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AD TUENDAM FIDEM
tratto dal n. 07/08 - 1998

Verità da credere e verità da accettare


La lettera del Papa Ad tuendam fidem intende difendere non solo tutto ciò che è riconosciuto come rivelato (veritates credendae), ma anche quanto la Chiesa propone in modo definitivo (veritates tenendae)


di Gianni Baget Bozzo


Una espressione come ad tuendam fidem in un documento vaticano colpisce da sola: da quanti decenni non si diceva più che la fede va difesa, che essa è principio di identità prima che di dialogo, di differenza prima che di combinazione. Essere cattolico è diventata una particolarità etnica o un titolo in disuso, insomma la memoria del passato.
L’Ad tuendam fidem è una lettera di Giovanni Paolo II che, di per sé, sembra avere un obiettivo modesto: l’aggiunta di un canone al vigente Codice di diritto canonico. Nessuno può sottovalutare il ruolo del diritto canonico nella Chiesa cattolica, infine non è mai accaduto che una questione di carattere dottrinale fosse posta e risolta in un articolo del Codice. Ma qui il caso è diverso. Questo articolo è una parte della Professione di fede, elaborata dalla Congregazione per la dottrina della fede, del 1989 e chiesta a coloro che assumono nella Chiesa incarichi di governo e di ricerca.
La Professione distingue le verità che la Chiesa, con Magistero ordinario e solenne, propone come rivelate dalle verità circa la dottrina che riguarda la fede e i costumi proposti dalla Chiesa in modo definitivo. Nella Professione a questa posizione non corrispondeva alcuna nota teologica. E di essa non vi era cenno nel vigente Codice canonico. Questa volta il problema è definito con chiarezza: «Queste verità, che nella esplorazione della dottrina cattolica esprimono una particolare ispirazione dello Spirito di Dio per la comprensione più profonda della Chiesa di una qualche verità che riguarda la fede o i costumi, sono connesse sia per ragioni storiche sia come logica conseguenza». Così il canone 750 si arricchisce di un secondo comma che aggiunge una nota teologica precisa: «Si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente».
E il canone dottrinale trae con sé un cambiamento in un canone penale: il canone 1371 del Codice, che ora recita: «Sia punito con giusta pena chi […] insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio ecumenico oppure respinge pertinacemente la dottrina di cui nel can. 750 § 2 o nel can. 752, ed ammonito dalla Sede apostolica o dall’Ordinario non ritratta».
Il commento del cardinale Ratzinger alla lettera apostolica nella nota illustrativa fa una affermazione molto precisa su queste verità non definite come rivelate ma necessarie per custodire la fede: «Chi le negasse assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa cattolica». Ratzinger esprime la differenza tra le verità rivelate e quelle ad esse connesse come tra veritates credendae e veritates tenendae (da credersi e da accettarsi). Ratzinger scende anche a esemplificazioni di veritates tenendae. E la prima è la esclusione delle donne dai ministeri sacerdotali. Ratzinger afferma che la coscienza della Chiesa potrebbe «progredire fino a definire tale dottrina da credersi come divinamente rivelata». Già commentando la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis (1995), sul sacerdozio femminile, Ratzinger aveva evocato, però senza definirle, queste veritates tenendae senza essere formalmente rivelate. Ora la categoria si è affinata e fatta più precisa. E tra le altre veritates tenendae il commento di Ratzinger sottolinea l’illiceità dell’eutanasia, l’illiceità della prostituzione e l’illiceità della fornicazione. Ma tra le verità connesse alla rivelazione per ragioni storiche il commento di Ratzinger include la lettera Apostolicae curae di Leone XIII sulla invalidità delle ordinazioni anglicane «absolutely false and utterly voids».
Ci sono delle conseguenze implicite evidenti del testo: ed è singolare che non siano state colte. Si vede che quella dei vaticanologi è una professione in disarmo. Ma vediamone alcune. Dopo decenni di attività l’Arcic, la commissione cattolico-anglicana, aveva ottenuto larghi consensi ma non era mai giunta a conclusioni accettate dalle Chiese. La lettera apostolica segna la fine delle relazioni speciali con la Chiesa d’Inghilterra. Del resto la Chiesa d’Inghilterra aveva già tratto le sue conseguenze dell’ordinazione di donne al ministero sacerdotale. Le cinque province anglicane della Chiesa d’Inghilterra affermano che la successione apostolica dei vescovi non è costitutiva dell’identità di Chiesa e sono oggi in piena comunione con le Chiese luterane. La condanna del sacerdozio femminile e il ribadimento della invalidità delle ordinazioni anglicane fanno sì che ormai, per Roma, la Chiesa anglicana sia semplicemente una Chiesa protestante.
Ma ancora di maggior rilievo è la condizione in cui sono posti i gruppi intercattolici che chiedono l’ordinazione femminile, come il gruppo “Noi siamo Chiesa”. Il dissenso cattolico degli anni Sessanta e Settanta aveva una forte dimensione politica e sociale, una carica rivoluzionaria, che oggi il nuovo dissenso cattolico ha perduto. Tuttavia, proprio per il suo oggetto limitato, relativo quasi esclusivamente alla istituzione ecclesiale, il nuovo dissenso cattolico potrebbe mantenere le sue dimensioni organizzative e caratterizzare uno scisma non proclamato.
Va dato anche rilievo ad un altro atto, dovuto al cardinale Ratzinger, cioè la risposta della Chiesa cattolica alla dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione da parte della Federazione luterana mondiale e del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Sulla stampa e sulle varie pubblicazioni specializzate in ecumenismo, la dichiarazione congiunta è stata presentata come un accordo globale tra cattolici e luterani sulla giustificazione, il tema fondamentale che ha determinato la divisione della riforma luterana dalla Chiesa cattolica. Ma la risposta della Congregazione per la dottrina della fede mostra come le differenze cattolico-luterane rimangano intatte. Afferma che il «simul iustus et peccator», nel suo senso luterano, non può essere accettato dalla Chiesa cattolica. Ed il testo del cardinale Ratzinger segue toccando altri punti che tutti dipendono dal sistema luterano per cui l’uomo non riceve la vita divina nel battesimo, ma solo non gli è imputato il peccato che pur rimane in lui. Così la negazione del valore delle opere del cristiano in grazia (san Tommaso le diceva «più opere dello Spirito Santo che nostre») viene respinta dal cardinale che ribadisce il valore del sacramento della penitenza. E la “risposta” sostiene che i punti su cui la Chiesa cattolica si differenzia dalle posizioni luterane ricadono ancora sotto le condanne del Concilio di Trento. Dal Vaticano escono spesso documenti scritti in burocratese ecclesiale in cui è difficile intendere sia quello che dicono sia quello che non dicono, quello a cui alludono. Questo è invece lo stile bello e diretto che, sino agli anni Sessanta, era stato il modo e la forza della Santa Sede. Ma si può pensare, dopo quaranta anni di ecumenismo, che la miglior via per l’unità dei cristiani sia il franco riconoscimento delle differenze piuttosto che formule di concordia destinate ad abortire perché sentite, dall’una e dall’altra parte, come prive della “propria” verità.


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