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DIPLOMAZIA
tratto dal n. 04 - 1998

Le parole di Jean-Louis Tauran, segretario per i rapporti con gli Stati

Quante chance ha la politica del Vaticano


I rapporti tra Roma e la Cina, la situazione a Cuba, le prospettive di pace in Medio Oriente. Il “ministro degli Esteri” del Papa, durante la presentazione di un libro, a sorpresa ha affrontato tre scenari. Ecco le sue dichiarazioni


di Gianni Cardinale


Doveva essere una tranquilla conferenza stampa di presentazione di un ponderoso volume che documenta l’attività della Santa Sede nelle grandi conferenze promosse dall’Onu. Si è risolta invece in una esposizione da parte del responsabile della diplomazia vaticana di alcune prese di posizione riguardo alcuni punti tra i più caldi dell’attualità politica internazionale. L’arcivescovo francese Jean-Louis Tauran, “ministro degli Esteri” del Papa, ha approfittato della presentazione del volume Serving the human family. The Holy See at the Major United Nations Conferences per fare importanti dichiarazioni sui rapporti tra Vaticano e Cina, sulla situazione a Cuba, sulle prospettive di pace in Medio Oriente e su un possibile viaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa. Alla conferenza stampa, che si è svolta il 16 aprile nella sala stampa vaticana, erano presenti, oltre a Tauran, l’arcivescovo Renato Raffaele Martino, osservatore permanente presso l’Onu, l’irlandese Diarmuid Martin, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e monsignor Carl J. Marucci, curatore del libro e collaboratore di Martino al Palazzo di vetro. In via eccezionale erano stati invitati anche i membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Hanno partecipato una decina di rappresentanti diplomatici tra cui gli ambasciatori d’Italia, Argentina, Brasile e Costa d’Avorio.
Ma veniamo alle parole di Tauran. Le seguenti dichiarazioni sono state fatte durante la conferenza stampa, tranne l’ultima, sul Medio Oriente, che è stata rilasciata durante una intervista al giornale radio della Rai a margine della stessa conferenza.

«Non abbiamo mai praticato la politica della sedia vuota»
Strategia della Santa Sede nei confronti dell’Onu: «La strategia della Santa Sede è la strategia della verità. Alle Nazioni Unite cerchiamo di difendere l’uomo in tutte le sue dimensioni. Cerchiamo di richiamare incessantemente il rispetto della persona umana, le esigenze del bene comune e la promozione dei valori umani più alti. Ovviamente non pretendiamo che questo nostro messaggio sia recepito al cento per cento. Ciò che è importante è che certi concetti siano offerti in seno alle Nazioni Unite. Qualche volta contribuiamo anche al miglioramento dei testi. All’inizio della Conferenza del Cairo [del 1994, ndr] siamo stati tra i primi a dire: è una conferenza sulla popolazione e lo sviluppo, ma abbiamo 82 pagine sulla popolazione e otto pagine sullo sviluppo, c’è qualcosa che non va bene. Grazie a noi questo testo è migliorato. È molto importante che anche dal punto di vista tecnico possiamo aiutare a perfezionare questi testi. Direi poi che non abbiamo mai praticato la politica della sedia vuota. Abbiamo sempre parlato con tutti e devo anche dire che tutti hanno parlato con noi. Mi ricordo che, terminata la Conferenza del Cairo, ho ricevuto un ambasciatore di un Paese certamente non cattolico che mi ha detto: “Monsignore, noi dovremmo ringraziare la Santa Sede perché voi ci avete fatto riflettere su cose serie e lo avete fatto in modo serio”. Penso che questo sia il più bel complimento che la Santa Sede possa ricevere da un diplomatico».

«In Cina c’è la consapevolezza dell’importanza “Vaticano” come partner nella società internazionale»
Sui rapporti Cina-Vaticano anche alla luce della visita di tre personalità religiose inviate dal presidente degli Usa (cfr., in questo stesso numero di 30Giorni, le pagine 36-38): «Una premessa: i cinesi hanno un’altra concezione del tempo e quindi non hanno mai fretta. La cosa positiva di questa visita è che certe cose sono state dette e che la delegazione ha potuto incontrare personalità varie. Penso che in Cina oggi ci sia la consapevolezza dell’importanza “Vaticano” (non si fa mai riferimento alla Santa Sede) come partner nella società internazionale. Questa è una cosa positiva. Per quanto riguarda l’argomento religioso direi che la normalizzazione dei rapporti con la Santa Sede non è ancora una priorità. E penso che la Santa Sede debba essere consapevole di questo. Detto questo noi cerchiamo di mantenere sempre le porte aperte. Ovviamente per il momento non possiamo parlare di iniziative concrete, non possiamo parlare nemmeno di segnali di apertura... se non di terze parti che fanno da spola fra le due parti... Però non abbiamo potuto vedere ancora sul tavolo delle proposte concrete. E questa visita dei tre leader religiosi non ha portato risultati concreti».

«Quando abbiamo difeso la famiglia o il diritto alla vita molti musulmani hanno condiviso la nostra azione»
Sull’alleanza privilegiata con Paesi musulmani durante le conferenze Onu: «Non si può parlare di una Santa Alleanza con i Paesi musulmani. La Santa Sede difendendo dei principi morali universali non può che riscontrare il consenso di altre religioni. Ad esempio, quando diciamo che due uomini che vivono insieme non sono una famiglia, non c’è bisogno di essere né cattolico né musulmano né buddista per vedere che non è la stessa cosa... basta essere dotato di ciò che gli inglesi chiamano common sense. È evidente che su alcuni valori fondamentali ci ritroviamo uniti. Non c’è dubbio, però, che quando abbiamo difeso la famiglia, per esempio, o il diritto alla vita, molti musulmani hanno condiviso la nostra azione. C’è stata questa convergenza, e io che ho il privilegio di viaggiare abbastanza spesso nei Paesi arabi, constato che molti ministri degli Esteri ricordano questa collaborazione molto fruttuosa, molto positiva. È una alleanza di fatto perché condividiamo valori universali».

«Mai come oggi la voce della Santa Sede è richiesta»
Sui rischi di isolamento della Santa Sede nella comunità internazionale: «Anche se il nostro messaggio non viene accettato non è che gli altri partner dicono: non la pensate come noi quindi rimanete a casa. Al contrario, ho l’impressione che mai come oggi la voce della Santa Sede sia richiesta. Ne è segno che abbiamo relazioni diplomatiche con 167 Paesi e lo scorso anno la Santa Sede ha potuto inviare un osservatore permanente presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Il nostro contributo è piuttosto apprezzato e non ho mai sentito una cancelleria che abbia sollevato neanche per ipotesi la questione dell’esclusione della Santa Sede. Anche perché sarebbe molto difficile escludere una persona giuridica internazionale e sovrana dalla comunità delle nazioni. Qualche gruppo molto ideologizzato può aver formulato questa ipotesi, ma si tratta di un’ipotesi del tutto teorica».

Cuba. «Personalmente sono piuttosto soddisfatto»
r proseguire sul cammino che il Santo Padre ha tracciato durante la sua visita. E speriamo che la cosa maturi e vada a buon porto».

Il Papa a Gerusalemme? «Per il momento le condizioni non ci sono. Fra due anni, vedremo»
Sulla situazione in Medio Oriente e la possibilità di una visita del Papa a Gerusalemme: «Il Papa e i suoi collaboratori seguono con molta preoccupazione l’evoluzione della situazione politica del Medio Oriente. Io, personalmente, ho paura che andremo verso sviluppi drammatici. C’è molta frustrazione tra le popolazioni, sia palestinese che israeliana, che si chiedono: ma questo processo di pace iniziato a Madrid che frutti ha portato? Nessuno, è la risposta. C’è il pericolo che la frustrazione porti a reazioni irrazionali. Penso che i responsabili politici della regione, di qualsiasi parte essi siano, e della comunità internazionale, debbano essere consapevoli dei rischi che tale frustrazione così profonda comporta. Il grande dilemma del Santo Padre è che, se va in pellegrinaggio in Terra Santa, ciò deve essere simbolo di pace e di incontro tra i popoli. È possibile che questo avvenga nel contesto di oggi? Direi di no. Perché considerando la situazione, sarebbe certamente il contrario: il Papa verrebbe a sancire, a consacrare, situazioni di ingiustizia internazionali. Perciò, per il momento le condizioni non ci sono. Fra due anni, vedremo cosa accadrà».


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