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CINA
tratto dal n. 04 - 1998

CHIESA. Parla il vescovo cinese invitato dal Papa al Sinodo per l’Asia

La piccola, grande storia di Duan


Pio XII lo ha nominato vescovo, Giovanni Paolo II lo ha convocato a Roma, ma il governo non ha autorizzato il viaggio. Il vescovo di Wanxian racconta la sua vicenda. E fa l’elogio della pazienza


Intervista con Mattia Duan Yinming di Gianni Valente


Tra i milioni di cinesi che hanno avuto la vita cambiata dalla grande diga del Sichuan, costruita per deviare il corso del Fiume Azzurro e fornire all’ultimo “impero rosso” energia idroelettrica, c’è anche un vecchietto di novant’anni, con le mani callose e gli occhi furbi. In questi tempi ha due pensieri dominanti: dove trovare i soldi per ricostruire le sei parrocchie dei villaggi che rimarranno presto sotto il livello dell’acqua dell’immenso bacino idroelettrico che si sta formando. E come far sapere al Papa e ai cardinali, che lo avevano convocato a Roma, la tristezza di non poter essere presente all’appuntamento.
Mattia Duan Yinming, vescovo cattolico di Wanxian, è stato il grande atteso del Sinodo dei vescovi per l’Asia in corso in Vaticano. Da quando il Papa, con un gesto a sorpresa, durante la cerimonia d’apertura del Sinodo asiatico ha annunciato di aver invitato tra i padri sinodali anche lui e il suo coadiutore, monsignor Giuseppe Xu Zhixuan, in molti hanno pensato che la diplomazia vaticana avesse imboccato una pista buona per iniziare il disgelo col governo di Pechino. L’anziano Mattia è l’ultimo vescovo cinese nominato da Pio XII prima della rottura tra la patria di Mao e il Vaticano. Ha sempre proclamato la sua fedeltà al successore di Pietro. Ma allo stesso tempo, fin dalla fine degli anni Cinquanta è stato riconosciuto come vescovo anche dalle autorità civili e dagli organismi “patriottici” governativi che controllano la Chiesa cinese.
Probabilmente, anche questa nuova avance vaticana all’ex Celeste impero cadrà nel vuoto. Salvo tardivi ripensamenti sempre possibili da parte dei gerarchi cinesi, al momento in cui si scrive le possibilità di un pellegrinaggio del vescovo cinese sulla tomba di Pietro e Paolo sembrano nulle. Lo stesso Mattia, raggiunto telefonicamente, ha raccontato a 30Giorni i particolari del viaggio mancato: «Ho tradotto il telegramma con l’invito, mandatomi dal cardinal Sodano, e l’ho inviato al governo. Ma mi è stato risposto che non è possibile che io vada a Roma, per due ragioni. Primo, perché non ci sono relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano. Secondo, perché prima dell’invito il Vaticano non ha consultato né avvisato il Consiglio dei vescovi di Cina [l’organismo dei vescovi cinesi riconosciuto dal regime, ma non da Roma, formato in gran parte da vescovi consacrati senza l’approvazione del Papa, ndr]. Sono venuti cinque notabili della città a comunicarmi la decisione del governo, e mi consolavano dicendomi di non esser triste. Occorre pazienza, la pazienza che serve sempre, per vivere».
Mattia Duan conosce bene questo tipo di pazienza. Durante la sua vita, tante volte ha passato momenti in cui non poteva far altro che aspettare e pregare chiedendo di essere conservato nella fede. Racconta a 30Giorni alcuni accenni di quella che definisce la sua «piccola storia»: «Per sette anni, durante la Rivoluzione culturale, non potevo far altro che lavorare per avere qualcosa da mangiare. Non potevo dire la messa, la chiesa era stata occupata da una scuola. Per vivere trasportavo carbone e mattoni lungo il Fiume Azzurro. Per un anno ho dormito per terra. Poi, finalmente, si trovò un letto, ma dovevo dormirci con altri due uomini. In tutto questo, abbiamo conservato la fede. È il Signore che ce l’ha conservata, altrimenti come avremmo fatto, da soli? Anche gli altri preti della zona lavoravano tutto il giorno, senza potere celebrare messa e sacramenti. Eppure, in maniera silenziosa, le persone continuavano a guardarci. Una volta mi portarono davanti le statue della Madonna e di san Giuseppe, ordinandomi di calpestarle. Io piangendo risposi che non l’avrei fatto, neanche se mi ammazzavano. Quell’episodio mi fece diventare un personaggio, ne parlavano tutti».
Oggi, la fede del vecchio Duan è alimentata da altri fatti mirabili. «Adesso nella mia regione c’è un gran numero di persone che diventano cristiane. Ci sono nella zona più di diecimila cattolici, e aumentano sempre. A Pasqua abbiamo celebrato quasi ottocento battesimi di adulti. È gente semplice, senza cultura, tanti non sanno leggere. I sacerdoti sono pochi, e non si riesce nemmeno ad assicurare a tutti i fedeli gli uffici sacramentali essenziali, non c’è proprio il tempo di fare altro».
Sui rapporti tra Vaticano e Pechino, Duan spera che anche i funzionari e i diplomatici vaticani abbiano il dono della pazienza che ha sostenuto la fede di tanti cristiani cinesi in tempi difficili: «Il Vaticano deve aver pazienza, visto che la Cina è molto dura, pone condizioni difficili da adempiere. Ma a Roma devono stare certi che per tutti i cristiani di Cina l’unità col successore di Pietro è dottrina di fede. Preghiamo per lui ogni giorno. Sono pochi quelli che per obbedire con eccesso di zelo al governo proclamano che la Chiesa in Cina non deve avere nessun legame con il Papa: qualche funzionario e qualche prete oppresso di Pechino, costretto a crederci per paura o per non perdere il lavoro».


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