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ITINERARI. SAN GIOVANNI A...
tratto dal n. 05 - 1998

Itinerari. San Giovanni a porta Latina

L’apostolo prediletto a Roma


Come Pietro e Paolo, anche Giovanni fu nella capitale dell’impero? Un’antica tradizione dice di sì e racconta come solo un miracolo lo salvò dal martirio


di Giovanni Ricciardi


A Roma, lungo il tracciato delle mura Aureliane, a pochi metri da porta Latina, sorge un antico tempietto detto di San Giovanni in Oleo, che oggi possiamo ammirare nell’ultimo rifacimento borrominiano. Secondo un’antica tradizione, fu eretto in ricordo del martirio che l’apostolo Giovanni vi avrebbe subito, immerso in una caldaia d’olio bollente, e da cui sarebbe uscito illeso.
È pur vero che molti studiosi sono propensi a relegare la vicenda nel novero delle leggende, ma la tradizione che vuole a Roma «il discepolo che Gesù amava» non è una tarda notizia medievale. La Chiesa fondata sul sangue di Pietro e Paolo ha per secoli serbato memoria di questo singolare avvenimento: ai due apostoli che diedero testimonianza al Signore nella città capitale dell’impero, i cristiani di Roma avevano presto associato il nome di Giovanni. Ma esistono conferme attendibili della venuta di Giovanni a Roma?

Immerso nell’olio bollente
La più antica testimonianza del fatto ci proviene da Tertulliano, l’apologista vissuto in Africa tra il II e il III secolo. In un famoso passaggio del De praescriptione haereticorum, composto intorno al 200, per dimostrare l’autorità e la preminenza della Tradizione apostolica rispetto alle dottrine degli eretici, Tertulliano accenna al primato che, in questo campo, ha la Chiesa di Roma: «Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola» (De praescr. 36). Il contesto crea l’impressione che la notizia fosse di comune dominio nell’ambito della comunità cristiana di Roma. Sarebbe strano che Tertulliano avesse associato due eventi assolutamente certi come il martirio di Pietro e Paolo a Roma con una notizia poco documentata.
Un’altra preziosa testimonianza, che risale alla fine del IV secolo, ci deriva da Girolamo: preziosa perché si tratta di un autore ben allenato alla critica storica e al discernimento delle fonti. Nel suo commento al Vangelo di Matteo, e precisamente al passo in cui Gesù preannunzia a Giacomo e Giovanni che anch’essi avrebbero bevuto con lui il calice della passione (Mt 20, 22), a proposito del prediletto, Girolamo osserva che «Giovanni terminò la sua propria vita con una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il persecutore non fece effondere il suo sangue» (Comm. in Ev. secundum Matthaeum).

«A causa della testimonianza resa a Gesù»
Ma quando e perché sarebbe avvenuto il martirio? Come sappiamo, a differenza degli altri undici, martirizzati prima del 70, l’apostolo Giovanni giunse a una veneranda età. Le fonti di cui disponiamo permettono di ricostruire a grandi linee le tappe della sua vita. Nei primi capitoli degli Atti degli apostoli lo troviamo accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio. In un rapido passaggio della Lettera ai Galati (2, 9) Paolo lo associa ancora una volta a Pietro e a Giacomo, le «colonne della Chiesa». Pertanto, nel 49, anno dell’incontro di Paolo con gli apostoli, Giovanni si trovava ancora a Gerusalemme. Dopo questa data, certamente si trasferì a Efeso: Eusebio di Cesarea, autore nel IV secolo di una Storia ecclesiastica, colloca il fatto nel 67, allo scoppio della guerra giudaica (Hist. eccl. III, 23, 4).
In quell’anno Pietro era già morto. Da allora, per più di trent’anni Giovanni resterà, fra gli apostoli, l’unico testimone oculare della vita terrena del Signore. Questo fatto deve aver creato intorno a lui una particolare venerazione, da cui forse nacque tra i cristiani la diceria che l’apostolo non sarebbe morto fino al ritorno di Gesù nella gloria.
In quegli anni Giovanni incontra Policarpo, che sarà da lui ordinato vescovo di Smirne. Ireneo, vescovo di Lione nato in Asia Minore intorno al 130, aveva a sua volta conosciuto Policarpo. Proprio lui ci ha serbato il vivo ricordo e l’emozione di aver potuto vedere l’amico dell’apostolo prediletto. Nella lettera allo gnostico Filone, che era stato suo compagno in gioventù, Ireneo scrive: «Quando ancora ero ragazzo, io ti ho visto in Asia, accanto a Policarpo [...]. Ti potrei indicare ancora oggi il luogo nel quale Policarpo sedeva allorché parlava [...], i discorsi che teneva al popolo, quello che raccontava della sua dimestichezza con Giovanni e con le altre persone che avevano visto il Signore, il racconto che egli faceva della loro vita, e ancora ciò che aveva udito da loro intorno al Signore, i suoi miracoli e la sua dottrina» (citato da Eusebio in Hist. eccl. V, 20, 4).
Sono ancora Ireneo ed Eusebio a dare notizie sugli ultimi anni della vita di Giovanni. Eusebio non fa menzione del suo viaggio a Roma, ma afferma che al tempo di Domiziano «l’apostolo ed evangelista Giovanni era ancora in vita. A causa della sua testimonianza al Verbo di Dio fu condannato ad abitare nell’isola di Patmos» (Hist. eccl. III, 17). Siamo all’incirca nel 95. La venuta di Giovanni a Roma, il processo e la condanna che vi subì potrebbero essere di poco anteriori.
A Patmos Giovanni redige l’Apocalisse. Con la morte di Domiziano nel 96 e la revoca del suo esilio, l’apostolo torna ad Efeso, come ancora una volta conferma Eusebio: «A quel tempo era ancora in vita, in Asia, colui che Gesù amava, Giovanni apostolo ed evangelista, che governava quelle Chiese dopo il suo esilio nell’isola di Patmos, in seguito alla morte di Domiziano» (Hist. eccl. III, 23). Qui compose il quarto Vangelo, dietro insistente richiesta dei cristiani della sua comunità. «Giovanni, il discepolo del Signore» spiega Ireneo «quello che riposò sul suo petto, pubblicò anch’egli il Vangelo, mentre dimorava ad Efeso, in Asia» (Adv. Haer. 3, 3, 4). Infine, sempre secondo Ireneo, morì durante il regno di Traiano: «La Chiesa di Efeso, fondata da Paolo e dove visse Giovanni fino ai tempi di Traiano, è testimone verace della Tradizione degli apostoli» (Adv. haer. 3, 1, 1).
Anche Policrate, vescovo di Efeso alla fine del II secolo, in una lettera indirizzata a papa Vittore intorno al 190, enumera «le grandi stelle che riposano in Asia», tra cui occupa un posto eminente quel Giovanni che «riposò sul petto del Signore, fu sacerdote, e ne portava l’insegna, fu anche martire e maestro [mártuw kaì didáskalow]; questi riposa in Efeso» (citato da Eusebio in Hist. eccl. V, 24, 2-6).
Se quest’espressione debba essere intesa nel senso che Giovanni subì il martirio, pur non trovandovi la morte, o solo che fu per eccellenza testimone del Signore, non è possibile dire. La parola marturía, nel greco cristiano, può significare entrambe le cose. Lo stesso può dirsi del passo dell’Apocalisse in cui Giovanni afferma di essere stato confinato a Patmos «a causa della parola di Dio e della testimonianza [marturía] resa a Gesù» (Ap 1, 9), benché il senso generale dell’espressione lasci pensare ad un contesto di persecuzione.
Ma torniamo a Roma, e al luogo che la tradizione indica come quello del martirio dell’apostolo.

Un antico martyrion
Il tempietto di San Giovanni in Oleo ante portam Latinam ha oggi un aspetto rinascimentale. Fu ricostruito su una precedente cappella nel 1509 dal cardinale Benedetto Adam e decorato con fregi nel 1658 dal Borromini. Ma la pianta di questo singolare edificio rivela la sua indubbia antichità. L’archeologo Guglielmo Matthiae, che lo ha studiato a lungo, ritiene che la sua attuale struttura possa risalire a un precedente impianto paleocristiano. Infatti la forma ottagonale, «che ben conviene ad un martyrion», cioè ad un edificio costruito sul luogo di un martirio, ricorda molte costruzioni analoghe presenti nel territorio dell’impero romano, in special modo in Oriente. «La posizione del tempietto sul margine di una via consolare» spiega Matthiae «non escluderebbe neppure, almeno in teoria, la possibilità di un mausoleo pagano anteriore alla cinta aureliana trasformato o adattato al nuovo uso». Sembra infatti, come testimoniavano ritrovamenti archeologici visibili in epoca rinascimentale, che sul luogo del martirio di Giovanni esistesse un tempio in onore di Diana, l’Artemide dei greci che veniva venerata proprio a Efeso. Anche Paolo aveva subito persecuzioni in quella città dai devoti della dea (At 19, 23-41). «Se anzi» osserva ancora Matthiae «la tradizione di un martirio dell’evangelista a Roma risale ad alta antichità, il piccolo edificio potrebbe realmente appartenere al III secolo. [...] D’altra parte, Roma non presenta per quel che ora ne sappiamo, altri sacelli ottagonali durante tutto il Medioevo, e nel Rinascimento non vi sarebbe stato motivo di creare proprio in quel punto un sostegno monumentale a una leggenda che poteva più agevolmente essere localizzata nella vicina ed antichissima basilica» (G. Matthiae, San Giovanni a Porta Latina e l’oratorio di San Giovanni in Oleo, Roma 1956).
E infatti, proprio alla fine del V secolo, sotto il pontificato di papa Gelasio I, a poche decine di metri dal tempietto, sorgerà la Basilica di San Giovanni a porta Latina. Lo sviluppo del culto in onore dell’apostolo a Roma aveva ricevuto un grande impulso, in seguito al ritorno dei presbiteri romani da Efeso dopo il Concilio del 431. Alla sua diffusione contribuì soprattutto il papa Ilaro (461-468), che al tempo del Latrocinium ephesinum del 449 si era salvato dal furore dell’eretico Dioscoro celandosi nella tomba di san Giovanni. Ilaro eresse un oratorio nel Laterano in onore dell’apostolo, presso il Battistero. Vi si conserva all’esterno l’iscrizione: Liberatori suo beato Iohanni Evangelistae, Hilarus episcopus famulus XPI («Al suo liberatore, il beato Giovanni evangelista, il vescovo Ilaro, servo di Cristo»). Pietro si era rifugiato all’ombra di Giovanni: sarà così che la Basilica lateranense, l’abitazione dei papi fino a tutto il Medioevo, assumerà, oltre al titolo del Santissimo Salvatore conferitole da Costantino, anche quello di Giovanni evangelista. Nel frattempo, mentre si sviluppava questa devozione romana, il ricordo del martirio di san Giovanni a Roma veniva già celebrato nella liturgia. L’inno di sant’Ambrogio in onore del discepolo che Gesù amava risale alla fine del IV secolo: Vinctus tamen ab impiis / calente olivo dicitur / tersisse mundi pulverem / stetisse victor aemuli («Legato poi dagli empi / si narra che in olio bollente / lavò la polvere del mondo / e si levò vittorioso del nemico»).

Pietro segue. Giovanni rimane in attesa
E così, alla sede di Pietro continuò a legarsi anche il nome di Giovanni: il Sacramentario Gregoriano (composto tra il 625 e il 638) menziona una messa in ricordo del martirio dell’apostolo prediletto («pridie nonas maias – Natale sancti Iohannis ante portam Latinam») e da allora la festa “romana” dell’apostolo è collocata tradizionalmente il 6 maggio. Anche gli Acta Iohannis (V-VI secolo) nel far menzione dell’episodio sottolineano il legame stretto tra i due apostoli: «Come Giovanni e Pietro erano stati compagni nei prodigi e nelle meraviglie, così dovevano avere a Roma un ricordo del loro trionfo. La porta Vaticana è ritenuta segno di trionfo ed è insigne per la croce di Pietro, così anche la porta Latina è insigne e memorabile per la caldaia di Giovanni».
E forse non fu un mero atto amministrativo quello con cui papa Lucio II, nel 1144, volle materialmente unire la proprietà della chiesa di San Giovanni a porta Latina alla patriarcale Basilica lateranense, che a quel tempo era ancora la dimora romana dei papi.
Scrive Agostino nei suoi Trattati su Giovanni: «La Chiesa conosce due vite che le sono state divinamente predicate ed affidate: una è nella fede, l’altra nel vedere; una nel tempo del pellegrinaggio, l’altra nell’eternità della dimora; una nella fatica, l’altra nel riposo; una lungo la via, l’altra nella patria, una nell’attività, l’altra nel premio della visione. La prima vita è stata rappresentata dall’apostolo Pietro, la seconda da Giovanni. [...] Tuttavia nessuno osi dissociare questi due grandi apostoli. Tutti e due facevano ciò che significava Pietro. Tutti e due avrebbero conseguito quanto significava Giovanni. Pietro seguiva, Giovanni restava in attesa. Sul piano della fede vissuta, tutti e due sopportavano le sofferenze presenti di questo misero mondo, tutti e due attendevano i beni futuri della beatitudine eterna. [...] Pietro, primo degli apostoli, ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli. Con esse lega e scioglie i peccati di tutti i santi, congiunti inseparabilmente al corpo di Cristo, ed indica ai fedeli la giusta rotta da seguire in questa vita agitata da tutte le tempeste. Giovanni, l’evangelista, posò il capo sul petto di Cristo. Il gesto fa pensare al riposo dei santi, al riposo, che troveranno in quel seno pienamente riparato dai flutti e nascosto, che è la vita beata» (Tract. in Io. 124, 5, 7).


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