concreto e minimale condiviso dal nuovo presidente. Intervista


di Gianni Valente


Dom Luciano Mendes de Almeida

Dom Luciano Mendes de Almeida

Dom Luciano Mendes de Almeida, gesuita, settantadue anni, vescovo dell’arcidiocesi di Mariana, rimane uno dei protagonisti universalmente apprezzati e riconosciuti della stagione ecclesiale brasiliana del postconcilio. Per otto anni, dal 1987 al 1995, come presidente della Conferenza dei vescovi brasiliani, si è fatto in quattro per coordinare e far funzionare la struttura collegiale dell’episcopato più numeroso del mondo. Adesso, dallo scorso aprile, è responsabile della Campagna nazionale contro la fame (Mutirão nacional para superação da miséria e da fome) che i vescovi brasiliani hanno lanciato nel Paese anche per segnare con un’iniziativa di forte impatto pubblico il cinquantenario della fondazione della Conferenza episcopale brasiliana.
Proprio ad aprile l’assemblea episcopale brasiliana aveva pubblicato il documento Esigenze evangeliche ed etiche per il superamento della miseria e della fame, curato da una commissione di vescovi presieduta dallo stesso Mendes de Almeida, per ispirare e coordinare le iniziative delle diocesi e delle comunità ecclesiali a favore del diritto alla nutrizione. Un obiettivo concreto e minimale che appare anche al centro delle dichiarazioni d’intenti del nuovo presidente Lula.

Il 2002 è stato un anno importante per il Brasile. E durante questo tempo, la Chiesa brasiliana ha concentrato le sue energie su un obiettivo: sradicare la miseria e la fame.
LUCIANO PEDRO MENDES DE ALMEIDA: Ogni anno, nel tempo di Quaresima, la Chiesa brasiliana intraprende una campagna rivolta ai problemi sociali, per mettere in movimento la carità cristiana davanti alle necessità del nostro popolo. Quest’anno ricorre anche il cinquantesimo anniversario della fondazione della Conferenza episcopale brasiliana. Per questo abbiamo stabilito di affiancare alle iniziative ordinarie una campagna straordinaria. Quando i vescovi si sono consultati per scegliere la questione a cui dare la priorità, la scelta non è stata difficile. Ci siamo ricordati dell’intuizione di dom Hélder Câmara. Di quando lui, guardando al futuro, diceva che nel duemila si sarebbe dovuta debellare la fame nel nostro grande Paese. Mentre oggi sono 34 milioni i brasiliani che non hanno il necessario per alimentarsi, secondo le statistiche fornite non dalla Chiesa ma dagli organi pubblici.
Un Paese ricco di risorse naturali ed energie umane. Dove garantire a tutti il cibo per sopravvivere sembra diventato un obiettivo inarrivabile. Come è stato possibile?
MENDES DE ALMEIDA: Ci sono diverse cause strutturali. Innanzitutto l’ineguaglianza della distribuzione dei beni. Che il Brasile fosse una nazione ricca con una distribuzione quasi criminale delle risorse era un fatto già noto. Ma questa condizione conosce un progressivo peggioramento a causa del debito estero e dell’impennarsi dei tassi d’interesse bancari fino a livelli usurai, che blocca la possibilità di chiedere prestiti per finanziare le imprese economiche. Nella totale soggezione alla logica del mercato si arriva a soffrire la fame in un Paese dove l’incremento della produzione agricola è superiore alla crescita della popolazione. Nei mesi scorsi alcune inchieste giornalistiche hanno documentato che in Brasile quasi il 35 per cento della produzione agricola va perduta. I prodotti alimentari vengono trattati alla stregua delle altre merci, avendo come unico criterio gli interessi economici dei proprietari. Fino a smaltire e a distruggere le eccedenze di produzione per garantire guadagni speculativi.
Il documento-guida della campagna per lo sradicamento della fame, da lei curato e pubblicato lo scorso aprile, articola una critica serrata ai modelli in cui si è realizzata la globalizzazione liberista.

MENDES DE ALMEIDA: La speculazione finanziaria, investendo sui mercati futuri e su merci meramente virtuali, sottrae risorse all’economia reale e alla produzione. Le esigue ricchezze dei Paesi in via di sviluppo vengono risucchiate del vortice della speculazione finanziaria mondiale. I capitali finanziari si spostano sul mercato globale con rapacità fulminea, alla ricerca di buone occasioni di speculazione. E così in pochi secondi vengono polverizzati i risparmi e le poche risorse di chi è già povero…
Il crocifisso nella cappella del carcere di Carandiru a San Paolo

Il crocifisso nella cappella del carcere di Carandiru a San Paolo

Gli agit-prop della globalizzazione liberista accusano le voci critiche di catastrofismo. Dicono che proprio l’espansione delle dinamiche liberiste ha come effetti collaterali garantiti la diminuzione della fame e della povertà e l’allungamento della speranza di vita delle popolazioni. E chi critica queste dinamiche è contro lo sviluppo. Lei come la vede?
MENDES DE ALMEIDA: Facciamo un esempio: la lotta alla mortalità infantile in Brasile ha avuto negli ultimi tempi risultati sorprendenti. Il tasso di mortalità neonatale è passato in pochi anni dal 65 al 25 per mille. Grazie allo sviluppo delle ricerche mediche adesso ci sono più strumenti a disposizione. Ma tali risultati non sono una conseguenza automatica dell’espansione del libero mercato. Sarebbero stati impossibili se, in ogni diocesi, i volontari coinvolti nella pastorale del bambino (ce ne sono mille solo nella mia piccola diocesi di Mariana) non avessero contribuito a diffondere capillarmente le medicine, gli alimenti e le cure sanitarie di base per le puerpere e i neonati. In Brasile è evidente che l’espansione vertiginosa dei numeri dell’economia di mercato non comporta di per sé una diffusione dei beni e dei servizi che migliori la condizione materiale delle popolazioni. La speculazione finanziaria risucchia risorse senza generare vero sviluppo. La ricchezza non si diffonde, si concentra. L’unica cosa che si diffonde come un virus è il miraggio collettivo fomentato dalla propaganda consumista che illude tutti di poter attingere magicamente ai livelli di consumo ostentati dalle élites sociali privilegiate. Tutti, anche i poveri, vengono contagiati da questa mentalità che identifica la felicità nell’accumulazione dei beni e nell’appagamento consumista di bisogni sempre più artificiali.
Ma i poveri non possono essere biasimati se vogliono diventare ricchi. Avrebbe ragione chi dice che la Chiesa vuole che i poveri restino poveri, per poterli accudire.
MENDES DE ALMEIDA: È sacrosanto che ognuno aspiri ad avere, oltre il necessario, anche il conveniente, ciò che consente una vita dignitosa e benestante. Ma il modo in cui si desiderano e si usano i beni materiali ha a che fare con la nostra felicità e la nostra sanità psicologica. Il padre di famiglia prova una soddisfazione sana e legittima nel vedere che i propri figli possono crescere bene, possono studiare e non mancano di ciò che serve davvero. Ma la cupidigia, l’avere come orizzonte della propria vita l’arricchimento e l’accumulazione di beni o la soddisfazione di bisogni artificiali si risolve facilmente in angoscia e in nevrosi. Soprattutto quando questi beni sponsorizzati dall’ideologia consumista sono irraggiungibili. Il modello sociale oggi vincente, oltre a produrre fame e miseria, può fomentare anche in ampie fasce di popolazione una condizione di frustrazione corrosiva.
Cercare di imporre all’organizzazione economico-politica i criteri suggeriti dalla carità e dalla sobrietà evangelica non rischia di fomentare utopie messianiche?
MENDES DE ALMEIDA: L’unico messianismo che vedo in giro è quello d’impronta liberista. È l’unica ideologia rimasta sul terreno. L’unica che sparge per il mondo illusioni di palingenesi, miraggi di paradisi terrestri in cui tutti potranno godere del livello di consumi finora sperimentato solo nelle piccole isole di super ricchezza delle società avanzate. Una propaganda che cerca di occultare ciò che tutti abbiamo sotto gli occhi: si accumulano le ricchezze, aumentano gli squilibri e si allargano generazioni intere di esclusi che, se continua così, non sapranno più come uscire da una vita miserabile.
Mi ha fatto una buona impressione che Lula abbia indicato da subito come priorità lo sradicamento della fame. Ha espresso la speranza che alla fine del suo mandato ogni brasiliano possa mangiare tre volte al giorno...
Negli ultimi decenni, alla Chiesa brasiliana hanno rimproverato spesso di coinvolgersi troppo nelle questioni sociopolitiche, col rischio di ridurre la salvezza cristiana a un messaggio di emancipazione sociologica. Rientra forse nella vostra missione di pastori intervenire sugli aspetti tecnici dell’organizzazione economica?
MENDES DE ALMEIDA: Non abbiamo mai isolato la domanda di trasformazione delle condizioni economiche e sociali dalle altre dimensioni della nostra missione. In questo seguiamo il Papa, che a Puebla e Santo Domingo ha collocato la promozione umana come fattore che va necessariamente insieme al grande tema della nuova evangelizzazione. E prima ancora seguiamo Gesù stesso, che davanti alla moltitudine affamata ha detto ai suoi: «Voi stessi date loro da mangiare». Se coloro che portano il nome di Gesù non hanno pietà per la condizione reale in cui vive la folla di affamati che oggi invade interi continenti, vuol dire che per loro il cristianesimo è diventato un intrattenimento religioso per sazi borghesi occidentali.
In realtà anche il “conservatorismo compassionevole” sponsorizzato dai guru liberisti anglosassoni caldeggia il ruolo delle Chiese e dei gruppi religiosi a favore dei poveri e degli emarginati. Non è uno spazio sufficiente per testimoniare la virtù cristiana della carità?

MENDES DE ALMEIDA: Uno sguardo di carità non solo cerca di dare da mangiare a chi ha fame, ma coglie anche in quale modo il sistema produce povertà e attua un attentato sistematico al diritto alla vita. Un assistenzialismo solo emergenziale corre il rischio di rendere cronica una crescente disuguaglianza. Il 12 per cento di brasiliani soffre di handicap o patologie croniche. L’ordinamento politico ed economico non può delegare la cura di una tale folla di persone in difficoltà solo alla generosa iniziativa dei volontari e delle organizzazioni assistenziali.
A quali obiettivi concreti punterà la vostra Mutirão per estirpare la fame?
MENDES DE ALMEIDA: È iniziata la campagna per costruire un milione di serbatoi d’acqua, per cercare di risolvere le carenze idriche che colpiscono gran parte del Paese nelle stagioni di siccità. E in molte diocesi vengono sostenuti programmi per sviluppare una rete di piccole imprese attraverso il microcredito e la formazione di cooperative familiari. Chi vi è coinvolto riprende entusiasmo e fiducia nei propri mezzi, quando comincia a produrre e a vedere gli effetti del proprio lavoro.
La vittoria di Lula è, come dicono alcuni, anche una vittoria della “linea” ecclesiale brasiliana?
MENDES DE ALMEIDA: È stata una campagna elettorale speciale. Non solo Lula, ma tutti i candidati nei loro programmi hanno dedicato molta attenzione alle problematiche sociali. Mi ha fatto una buona impressione che Lula abbia indicato da subito come priorità lo sradicamento della fame. Ha espresso la speranza che alla fine del suo mandato ogni brasiliano possa mangiare tre volte al giorno. Senza neanche darlo a vedere, senza ostentazione, Lula ha in questo modo manifestato un approccio in armonia con quanto sente la Chiesa. Ma adesso nessuno pretende miracoli. Ci vorrà tempo per registrare cambiamenti reali.
Una lezione di catechismo nella favela Rocinha a Rio de Janeiro

Una lezione di catechismo nella favela Rocinha a Rio de Janeiro

Sul piano geopolitico, come appare il mondo visto dall’America Latina dopo l’11 settembre?
MENDES DE ALMEIDA: La condanna del terrorismo è una cosa ovvia, ci mancherebbe altro. Ma la lotta al terrorismo pare diventata lo spunto per consolidare un’egemonia planetaria tutta fondata sul predominio militare. Con un’esibizione di potenza militare che riaccende il commercio generalizzato delle armi, a detrimento degli investimenti sociali. Soprattutto l’ipotesi di una guerra preventiva, di cui si discute, mi sembra una via sconsiderata.
Anche sul piano geoeconomico gli interventi recenti dei vescovi brasiliani hanno espresso una linea molto netta.
MENDES DE ALMEIDA: Negli ultimi mesi i contenuti del progetto Alca (Area di libero commercio delle Americhe), finora sconosciuti, sono stati oggetto di analisi approfondite. Visti i giochi di forza e le pressioni in atto, la realizzazione di tale progetto comporta il grosso rischio di aumentare la sottomissione del Brasile e di tutta l’America Latina agli interessi dell’economia statunitense. La Chiesa brasiliana nei mesi scorsi ha realizzato una grande raccolta di opinioni, con dieci milioni di persone che hanno espresso la loro contrarietà ad aderire all’Alca. È doveroso e opportuno intensificare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Non bisogna certo fomentare le contrapposizioni e le guerre commerciali con il centro egemonico del mondo attuale. Ma bisogna per quanto possibile che questi negoziati si svolgano su un piano di vantaggio reciproco. Senza trasformarsi in forme di sudditanza neocoloniale. C’è sempre la speranza che questo possa avvenire.


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