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ANTONIO ROSMINI BEATO
tratto dal n. 09 - 2007

Storia di una causa tormentata


Il postulatore della causa di beatificazione ripercorre le tappe che hanno portato Rosmini agli altari


di Claudio Massimiliano Papa


Veduta dell’abbazia benedettina Sacra di San Michele, in Val di Susa, che fu affidata ai rosminiani nel 1836

Veduta dell’abbazia benedettina Sacra di San Michele, in Val di Susa, che fu affidata ai rosminiani nel 1836

La fama di uomo di Dio, che circondava sin dagli anni della giovinezza Antonio Rosmini, dopo la morte viene rinforzata da alcune grazie ottenute per sua intercessione. Padre Francesco Paoli, suo primo biografo, vede in esse e nella crescente devozione verso di lui l’opportunità di introdurne la causa di beatificazione sin da subito dopo la morte; consulta varie persone ma subito trova chi frena l’iniziativa. A favore di un avvio della causa di beatificazione sono, invece, i cardinali Hohenlohe e Bartolini, come pure i vescovi piemontesi di Casale e di Torino.
In particolare l’arcivescovo di Torino, Lorenzo Gastaldi, non solo approva l’iniziativa, ma offre consigli e sostegno. Scrivendo al padre generale Luigi Lanzoni, lo sollecita dicendo: «Dovrebbe sine mora presentare la sua domanda alla curia di Novara acciò si dia principio al processo…».
E lo stesso presule incalza i padri rosminiani, indirizzando al vescovo di Novara una lettera, in cui si dice certo che egli accoglierà «la domanda giustissima di questi ottimi Padri, alla preghiera dei quali aggiungo la mia» e, dettosi disposto a dare alla causa tutto l’aiuto possibile, conclude: «Trattandosi di cooperare alla gloria di uno dei personaggi che abbiano maggiormente illuminato la Chiesa e il clero in questo secolo».
Il 22 aprile 1882 il padre Paoli chiede al vescovo di Trento il permesso di raccogliere nella sua diocesi testimonianze extragiudiziali circa le virtù del servo di Dio, con l’intenzione di aprire il processo informativo. La raccolta fu avviata, ma il processo non fu aperto: al padre Lanzoni non parve prudente iniziare «la gran causa di beatificazione» in quel momento, avendo saputo che il Sant’Uffizio esaminava le opere di Rosmini.
Proprio in base a questa notizia, fin dall’inizio del 1882, padre Lanzoni aveva rivolto a papa Leone XIII la seguente richiesta: «… In via di grazia mi vengano comunicate (se mai le private notizie son vere) per quel mezzo che V. S. trovasse più conveniente, le proposizioni che mai fossero in dette opere incriminate, affine di chiarire le oscurità, ovvero sciogliere le obiezioni che sembrassero forse offendere la sana dottrina della Chiesa e della Sede apostolica». Nei due anni successivi il Paoli continua il suo indefesso lavoro, scrivendo la seconda parte Della vita di Antonio Rosmini-Serbati, col titolo Delle sue virtù.
In essa, oltre a dimostrare col supporto dei fatti le virtù eroiche da lui praticate, vi aggiunge circa trecento testimonianze sulle virtù e santità di lui, rilasciate da persone del mondo ecclesiastico e laico che lo conobbero. Sebbene il materiale probante la santità di vita fosse divenuto notevole, i superiori dell’Istituto religioso pensarono essere meglio soprassedere alla richiesta di inizio del processo di beatificazione anche a seguito della Post obitum del 1887 che vedeva in quaranta proposizioni estratte dalle opere di Rosmini possibili errori dottrinali. L’eventuale richiesta di apertura del processo di beatificazione viene quindi temporaneamente accantonata e per quarant’anni non se ne parla.
Sarà nel 1928 che il padre generale Balsari riterrà propizio provare a iniziare la causa di beatificazione di Antonio Rosmini. A parte le guarigioni miracolose manifestatesi proprio in quell’anno, che sono il movente principale, ritenute prove soprannaturali della santità di vita, in quell’anno ricorreva anche il primo centenario di fondazione dell’Istituto della Carità e impegnarsi per Rosmini significava anche procurare ossigeno alla vita stentata di un “Istituto” fino ad allora umiliato perché fondato da un uomo non ancora capito. C’era poi la necessità di non perdere le poche testimonianze de visu ancora esistenti e di assicurare quelle de auditu.
Lo incoraggiano al passo non solo le parole del Papa, ma anche il parere del cardinale Gamba, arcivescovo di Torino, e di monsignor Mariani, segretario della Sacra Congregazione dei Riti. La richiesta ai vescovi di Novara e Trento ha esito favorevole. Dalla Sacra Congregazione dei Riti il 13 gennaio ottiene senza difficoltà il mandato di procura per il padre Giuseppe Sannicolò e per due vicepostulatori, col nihil obstat emesso dalla Cancelleria della stessa Congregazione e firmato dal sostituto monsignor Di Fava. In base ai canoni 2038 e 2939, allora vigenti, i vescovi potevano, iure proprio, istituire il processo informativo sulla fama di santità e il processo de non cultu. Mentre il vescovo di Trento ne tiene conto, istituisce il Tribunale e celebra la prima sessione, quello di Novara il 6 gennaio 1928 scrive una lettera al segretario di Stato, cardinale Gasparri, per chiedere informazioni. Non essendo di sua competenza, monsignor Gasparri consegna la lettera al procuratore generale della fede, monsignor Salotti. Fatte le sue considerazioni sul caso Rosmini, questi risponde al vescovo di Novara, sconsigliando l’introduzione della causa di beatificazione per non «suscitare antiche polemiche, accendere discussioni tutt’altro che opportune e utili, e ridestare nel clero e nel laicato quelle divisioni che la carità e la prudenza consigliano di evitare».
Il 5 febbraio seguente padre Balsari, forte di queste testimonianze, scrive al Papa una lunga lettera, in parte informativa e in parte di supplica, per chiedere l’apertura del processo nella diocesi di Novara e la prosecuzione in quella di Trento, dove è già iniziato. Ma non vi è seguito e tutto si arresta.
Seguentemente vari altri tentativi furono fatti per introdurre la causa. Nella storia dell’Istituto della Carità, a eccezione di Lanzoni, che è il padre generale dell’obbedienza umile e silenziosa al Post obitum, tutti gli altri non hanno mai desistito dal fare tentativi per introdurre la causa di beatificazione del loro fondatore.
Una foto d’epoca di villa Bolongaro, a Stresa, dove Rosmini si ritirò dal 1850 al 1855, anno della sua morte

Una foto d’epoca di villa Bolongaro, a Stresa, dove Rosmini si ritirò dal 1850 al 1855, anno della sua morte

Dopo padre Balsari, un esito analogo a quello del 1928 avrà la petizione inoltrata dal padre generale Giuseppe Bozzetti, sotto il pontificato di papa Pio XII. Anche in questa circostanza tutto era pronto per l’apertura del processo informativo nella diocesi di Novara, e già nominato come postulatore padre John Hichey. Ma il 4 luglio 1947 il padre provinciale riceve una lettera proveniente da Novara: è di monsignor Giovanni Cavigioli, il quale «con l’animo profondamente costernato» comunica la risposta negativa della Sacra Congregazione dei Riti. Ne è estensore lo stesso cardinal Salotti, che in veste di prefetto della Congregazione ribadisce il “no” con le stesse motivazioni date nel ’28.
Al tempo di papa Giovanni XXIII, l’allora generale, padre Giovanni Gaddo, a partire dal 1962 inizia a raccogliere una serie di informazioni per verificare l’opportunità di un nuovo tentativo. I contatti con il cardinale Larraona, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, con monsignor Antonelli, promotore della Fede, col cardinale Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio, hanno tutti esito positivo. Particolarmente benevolo si mostra il cardinale Larraona, nelle cui mani viene affidata la causa (non avendo l’Istituto, per esplicita volontà del fondatore, un cardinale protettore).
Anche il Papa, nella sua prudenza e sollecitudine, si interessa alla causa di Rosmini col confessato proposito di volervi provvedere non appena ultimato il Concilio e vuole che quella di Rosmini sia una causa storica e non dottrinale. Il nuovo clima incoraggia a muoversi e in data 17 settembre ’62 parte la richiesta per avere il nulla osta dalla Sacra Congregazione dei Riti, ma la ridestata speranza di essere quasi vicino all’obiettivo viene nuovamente stroncata dalla morte del Papa nel giugno del 1963.
di Rosmini. In un incontro col cardinale Ottaviani, Segretario della Congregazione del Sant’Uffizio, il padre generale si sente dire: «Incomincino pure subito. Preparino tutte le obiezioni e uniscano già delle risposte, in modo che quando il processo giungerà a noi, tutto sia preparato per una buona soluzione. Bisogna cercare gente molto capace».
A metà dicembre ’65 parte la Supplica, consegnata tramite monsignor Angelo Dell’Acqua, per ottenere il consenso del Papa all’apertura del processo. Verso novembre del ’66 il rosminiano padre Bolla, procuratore dell’Istituto della Carità, ricorda al cardinale Larraona che non c’è ancora alcuna risposta, mentre il padre generale, nell’incontrare monsignor Angelo Dell’Acqua, latore della petizione, lo interroga sul ritardo e ne ottiene in risposta che «sono cose su cui bisogna pensarci bene», e il suggerimento di chiedere udienza al Santo Padre. Di lì a poco, però, gli fa capire che è meglio rinunciarvi. Le nuove speranze, alimentate dalle voci favorevoli, si spengono come le precedenti, e le ragioni di tale silenzio rimangono vaghe.
Nell’Archivio generalizio rosminiano esistono documenti, circa i primi mesi del 1971, comprovanti l’intenzione di rimettere in moto la causa di beatificazione di Rosmini. Del 19 maggio è, infatti, una Relazione sul problema delle “quaranta proposizioni”, presentata a monsignor Giuseppe Del Ton, segretario delle Lettere latine (Segreteria di Stato), e del giorno dopo una lettera dello stesso monsignor Del Ton con allegato Promemoria, inviata al cardinale Franjo Seper, prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, in cui chiede il nihil obstat. Sempre del 20 maggio è una Petizione al Papa da parte del padre generale. Del 9 giugno è la risposta del cardinale Seper a monsignor Del Ton, per informarlo che «questo Dicastero non rilascia in fase preventiva nihil obstat del genere; pertanto questa Sacra Congregazione si riserva di trattare con la massima imparzialità la questione dell’eventuale beatificazione in parola non appena perverrà una richiesta ufficiale da parte della Sacra Congregazione per le Cause dei santi».
A fine estate ’71 riprendono i contatti informali per un nuovo tentativo. Al padre rosminiano Clemente Riva, monsignor Del Ton e il cardinale Nasalli Rocca di Corneliano ribadiscono che l’ambiente vaticano è favorevole, Papa compreso. Da monsignor Frutaz, sottosegretario alla Congregazione delle Cause dei santi, lo stesso padre riceve indicazioni precise sulla strada da seguire. Occorrono: la Supplica al Papa da parte del padre generale a nome dell’Istituto, di amici e studiosi di Rosmini, mettendo in risalto la figura e l’utilità attuale della vita santa e del pensiero rosminiano, il Profilo della vita e delle virtù, l’accenno esplicito alle “quaranta proposizioni”, il nihil obstat e un ponente (un cardinale o lo stesso superiore generale) che presenti al Papa la petizione con tutto il materiale.
Il 24 maggio 1972 viene consegnata una Supplica al Santo Padre, tramite monsignor Pasquale Macchi. Firmatari sono padre Francesco Berra, procuratore dell’Istituto, e padre Clemente Riva, vicario del padre generale. A fine maggio monsignor Macchi notifica l’avvenuto recapito della Supplica con documentazione annessa. A tal fine la Congregazione per la Dottrina della fede si rivolge allo stimmatino padre Cornelio Fabro (18 novembre ’72) e al rosminiano Clemente Riva (7 dicembre ’73), per avere un loro parere sulla questione rosminiana.
Il vescovo di Novara Renato Corti (secondo da sinistra) e il postulatore della causa di beatificazione padre Claudio Massimiliano Papa (secondo da destra), durante la conferenza stampa di presentazione della cerimonia di beatificazione di Rosmini

Il vescovo di Novara Renato Corti (secondo da sinistra) e il postulatore della causa di beatificazione padre Claudio Massimiliano Papa (secondo da destra), durante la conferenza stampa di presentazione della cerimonia di beatificazione di Rosmini

Per la complessità dell’argomento, nell’aprile del ’74, viene costituita una commissione presso la Congregazione per la Dottrina della fede, al fine di studiare la questione rosminiana e presentare le conclusioni ai membri del dicastero. Di questa commissione sono membri sia Fabro che Riva. Il lavoro si protrae fino a metà ’76 e viene presentato alla plenaria del dicastero; molti sembrano favorevoli all’abolizione del Post obitum, altri contrari. Il padre rosminiano Clemente Riva lascerà la commissione in quanto eletto vescovo ausiliare di Roma pochi mesi prima della conclusione dei lavori.
La Congregazione per la Dottrina della fede, esaminata la vicenda, non ne riporta un giudizio negativo ma, come riferisce a monsignor Riva monsignor Hamer, segretario della Congregazione, decide il non expedit nunc a motivo della disparità di giudizio dei consultori. Invita, poi, gli studiosi ad approfondire meglio Rosmini, al fine di trovare un’interpretazione tale che consenta di togliere la censura.
Vi è in questa risposta un problema serio: può essere e rimanere condannato un autore quando la stessa “suprema autorità” dubita che il medesimo autore possa aver ragione? E che ci possa essere un’interpretazione a lui favorevole? Questi dubbi assilleranno gli studiosi e cultori di Rosmini.
Sulla base di nuove ricerche, il padre generale Giovanni Zantedeschi in data 5 giugno 1990 invia alla Sacra Congregazione per la Dottrina della fede la documentazione relativa ai «nuovi elementi di valutazione atti a precisare l’esatta posizione di Antonio Rosmini in rapporto alle “quaranta proposizioni” condannate nel decreto Post obitum».
Nel successivo mese di agosto viene nominato padre Remo Bessero Belti quale esperto dell’Istituto, in vista dell’istituzione di una commissione di studio, che avrà il compito di riesaminare la questione rosminiana.
La procedura seguita dalla Sacra Congregazione è la seguente: in un primo tempo vengono fatte conoscere all’esperto rosminiano le difficoltà e le riserve sollevate a proposito del pensiero di Rosmini in occasione del precedente esame compiuto nel 1976; segue la sua risposta scritta a tali difficoltà e interrogativi; infine la convocazione della Commissione di studio, di cui padre Bessero Belti è membro, con l’incarico di discutere ed esprimere un parere in merito.
Il risultato dell’esame dà esito positivo e permette di stilare la Declaratio del 19 febbraio 1994 con il non obstare che «si possa iniziare la causa di beatificazione del servo di Dio Antonio Rosmini, sacerdote fondatore dell’Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza». Il documento pone in calce che la «Congregazione per la Dottrina della fede dovrà essere interpellata di nuovo circa il giudizio dottrinale definitivo in proposito».
Il successivo 28 febbraio il superiore generale ne dà comunicazione a monsignor Renato Corti, vescovo di Novara, nella cui diocesi si inizierà il processo informativo. Il vescovo procede alla nomina dei tre teologi e della Commissione storica per la diocesi di Novara, dove Rosmini è vissuto e morto, e suggerisce una identica Commissione anche per la diocesi di Trento, dove Rosmini è nato e cresciuto. Il 10 marzo ’94 il decreto di non obstare viene notificato a tutti vescovi della Conferenza episcopale piemontese.
Il 1° luglio 1997 si costituisce il Tribunale diocesano per il processo informativo sulla fama di santità del servo di Dio Antonio Rosmini e io, religioso rosminiano, vengo nominato nuovo postulatore generale dell’Istituto della Carità e delle Suore della Provvidenza. Vicepostulatore è suor Carla Cattoretti, religiosa delle Suore della Provvidenza, che lascerà l’incarico nell’anno 2001 in quanto eletta superiora generale. Il 20 febbraio ’98 si conclude il processo diocesano e viene consegnato il Transunto alla Congregazione delle Cause dei santi. Nel marzo 1999 viene nominato relatore padre Ambrogio Eszer op, che subito mi convoca, dandomi indicazioni precise su come condurre lo studio per comporre la Positio.
Nell’Istruzione rilasciata da padre Eszer viene indicato che tra i capitoli della bibliografia documentaria dovranno trovarsi, alla stregua di documento, le “quaranta proposizioni” condannate dal Sant’Uffizio nel 1887, con un’introduzione che provi che le dottrine condannate non sono del servo di Dio. Tale capitolo sarà separatamente presentato alla Congregazione per la Dottrina della fede, secondo quanto stabilito dall’eccellentissimo arcivescovo Alberto Bovone, segretario della Congregazione per la Dottrina della fede, nella lettera del 19 gennaio 1994 inviata a sua eccellenza reverendissima monsignor Giovanni Battista Re, sostituto della Segreteria di Stato.
A tal fine il 2 dicembre 1999 consegno al relatore il capitolo della Positio che prende in esame le vicende storiche e le conclusioni teologiche che portarono al Post obitum. Il lavoro, da me interamente curato, tende a dimostrare che «il senso delle “proposizioni” condannate non appartiene in realtà all’autentica posizione dell’autore».
1° luglio 2001, L’Osservatore Romano pubblica la Nota della Congregazione per la Dottrina della fede sul «valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del reverendo sacerdote Antonio Rosmini Serbati». La nota porta la firma dell’allora prefetto della Congregazione Joseph Ratzinger
Il 1° luglio 2001, nel centoquarantaseiesimo anniversario della morte del servo di Dio Antonio Rosmini, L’Osservatore Romano pubblica la Nota della Congregazione per la Dottrina della fede sul «valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del reverendo sacerdote Antonio Rosmini Serbati». Nella Nota, dopo un’indagine storica e un’attenta contestualizzazione, si dichiara: «Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del decreto Post obitum di condanna delle “quaranta proposizioni” tratte delle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere». Il documento porta la firma dell’allora prefetto della Congregazione, cardinale Joseph Ratzinger. Successivamente il santo padre Benedetto XVI autorizza la Congregazione delle Cause dei santi, guidata dal prefetto, il cardinale José Saraiva Martins, a promulgare in data 26 giugno 2006 il decreto di esercizio eroico delle virtù testimoniate da Antonio Rosmini, e un anno dopo, in data 1° giugno 2007, il decreto sul miracolo avvenuto per intercessione del venerabile Antonio Rosmini.
Oggi finalmente, a seguito di tutto il lavoro svolto, prima dalla diocesi di Novara, di cui ringrazio il vescovo monsignor Renato Corti e la sua curia diocesana, e poi dalla Congregazione per le Cause dei santi, cui esprimo sempre gratitudine, incominciando dal già citato prefetto unitamente all’attuale segretario monsignor Michele Di Ruberto, e a tutti coloro che hanno lavorato per portare a termine questa difficile causa, possiamo offrire al santo padre Benedetto XVI la documentazione necessaria per promulgare il decreto di beatificazione, di cui verrà data lettura il prossimo 18 novembre nella diocesi di Novara, come previsto dalle nuove procedure per i riti della beatificazione.


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