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LIBRI
tratto dal n. 05 - 1998

Le bastonate di Francesco


Il vescovo di Civitavecchia ha scritto una monografia di Francesco di Paola. Il santo che agli ecclesiastici di oggi sembra dire: «Due cose difendete sempre: la povertà e la libertà della Chiesa»


di Girolamo Grillo


Francesco era un ragazzo di appena tredici anni quando scelse la vita eremitica in mezzo ai boschi. Era nato a Paola, non lontano da Cosenza, il 27 marzo 1416, da genitori poveri e cristiani. Di ritorno da un pellegrinaggio a Roma e Assisi, compiuto insieme ai genitori, avverte la vocazione alla preghiera, alla solitudine e al silenzio. In tale condizione stette dunque dai 13 ai 18 anni, temprandosi. Della sosta romana nel 1429 rimane celebre l’episodio di quando, camminando per le vie di Roma, incrocia il lussuoso corteo del cardinale Giuliano Cesarini. Senza esitare affatto, lo apostrofa: «Gli apostoli di Gesù Cristo non andavano per via con tanta pompa». Raccontano le più antiche biografie di san Francesco di Paola che «il cardinale, ben valutando l’ardire di Francesco, rispose dolcemente: “Caro figliolo, non ti scandalizzare di questo lusso. Se ne facessimo a meno, ai nostri tempi, la dignità ecclesiastica ne scapiterebbe nella stima degli uomini, e verrebbe disprezzata dai secolari”».
Tornato in Calabria, Francesco si ritira fra i boschi in penitenza. Exempla trahunt: presto molti altri giovani, la maggior parte di umili e “rustiche” origini, andarono a cercarlo. Si formò così un primo nucleo di ragazzi che vivevano in povertà, in disparte dal mondo, nella privazione accettata per amore del Signore. Essi cominciano a stare insieme, senza porsi alcun problema normativo e di precettistica scritta. Francesco, infatti, non è un maestro, ma un testimone di Cristo. Quei ragazzi desiderano vivere come lui, né più e né meno come i primi compagni di Francesco d’Assisi. Nacque così il primo gruppo di quello che sarebbe stato il futuro Ordine dei minimi. Minimi, cioè piccolissimi, più piccoli ancora dei frati minori di Assisi.
Ma la minimalità di Francesco non è affatto minimalismo: allora come oggi, la sua preferenza per i poveri è un segno di carità per la Chiesa e un’opzione di libertà nei confronti di qualsiasi manifestazione di potere, anche (soprattutto) di potere clericale. I poveri sono per lui gli incolti, gli analfabeti, coloro che sono senza difese. Per aiutarli a portare il peso della loro sofferenza materiale e morale, compirà grandi prodigi. Così, per gli operai che lavoravano alla costruzione del suo convento e avevano sete ed erano affaticati, con il suo bastone toccò una roccia lì vicino, e ne sgorgò immediatamente una sorgente. Quegli stessi operai non avevano a disposizione né muli né carri per trainare le pesanti pietre necessarie per il cantiere. Eppure, miracolosamente, le portarono tutte sulle spalle senza sentire alcuna fatica. E non solo: Francesco non esiterà a farsi, anch’egli umile e incolto, avvocato dei poveri presso le corti dei baroni e dei principi dell’epoca.
Quando si diffuse la sua fama di santità e di miracoli, furono molti i sovrani a chiamarlo presso di loro. Ma egli vi andrà sempre per difendere i diseredati. Una volta rifiutò le monete d’oro offertegli da re Ferrante d’Aragona, le spezzò e ne uscì del sangue. Spiegò allora all’esterrefatto sovrano: «Sire, questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio». E quando Francesco fu chiamato tramite il pontefice Sisto IV alla corte del re di Francia Luigi XI, che era gravemente ammalato, si rifiutò di impetrarne la guarigione. Ne ottenne però ugualmente la conversione.
Per Francesco la Chiesa deve farsi imitatrice dei poveri. Fustigatore dei prìncipi del mondo e dei prìncipi della Chiesa, Francesco sembra dire anche agli ecclesiastici: «Due cose difendete sempre: la povertà della Chiesa e la libertà della Chiesa».
Francesco è stato accusato da alcuni di essere un santo troppo impegnato nel “sociale”, da altri di avere un carattere troppo mistico. Invece, sia il gusto del silenzio che la passione per gli umili nascono per lui, in un’epoca ferita dalle contestazioni e dalle eresie, dal sentirsi pienamente figlio della Chiesa. Questa è la “mamma” malata che Francesco conforta e aiuta a guarire, per la quale nutre grande amore e grande tenerezza. Essa sta per entrare nel terzo millennio della sua vita, ma continuerà ancora a non invecchiare. «È chiamata» infatti «ad avere sempre il volto giovanile dell’ultimo arrivato e vivrà sempre fino a quando ancora un uomo liberamente dirà il suo sì a Cristo».
Nel libro, al nerboruto profeta delle Calabrie ho chiesto di avvicinarsi ai nostri giorni e vibrare, in maniera possente, il suo nodoso bastone. A tal fine gli ho prestato la mente e il cuore, che rimangono sempre quelli di un calabrese, il quale, come quasi tutti i suoi conterranei, non ha mai avuto peli sulla lingua nel leggere con coraggio la vasta problematica odierna, sia in campo ecclesiale che in tanti aspetti del grigiore laicale.


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