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TEMPO DI PASQUA
tratto dal n. 04 - 1998

Il Dio denaro e la morte di Cristo


Il significato della croce in un mondo dove gli stadi hanno preso il posto delle cattedrali


Un articolo di monsignor Luigi Giussani su la Repubblica


Caro direttore, nella mia quotidiana ricerca delle conseguenze estetiche e, quindi, etiche della mia fede in Cristo, l’altro giorno ho ritrovato un verso di Carducci: Cristo «cruciato martire tu cruci gli uomini» (In una chiesa gotica, 1876; in: Odi barbare). Subito mi sono venute queste riflessioni.
La storia di Cristo, per chi la considera reale, non crocifigge gli uomini: e Lui, comunque si sia incontrato, che sale in croce per gli uomini. Perché gli uomini sono tormentati dalla pena del vivere; ma non sanno che questa pena è dovuta a una radice di male che è in loro: il peccato, dice il linguaggio religioso; «peccato!», dice il popolo con riferimento realistico.
Cristo, radice della vita, è ucciso dal male che è fatto nell’uomo dall’uomo. E siccome l’uomo compie tutte le sue azioni libere per poter vivere la propria pretesa «soddisfazione», l’uomo di Carducci chiama Cristo – cioè l’uomo storico che porta il nome di Gesù di Nazareth – «menzogna».



Notizie di tutti i giorni. Si apre alle sei, si comincia a vedere Euronews in tv. In trenta minuti si atterra qualsiasi tranquillità e anche speranza per la vita dell’uomo. Sullo schermo, la notizia di due ragazzi americani che fanno strage in una scuola e di una sparatoria con trenta morti ad un funerale in Georgia... E ancora, qualche mattina fa, le immagini del terremoto nello stadio di Gualdo Tadino coi suoi millecinquecento tifosi; il panico che li assaliva trapassava anche me. Mi rinnovava in modo profondo la pietà per gli uomini e per me stesso.
Ogni giorno nell’Euronews pare che un grido di folla che dia un colpo di reni umano alla vita sia reperibile ormai solo nello sport. Lo sport, con gli stadi al posto delle cattedrali antiche. Il solo luogo affollato, insieme a quegli uffici che esprimono l’unico dio reale della società di oggi: il soldo (noi facciamo lotta continua di fronte al potere: ma il potere sono i soldi, cioè la Borsa di Milano, di New York, di Londra, ecc.).
Eppure tutto il potere in atto, nella sua impotenza, sembra tante volte non offrire neanche un accenno di speranza per il popolo. Così che gli uomini, quando guardano l’orizzonte, e anche il cielo, debbono accusare paura. E anche i più saggi del mondo, coloro che passano per ispiratori della verità dell’uomo e del benessere del popolo, i guru, non sanno che fare. Bobbio deve confessare che tutti gli ideali, compreso il Pci, crollano. Per questo il mondo chiama Cristo l’uomo che mette in croce gli uomini.



Dove trovare ancora il fondamento di una speranza per convogliare gli uomini a rapporti in cui sia possibile una verità di amore? «Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio» (orazione liturgica della settimana santa).
L’unica sorgente di speranza è Cristo in croce: «Per radunare i popoli nel patto dell’amore, distendi le tue braccia sul legno della croce» (Inno del lunedì santo). Unica sorgente di speranza – fino alla possibilità di una letizia inimmaginabile e soprattutto irrealizzabile, in altre forme o in altre sorgenti – è quella che ha costruito la folla del Medioevo, coi suoi livelli di concezione, teorica ed etica – della persona e della società, compreso il potere, che allora non poteva eludere, come ultimo scopo, l’amore e il bene della gente, alla luce di una coscienza del proprio limite, cioè del senso del Mistero.
Questo segna l’esistenza di un popolo nato duemila anni fa. Un popolo che percorre le strade dei disagi di tutti e abita le case come ogni uomo, ma lo fa nella letizia del cuore come risposta a una ineffabile attesa: «Siate lieti sempre, siate lieti», che traduce l’antico detto della Bibbia: «Renderà nota la gloria della mia potenza nella letizia dei loro volti». È l’ebreo Gesù di Nazareth che compie questa promessa, come dice il Vangelo di san Giovanni.



Di fronte a questo non si può sfuggire a un paradosso: chi riconosce Cristo così come afferma tutta la tradizione cristiana, cioè Cristo morto in croce come unica salvezza di tutti gli uomini, non può partecipare alla vita degli altri uomini se non vivendo in una contraddizione: l’incoerenza. In altri termini, non può evitare che lo sguardo degli altri uomini su di lui innanzitutto lo accusi di incoerenza. Per questo in Quaresima la Chiesa mette sulle labbra dei cristiani queste parole: «Contro di te abbiamo peccato, Signore/ chiediamo un perdono che non meritiamo./ La vita nostra sospira nell’angoscia/ ma non si corregge il nostro agire./ Se aspetti, non ci pentiamo,/ se punisci, non resistiamo./ Tendi la mano a noi che siamo caduti,/ tu, che all’assassino pentito apristi il Paradiso». Il Mistero come misericordia resta così l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia.


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