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PERSONAGGI
tratto dal n. 06 - 1998

Papa se vuole Dio e il mondo


Era il candidato favorito nel conclave del 1730. Ma l’opposizione illegittima di alcuni regnanti impedì a Pietro Marcellino Corradini di succedere a Benedetto XIII. La storia del cardinale nato a Sezze, in provincia di Latina, di cui è iniziato a Palermo il processo di beatificazione


del cardinale Vincenzo Fagiolo


«Non annotta, e Corradini è papa». Questa affermazione, ricorrente ancor oggi a Sezze ogni qualvolta c’è un candidato favorito durante le elezioni, fu coniata per il concittadino Pietro Marcellino Corradini che nel conclave del 1730 – a seguito della morte di Benedetto XIII – non giunse all’elezione a motivo, soprattutto, delle illegittime e indebite opposizioni di alcuni regnanti. Amaro il giudizio dell’inviato imperiale a Roma, Collalto, dopo l’esclusione del Corradini: «Insomma, il conclave è come un teatro, ove or l’una, or l’altra scena si mira dei personaggi, la cui azione poi finisce in tragedia» (cfr. L. von Pastor, Storia dei papi, XV, 65 nota 4). Più elevato, ma non meno severo, il commento del Muratori: «Sarebbe a desiderarsi che qui non altro tenessero davanti agli occhi i sacri elettori se non il maggior servizio di Dio e della Chiesa, e che restasse bandito dal conclave ogni riguardo particolare» (Annali, XIII, 213). Giusta condanna dell’opposizione esterna e anche di quella interna, di quegli ecclesiastici cioè, che fecero ricircolare un libretto satirico, il Bellum Corradinum, scritto durante il pontificato di Clemente XI, per screditare il servizio che Corradini prestava alla Santa Sede. Essendo stato eletto il cardinale Corsini (dopo 5 mesi di conclave, tanto da suscitare le rimostranze del fiscale della Camera apostolica, per motivi economici), «la gioia del popolo, all’annunzio dell’elezione avvenuta, fu poca, perché a Roma si era tuttora sperato in Corradini che godeva simpatie molto più grandi», scrive il von Pastor (op. cit., XV, 659), che subito soggiunge: «Tra i quattromila uomini circa, presenti in piazza San Pietro [all’annunzio del nome dell’eletto] si sarebbero intesi solo dai quattro ai sei evviva» (ivi).
Ma già nel conclave del 1721 il cardinale Corradini era tra i favoriti e sembra che non giunse all’elezione perché i porporati temevano che con lui si potesse andare incontro a un altro lungo pontificato, dopo quello di Clemente XI durato circa 22 anni (in effetti se lo avessero eletto avrebbero avuto Corradini papa per circa 24 anni). I cardinali furono subito accontentati, perché l’eletto, Innocenzo XIII, non completò il terzo anno di pontificato. Ancora papabile nel conclave del marzo 1724, Corradini vi si adoperò per l’elezione del cardinale Orsini che prese il nome di Benedetto XIII. Benché legato al nuovo Papa da stima e amicizia sincere, Corradini non esitò a mostrargli piena contrarietà quando, appena dopo un anno di pontificato, nominò cardinale il suo discusso segretario, Coscia.
Il conclave più lungo del secolo (6 mesi), apertosi il 13 febbraio 1740, dopo la morte di Clemente XII (che era succeduto a Benedetto XIII il 16 luglio 1730), vide per l’ultima volta la partecipazione di Corradini, il quale, avendo constatato la volontà permanente dei cardinali di eleggerlo papa, manifestò subito il desiderio di non accettare l’elezione, a motivo della sua avanzata età. Moriva infatti tre anni dopo, l’8 febbraio 1743, quasi ottantacinquenne, «placide pientissimeque» (cfr. D.Giorgi, Petri Marcellini S.R.E. Cardinalis Corradini episcopi Tusculani Elogium historicum, Venezia 1747, X).
Più della sua papabilità – ancorché significativa per la conoscenza del personaggio – ci interessa Corradini iurisconsultus clarissimus e pastor animarum; anzi questo secondo aspetto ancor più del primo, anche perché egli coltivò il diritto in funzione dei «quam plurima munia in Romana Curia integerrime expleta» e del munus episcopale che svolse quale cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Frascati, come recita l’iscrizione che il cardinale Marcello Crescenzi fece porre sulla tomba del Corradini nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.

Iurisconsultus clarissimus
Il Corradini fu attento studioso dell’ordinamento canonico, fecondo e pregevole pubblicista di temi canonistici e, soprattutto, fu insigne operatore di diritto nei più alti e delicati uffici della Curia romana e nelle mansioni di nunzio o di incaricato speciale del Papa nella risoluzione di questioni tra la Chiesa e il potere civile.
Con la laurea in Diritto conseguita alla Sapienza, a 23 anni, Corradini intraprese dapprima l’attività forense, come avvocato, e cominciò ad approfondire questioni giuridiche. Nella prima questione che affrontò, sospintovi da un certo amore campanilistico per la terra natia (cui voleva si riconoscesse l’antichissima qualifica di “città” e di circoscrizione diocesana con sede vescovile), mostrò notevole genialità giuridica oltre che conoscenza e capacità di storico e di archeologo. Da questo primo studio (1680) ne scaturì uno più elaborato, il De civitate et Ecclesia setina (1702). Ma sia il primo che il secondo, fondamentalmente non erano che i prodromi di quell’attività più feconda e più matura che il Corradini ben dimostrò con la monumentale opera Vetus Latium profanum et sacrum, di cui pubblicò come autore i due primi volumi che uscirono a Roma nel 1704 e 1705 (degli altri, pubblicati negli anni 1706-1746, fu autore il gesuita Giuseppe Rocco Volpi). Per quanto questi primi studi ci manifestino già le doti del giurista, sotto questo profilo il Corradini cominciò a dare più chiari segni dopo la nomina a uditore (1685) del cardinale Benedetto Pamphili, prefetto della Segnatura di giustizia. Dopo tre anni di permanenza in questo ufficio giudiziario, cioè nel 1688, Corradini pubblicò il De iure prelationis, dove tratta un tema che coinvolgeva allora, sotto l’aspetto sia canonistico che pastorale, grovigli di problemi.
Ancor più rilevante sotto il profilo giuridico risulta il volume De primariis precibus imperialibus che Corradini pubblicò nel 1706 con lo pseudonimo di Corrado Oligenio. L’opera, approvata dai cardinali e dal Papa, fu la conseguenza dottrinale dell’azione svolta dal giurista nella controversia tra la Santa Sede e i sovrani tedeschi, che dal secolo XIII godevano dell’indulto di presentare un ecclesiastico all’autorità gerarchica competente, ex iure, nei conferimenti di prelature e di prebende ecclesiastiche. La presentazione avveniva con la formula di “preghiera preferenziale” o di “primarie preci”. Era ben chiaro che ogni accettazione e conseguente nomina erano subordinate al previo beneplacito pontificio sulla persona presentata. Non così però l’intesero spesso gli imperatori; anzi contrasti, anche pesanti, si ebbero tra le due autorità, come quando l’imperatore Giuseppe I si attribuì il diritto di nomina per i benefici vacanti senza il consenso della Santa Sede (come fece il 29 giugno 1705 per la cattedrale di Hildesheim). Fu Corradini – incaricato dal Papa – a difendere i diritti della Chiesa e lo fece con radicale soluzione, tanto che Clemente XI decise la soppressione del privilegio. Fu quindi merito del Corradini se il «conflitto sul cosiddetto diritto delle prime preghiere» (cfr. L. von Pastor, op. cit., XV, 31) finì felicemente per la Santa Sede.
Frutto di un’altra missione pontificia fu la Relatio iurium sedis apostolicae in civitatem Comaclensem (Roma 1711). Corradini, fallite le trattative della commissione mista (tre cardinali e due rappresentanti dell’imperatore), venne affiancato alla commissione e, da esperto giurista, appianò subito la strada verso la risoluzione della controversia, tanto che in breve tempo si giunse, concordemente, al riconoscimento dei diritti della Santa Sede in Comacchio, indebitamente occupata dalle forze imperiali, e perciò legittimamente restituita alla Santa Sede.
Il clarissimus iurisconsultus dimostrò le sue capacità di saggio operatore del diritto canonico nello svolgimento degli alti uffici curiali ancora di più di quanto non fece come avvocato e uditore della Segnatura di giustizia. Il titolo che allora legittimava l’esercizio della giurisdizione canonica, non era, come oggi, la potestas ordinis (cfr. can. 129 § 1). Non era richiesto l’ordine sacro, poiché era sufficiente appartenere allo stato clericale, cui si accedeva con la tonsura. Il Corradini divenne chierico intorno agli anni 1688-89. Nel 1689 e nel 1691 fu titolare di benefici e prebende di alcune chiese di Sezze, Priverno, Maenza. Ma il dato più rilevante fu il suo inserimento nella Curia romana, dove, in virtù delle lettere apostoliche Rationi congruit et convenit (15 luglio 1699), Innocenzo XII lo collocò come sottodatario della Dataria apostolica, competente nella nomina dei benefici ecclesiastici riservati alla Santa Sede. Seguirono altri prestigiosi incarichi, soprattutto a seguito delle risoluzioni dei citati conflitti con le autorità civili: la nomina a referendario della Segnatura di grazia e giustizia (29 maggio 1706), a consultore della sacra Penitenzieria (19 agosto 1706), ad arcivescovo titolare di Atene (7 novembre 1707). Per le benemerenze acquisite, ultima quella del 1711 risolutiva della controversia sul possesso di Comacchio, il 18 maggio 1712 venne creato cardinale da Clemente XI che, però, lo riservò in pectore, rendendolo pubblico il 26 settembre 1712. Il cardinalato fu per Corradini non un onore personale, ma titolo e motivo di un ministero più qualificato culturalmente e pastoralmente. Aumentarono i suoi impegni di operatore del diritto a profitto di tutta la comunità ecclesiastica con la nomina di prefetto della Sacra Congregazione del Concilio (1718). Essa era stata istituita da Pio IV il 2 agosto 1564 (prima della riforma della Curia romana operata nel 1588 da Sisto V) con il titolo S. Congregatio Cardinalium Concilii Tridentini interpretum. Fu tra le Congregazioni della Curia romana la più impegnata non solo nella fedele applicazione dei decreti tridentini ma anche nella revisione degli atti dei concili provinciali. Il contributo di Corradini alla risoluzione dei numerosi quesiti e dei non pochi problemi collegati con la retta applicazione dei decreti tridentini fu rilevante sotto l’aspetto strettamente canonistico, come il famoso Thesaurus resolutionum Sacrae Congregationis Concilii ben dimostra. Ma anche sotto l’aspetto pastorale va rimarcata l’attività di Corradini a capo di questo dicastero, che, per un periodo di tempo, diresse insieme a Lambertini, che ne era il segretario (questi, in seguito, da arcivescovo di Bologna salirà al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV, il Papa della sana disciplina canonica). In quella veste il Corradini fece emanare dalla sua Congregazione in data 10 gennaio 1721 le Litterae approvate da Clemente XI sulle norme da osservare nell’indizione dei concorsi per la provvisione delle parrocchie vacanti, in esecuzione del decreto tridentino (sess. XXIV can. 18). A proposito di queste Litterae indirizzate ai vescovi e agli equiparati, evidentemente quando il Lambertini era segretario e Corradini prefetto della Sacra Congregazione del Concilio, Benedetto XIV afferma, nella costituzione apostolica Cum illud del 14 dicembre 1742, che furono nostro calamo exaratae e volle inserirle integralmente nella ora citata sua costituzione con la firma del prefetto Corradini e la sua, quale segretario. Gli impegni del Corradini aumentarono come titolare, prima della Basilica di San Giovanni a porta Latina (1712) e poi di Santa Maria in Trastevere (1726), per diventare poi più gravosi quando assunse il munus episcopale, quale vescovo della diocesi suburbicaria di Frascati.

Pastore
Con maggiore aderenza storica, il Corradini potrebbe essere meglio qualificato come pastore zelante, se quest’aggettivo non avesse assunto quella valenza “politica” che purtroppo ebbe in più circostanze nella vita del porporato. Che egli fosse un pastore zelante come sacerdote, vescovo e cardinale nessuno ne dubitava; che fosse zelante nelle opere di solidarietà, di carità e di aiuto ai poveri e agli infermi lo documentavano i suoi comportamenti, le sue iniziative caritative, la cura che ebbe nel fondare e sostenere l’ospedale San Gallicano. Che fosse zelante nel dare valido sostegno agli istituti di vita consacrata fino a prodigare tutte le sue energie per la fondazione della Congregazione della Passione e delle suore Collegine, erano i fatti a testimoniarlo eloquentemente. Ma quell’aggettivo è bene evitarlo quando si parla della pastoralità del Corradini, perché veniva denominato “zelante” e classificato nel gruppo dei cardinali “zelanti” chi si schierava all’interno di una determinata corrente “politica”, nelle elezioni del romano pontefice.
Pietro Marcellino Corradini, come sacerdote e, ancor più, come vescovo, fu pastore autentico: del pastore ebbe la intrinseca configurazione con il Divino Pastore. Ebbe quella carità che fa del capo del gregge diocesano, il diaconus omnium. Non godeva del suo potere né si adagiava sugli onori. Il governo era per lui un servizio e un esercizio d’amore al gregge. La carità non era da lui intesa come contorno o sovrapposizione che sollecita misericordia e benignità di sguardi verso i poveri e i sofferenti, bensì quale virtù teologale che anima intrinsecamente la stessa potestas, che pertanto diventa sacra e induce il capo a sorvegliare il gregge volentieri, secondo i precetti di Dio, non per vile interesse ma di buon animo, non spadroneggiando sulle persone ma facendosi modello del gregge (cfr. 1 Pt 5, 2-9). Di questo divino insegnamento, il Corradini fu interprete e sollecito maestro nel farlo applicare dai vescovi e dai parroci, quando fu prefetto della Sacra Congregazione del Concilio, che aveva il compito di far eseguire i decreti del Tridentino. Questo Concilio pose alla base della riforma disciplinare un monitum fortemente pastorale, frutto dell’insegnamento di Cristo, pastore eterno delle anime. Corradini si regolò secondo quel monito (Conc. Trid. sess. XIV, de ref. can. 1) rivolto ai vescovi perché non siano percussores, ma pastores; perché presiedano ai sudditi non per dominarli, ma con amore, trattandoli come filios e fratres; perché li esortino con ogni bontà e pazienza, poiché giova più la benevolenza che l’austerità, più l’esortazione che la minaccia, più la carità che il potere. Corradini da buon canonista sapeva che la normativa canonica ha la sua base nel Vangelo, al quale necessariamente deve ispirarsi come di fatto in passato si era generalmente ispirata (cfr. C. 4,6,9,14, D. XLV; c. 2, D. LXXXVI; c. I, 3, C. XXIII, q. 5), ma non sempre fedelmente seguita, tanto che fu necessario a Trento stabilire il dovere della residenza dei vescovi e dei parroci nelle loro rispettive sedi, e della visita pastorale dei vescovi alla loro diocesi.
Canonista secondo la migliore formazione, arricchita dalle funzioni svolte nella Curia romana a sostegno dell’azione pastorale di tutti i vescovi, il Corradini fu pastore attento e sollecito, che esercitava il suo ministero con la carità, intesa come fonte soprannaturale e di vita in Cristo, come stimolo per il ministero episcopale, come esercizio delle opere di giustizia, di condivisione e di misericordia.
Non poche sono state le esperienze pastorali e le iniziative prese dal Corradini nell’esercizio del suo ministero sacerdotale ed episcopale. Il suo apostolato non ebbe un campo limitato e circoscritto a sporadici episodi o a un solo settore. Dal suo impegno per l’educazione della gioventù all’intensa attività di pastore della diocesi suburbicaria di Frascati, egli profuse le sue migliori energie di mente e di cuore per quella salus animarum che è il fine specifico della vita e della missione della Chiesa.
Nel Settecento, anime particolarmente sensibili ai problemi educativi e alla formazione culturale e religiosa della gioventù diedero vita a nuove forme di aggregazione ecclesiale. Lo stesso Corradini, che in un primo tempo sembrò soggiacere al desiderio di quanti, come ad esempio padre Pietro Francesco Valle, suor Angela Rossi e Bartolomeo Rota, proponevano di fondare un monastero a Sezze, volle tentare una nuova forma di vita comunitaria, un luogo pio diverso dal monastero, con finalità corrispondenti alle necessità, in linea con quanto avevano o stavano per realizzare singolari figure femminili, quali Caterina Savelli, Lucia Filippini (a Montefiascone), Claudia de Angelis (ad Anagni), le sorelle Teresa, Cecilia e Antonia Faioli ad Anticoli (Fiuggi). Istituzioni – sfociate poi in congregazioni religiose – volute allo scopo specifico di affrontare il problema della gioventù femminile, abbandonata, senza alcuna istruzione e priva di ogni aiuto e assistenza morale e religiosa. Il Corradini fondò quindi in Sezze il Conservatorio della Sacra Famiglia, dotandolo di un palazzo con case attigue, di migliaia di scudi e, soprattutto, arricchendolo di validi strumenti e norme di vita, frutto delle sue capacità pastorali e della sua formazione giuridica. L’istituto fu approvato da Clemente XI (1717) e cominciò a operare in Sezze con 13 aspiranti e con «scuole delle fanciulle di ogni età e condizione». Divenuto una congregazione religiosa fiorente e tuttora molto attiva in Sicilia (155 case), a Roma, in Gran Bretagna, Polonia, Tanzania e Messico, conserva lo spirito del fondatore e ne persegue i fini istituzionali, dei quali, recentemente, il benemerito Conservatorio Corradini ci ha fatto conoscere la portata e il valore con la pubblicazione del volume Piissime migravit, che raccoglie l’esperienza carismatica e le disposizioni testamentarie di Pietro Marcellino Corradini.
Restando nell’ambito della vita consacrata, abbiamo un’altra esperienza di rilevante spessore pastorale e giuridico, vissuta dal Corradini. La vita di quest’insigne uomo di Chiesa fu per anni intrecciata con quella di san Paolo della Croce (Paolo Danei), fondatore della Congregazione dei Passionisti. Iniziò con la conoscenza (favorita da monsignor Crescenzo Crescenzi) dei due fratelli Danei, Paolo e Giovanni Battista, che spiritualmente colpirono il Corradini per la loro vita esemplare e per il carisma che intendevano rendere operativo nella Chiesa con la fondazione di un istituto, la cui essenziale e principale caratteristica fosse una forte spiritualità emergente dalla passione del Signore. Corradini fu lo strumento provvidenziale dell’incontro tra il Papa e i due fratelli, che ottennero subito l’approvazione pontificia, anche se provvisoria e fatta oraculo vivae vocis (21 maggio 1725). In seguito all’elezione di Benedetto XIV, sul cui animo il Corradini aveva un grande ascendente (ricordo che Lambertini era stato segretario della Sacra Congregazione del Concilio, con Corradini prefetto), san Paolo della Croce ebbe dal Papa l’approvazione delle regole passioniste, grazie alla mediazione dello stesso Corradini. E sono altamente significative della spiritualità del Corradini e della stima che lo stesso aveva di san Paolo della Croce, le espressioni con le quali il cardinale chiudeva le sue lettere al fondatore dei Passionisti: «Tenga sempre memoria di me nei Suoi Sacrifici ed Orazioni»; oppure: «Non si scordi di me nelle sue apostoliche fatiche, e mi tenga continuamente raccomandato al Signore nelle Sue Orazioni»; e ancor più esemplare quella che chiudeva la lettera (15 luglio 1741) dell’approvazione dell’istituto: «Non si scordi Lei intanto di aver continua memoria di me nelle Sue Orazioni e faccia sempre pregare Dio per me da codesti Congregati».
Interessante anche la collaborazione pastorale e giuridica del Corradini alla vita e alla missione dei monaci cassinesi, di cui fu protettore, e quella per la restaurazione del Sacro Speco di Subiaco.
Un discorso a parte meriterebbe l’opera svolta per l’ospedale San Gallicano, in Roma, alla cui erezione collaborò con profondo senso evangelico, con generosità in denaro e aiuti vari, con dedizione piena di autentico uomo di Chiesa e di esperto giurista, tanto che il Papa lo nominò protettore con la bolla Bonus ille aeternusque pastor (30 settembre 1726). Fu anche protettore a vita dei neofiti e catecumeni, con nomina di Clemente XI.

Cardinale vescovo di Frascati
Nel suo operato in qualità di vescovo di Frascati, Corradini mostrò piena disponibilità e capacità di padre e pastore, coniugando mirabilmente la sua cultura giuridica con lo zelo sempre sollecito per la Chiesa e le sue anime.
Il De Sanctis, che più di ogni altro si è dilungato nella narrazione della vita del Corradini (cfr. G.De Sanctis, Pier Marcellino Corradini Cardinale “Zelante”, Roma 1971), introducendoci nella conoscenza dell’episcopato del cardinale sezzese, lo fa con un titolo altamente qualificativo: Inizio della carità. Giustamente, perché l’episcopato attivo del Corradini fu caratterizzato dalla carità, quale simbolo del ministero pastorale. Di lui l’apostolo Paolo (cfr. Rm 13, 10) avrebbe detto che a compimento della legge nella quale era esperto aveva posto la carità; anche a complemento qualitativo delle sue capacità di curiale e servitore della Santa Sede aveva posto la carità. Da cardinale dell’ordine dei preti, optò per quello dei vescovi (nel Concistoro del 15 dicembre 1734) mettendovi a profitto la pienezza del sacerdozio, conferitagli già come arcivescovo titolare di Atene nel 1707.
Che non avesse optato per una diocesi suburbicaria tanto per avere un titolo di maggiore prestigio, né, tanto meno, per un nuovo beneficio da cui percepire rendite, si comprese subito dalla decisione di risiedere nella sede episcopale e di non voler un vescovo ausiliare. Colui che da prefetto della Sacra Congregazione del Concilio si adoperò per l’applicazione fedele dei decreti tridentini, volle dare l’esempio con la permanente dimora nella sua diocesi, in piena adesione alle riforme volute a Trento, e con lo spirito con cui quel Concilio volle le riforme. Il vescovo che incarnò il cardinale Corradini fu “modello del gregge”, sul quale non dominò e che servì non per vile guadagno, ma con animo volenteroso (cfr. 1 Pt 5, 1-4), tanto che iniziò subito con un gesto e un impegno di carità, risolvendo la controversia tra l’amministrazione civica e il monastero di Flavia Domitilla, in Frascati. La sua fu quella carità pastorale che Gesù chiese a Pietro prima di affidargli il gregge che, per poter essere amato con efficacia e piena devozione, deve essere guidato verso Cristo, perché viva di Cristo, santificandolo con la parola e i sacramenti. A tre mesi dalla nomina a vescovo, emanò un editto per richiamare ai doveri cristiani «con forza e vigore come se [l’editto] a ciascheduno fosse stato personalmente intimato». Se oggi sembra inopportuno o controproducente inculcare l’obbligo del giorno festivo, anche con pene per gli inadempienti, il Corradini vi fu spinto dal dovere di conservare il volto cristiano della domenica e dall’amore verso i suoi fedeli, perché «con ogni attenzione, devozione, modestia, rispetto, riverenza» sia dato a Dio il dovuto culto. E non fu egli uomo di soli editti, anzi ne fu parco rispetto alle attività pastorali proprie del vescovo. Iniziò già con il primo anno di episcopato la visita pastorale, i cui atti per volontà dello stesso Corradini ben redatti ce ne mostrano tutta la valenza nella preparazione, nel meticoloso svolgimento e nelle disposizioni finali destinate a rinvigorire la disciplina del clero, alla correzione dei costumi del popolo e, soprattutto, a suscitare un salutare risveglio delle coscienze. E perché ciò si potesse raggiungere volle che la visita pastorale fosse accompagnata dalle missioni in tutte le parrocchie della diocesi, sotto la diretta responsabilità e partecipazione del più celebre missionario dell’epoca, san Leonardo da Porto Maurizio. La visita pastorale fu indirizzata anche verso la soluzione di problemi umani, ancorché non strettamente connessi con la stretta vita ecclesiale. Per la disponibilità e l’impegno che si era assunto di creare nelle comunità da visitare un clima di serenità e di pace, Corradini venne definito “l’angelo della pace”, e a buon diritto, perché aveva eliminati dissidi, come, ad esempio, quello tra il capitolo della cattedrale e i magistrati civili. Chi legge la cronaca di quelle visite e fa attenzione al modo con cui il Corradini le svolse, le visse e alle decisioni che prese, perché fossero attuate, ha la netta impressione che egli, come già san Carlo Borromeo, aveva incarnato con la norma lo spirito del Tridentino. Non mancò di infliggere punizioni esemplari, come quella che impose a don Carlo Serani, rimuovendolo dall’ufficio, avendone saputo la notevole negligenza nell’amministrare il battesimo. Sapeva anche lodare le persone e le istituzioni che con serietà attendevano al loro ufficio. Fece pubblica lode alla congrega di San Rocco che provvedeva a proprie spese a far ardere giorno e notte la lampada del sacramento. Ebbe cura degli infermi; esaminò i registri parrocchiali, la suppellettile sacra; incise fortemente nella condotta e nel comportamento in pubblico dei fedeli, perché si evitassero manifestazioni indecorose, violenze, soprusi e ingiustizie.
Dagli atti della visita pastorale risulta che personalmente amministrava il sacramento della cresima, come fece, già nel primo anno del suo episcopato, nella Cattedrale di Frascati, il giorno di Pentecoste, e dove il sabato successivo tenne le ordinazioni sacerdotali. Volle che il clero fosse compartecipe delle attività del vescovo, anche della visita pastorale, ammonendo tutti gli ecclesiastici con un discorso in Cattedrale sul loro dovere di confermare, con la parola e con l’esempio, i buoni nel bene e di ricondurre sulla retta via coloro che se ne erano allontanati. Segno dello zelo pastorale del Corradini è anche la forma meticolosa con cui controllò tutto ciò che nelle parrocchie è connesso con l’attività catechetica, liturgica, caritativa, con quanto è ordine e disciplina canonica, pulizia e integrità delle suppellettili, condotta dei sacerdoti e loro modo di esercitare il ministero, giungendo a farsi portare a casa i libri parrocchiali (specchio dello zelo del parroco) per verificare se tutto in essi fosse in regola. Ebbe cura degli infermi che erano nelle case e per essi ottenne la benedizione papale, che volle impartire personalmente. Non trascurò le sepolture – che allora erano nelle chiese – eliminando abusi e stabilendo regole e competenze, anche per evitare i conflitti tra sacerdoti e frati nella celebrazione delle esequie. Ma più di ogni altro impegno gli stava a cuore la santità del clero, per il quale si prodigò affinché fosse preparato culturalmente e continuasse a nutrirsi della parola di Dio, approfondisse la conoscenza delle verità della fede e fosse ben consapevole dell’osservanza delle decisioni tridentine.
L’elevazione culturale del clero era vista anche in funzione dell’istruzione del popolo cristiano, attesa la «somma ignoranza di molti nei sacrosanti misteri della fede». Dettò a tal fine norme che il clero doveva seguire perché la catechesi non fosse solo istruzione, ma scuola di vita, e non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti ai quali i parroci dovevano ogni giorno festivo impartire sistematiche lezioni, arricchite per chi le faceva e per coloro che le frequentavano di determinate indulgenze, obbligandovi anche i cappellani che celebravano nelle zone rurali. Tutti dovevano ogni tre mesi farne relazione scritta al cardinale, specificando gli argomenti trattati, la frequenza dei fedeli e il frutto che presumibilmente speravano di ricavare. Avendo «con sommo rammarico» constatato la scarsa frequenza dei ragazzi al catechismo «per la poca carità che hanno li padri e madri, ed altri che hanno la cura dei fanciulli» si adoperò, ricorrendo anche «a qualche pena pecuniaria, in caso di mancanza, dopo la terza». Somma fu inoltre la cura con cui il Corradini si adoperò per il buon funzionamento del seminario, per il quale egli stesso preparò un testo unificato di regolamento, per una sana e completa formazione spirituale. «Gli alunni abbiano spesso in mano la Sacra Scrittura, al cui studio attenderanno ogni giorno». Seguivano norme sulla preghiera e sulla meditazione quotidiana, sulla lettura spirituale e sulla partecipazione alla messa. Lo studio veniva inculcato anche come un dovere: «Sappiamo tutti che lo studio non è di consiglio, ma obbligo stretto e rigoroso; [...] per essere mantenuti con le rendite ecclesiastiche, cioè con il sangue dei poverelli. Onde, se non studiano conforme richiede il loro dovere, non stanno bene in coscienza». E insisteva sulla formazione integrale: «Dovendo essere la vita del chierico un perfetto esemplare di virtù, dovrà ciascuno alunno far un tal abito nel buon costume, nel vestito, nei gusti, nei passi, nei discorsi ed ogni altra sua esteriore azione spirare gravità, modestia e devozione, conciliandosi in tal guisa dai secolari quella venerazione e rispetto che devesi ad un ecclesiastico».
Dopo il Concilio di Trento la figura del vescovo crebbe nella considerazione del popolo cristiano e nell’estimazione del clero. E non solo a motivo della residenza nella sede episcopale, divenuta obbligatoria; ma soprattutto per l’azione che il vescovo, fedele alle norme tridentine, svolgeva come maestro, liturgo e dispensatore dei divini misteri, come padre della comunità diocesana che animava con la carità pastorale. Figura emblematica di questa rinnovata missione episcopale era stato il cardinale Carlo Borromeo; ma non fu l’unico; in seguito tra i non pochi primeggiò anche Pietro Marcellino Corradini. Ne è riprova la santità della sua vita.

Verso gli onori dell’altare
Nato a Sezze il 2 giugno 1658 da una famiglia molto religiosa ed esemplare, divenne cristiano il giorno dopo, il 3 giugno, ed ebbe a madrina la serva di Dio Caterina Savelli. Conobbe un grande santo, suo concittadino, san Carlo da Sezze, che morì quando il Corradini aveva 12 anni. E la santità fu sempre la suprema aspirazione di questo figlio di Sezze, che tutto pensava e tutto operava per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, come ben sottolinea Gaetano Romeo con il libro Quando l’amore diventa servizio (Ed. Stass, Palermo 1986). Che il Corradini si fosse avviato fin da adolescente verso la santità e che questa strada l’abbia percorsa per tutto l’arco della sua esistenza è facile comprenderlo dal fatto che egli fu sempre in ogni sua attività guidato dalla virtù teologale della carità, che è la forma, la stabilità e la sostanza di tutte le virtù. La carità per natura conduce alla santità (cfr. Perfectae caritatis, 1), anzi la santità è la perfezione della carità e viceversa. Il Corradini si rivelò ben presto uomo di amore fraterno e di autentica carità evangelica. Egli infatti non solo insegnò e inculcò il primato della carità (si leggano ad esempio le costituzioni che egli diede alla congregazione delle suore Collegine della Sacra Famiglia, e l’Epistolario), ma fu lui stesso operatore di carità con l’azione educatrice, con la direzione spirituale, con l’assistenza agli istituti religiosi, in particolare ai padri Passionisti (cfr. G.De Sanctis, op. cit., pp. 514-543). Fu uomo di carità perché svolse i molteplici incarichi (nella Curia romana, nelle delegazioni pontificie, come vescovo, come cardinale, ecc.) sempre come un servizio: fu servitore, ministro, diacono; tradusse l’amore in servizio, come ben documenta Gaetano Romeo nel già citato libro. Non fu prelato della Chiesa romana per interessi propri, ma per servire la Chiesa; lo sapeva bene il cardinale Benedetto Pamphili di cui fu uditore; lo sapevano bene i componenti della Segnatura e quelli della Sacra Congregazione del Concilio di cui fu prefetto, quelli della Dataria di cui fu sottodatario. Che fosse servitore attento e tutto preso dal bene della Chiesa lo hanno testimoniato gli uomini di governo ai quali il Papa lo aveva inviato per dirimere questioni. Ne abbiamo una indubbia testimonianza dall’ambasciatore veneto a Roma che, nella relazione al suo governo, in data 1713, scriveva: «Il cardinale Corradini ha avuto non poca parte in tutti gli affari di Stato. È soggetto di mente, dotto nel diritto. [...] Si distingue per la fermezza nel sostenere la sua opinione appresso il Papa e appresso il mondo per la sincerità d’operare. [...] Io l’ho ritrovato forte nel suo impegno, ma pieghevole alla ragione». E per quanto dimostrasse notevole capacità nell’eseguire questi incarichi, egli scelse e preferì i poveri, come documenta Giovanni Bonanno in Il Cardinale Corradini (Palermo 1993; cfr. ivi cap. “Cardinale degli ultimi”, pp. 7-17). Dispregiatore delle ricchezze, trentenne rinunciò ai beni di famiglia e da allora in poi tenne sempre la medesima condotta. Ai più poveri consacrò sempre la sua opera; come consacrò la sua vita alle Collegine – ordine che fondò con l’approvazione di Clemente XI nel 1717 – che da allora si diffusero moltissimo, specialmente in Sicilia. Durante il suo episcopato istituì a Frascati un monte di pietà perché fungesse da “banca dei poveri”. L’ospedale di San Gallicano fu costruito da Benedetto XIII per consiglio e proposta del Corradini che lo volle per gli artisti poveri, tant’è che tra i letterati della Arcadia prediligeva gli indigenti. Per suo desiderio, l’ospedale, di cui divenne il responsabile, doveva restare aperto giorno e notte, sempre pronto ad accogliere qualsiasi bisognoso. Non ebbe paura di visitare gli ammalati di peste, quando nell’anno 1743, Roma era trasformata in un immenso lazzaretto. La peste fece migliaia di vittime e non risparmiò il nostro Pietro Marcellino Corradini, che morì l’8 febbraio di quell’anno, all’età di circa 85 anni. Da giovane e da anziano, da prete, da vescovo e da cardinale, da fondatore di ordini religiosi, da uomo di curia e da studioso e pubblicista, sempre «il Corradini viene a trovarsi in prima fila a servizio di coloro che erano i più poveri, i più umiliati ed emarginati; vive preoccupato di offrire ai diseredati la dignità di uomini» (Bonanno, op. cit., p. 10). L’uomo, soprattutto l’uomo di Chiesa, si riconosce dal dono che sa fare di sé agli altri, e più si dona e più grande diventa agli occhi degli uomini e al cospetto di Dio; questa è santità autentica e tutto questo fu e resta il cardinale Pietro Marcellino Corradini, il cui processo di canonizzazione è iniziato il 19 maggio 1993 nella Cattedrale di Palermo dal cardinale Salvatore Pappalardo.


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