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TEOLOGIA
tratto dal n. 03 - 1998

Se queste cose non accadessero alla carne, la grazia e la misericordia di Dio sarebbero vane



Brani dal De resurrectione carnis di Tertulliano


«Qui [Christus] dilectionem mandat post suam in proximum, facit et ipse quod praecipit: diligit carnem, tot modis sibi proximam, etsi infirmam, sed “virtus in infirmitate perficitur”; etsi inbecillam, sed “medicum non desiderant nisi male habentes”; etsi inhonestam, sed “inhonestioribus maiorem circumdamus honorem”; etsi perditam, sed “ego” inquit “veni, ut quod periit salvum faciam”; etsi peccatricem sed “malo mihi” inquit “salutem peccatoris quam mortem”; etsi damnatam, sed “ego” inquit “percutiam et sanabo”. Quid ea exprobras carni, quae Deum expectant, quae in Deum sperant? Honorantur ab illo quibus subvenit. Ausim dicere: si haec carni non accidissent, benignitas gratia misericordia omnis vis Dei benefica vacuisset» (De resurrectione carnis 9).

«“Sicut portavimus imaginem choici, portemus etiam imaginem supercaelestis” 1 Cor 15, 49. Portavimus enim imaginem choici per collegium transgressionis, per consortium mortis, per exilium paradisi. Nam etsi in carne hic portatur imago Adae, sed non carnem monemur exponere. Si non carnem, ergo conversationem, ut proinde et caelestis imaginem gestemus in nobis, non iam Dei nec iam in caelo constituti, sed secundum liniamenta Christi incedentes in sanctitate et iustitia et veritate. Atque adeo ad disciplinam totum hoc dirigit, ut hic dicat portandam imaginem Christi in ista carne et in isto tempore disciplinae» (De resurrectione carnis 49).



«Colui [Cristo] che comanda l’amore verso il prossimo dopo che a se stesso, fa lui stesso ciò che comanda: in tanti modi ama la carne così prossima a lui. Benché debole, ma “la sua potenza si manifesta pienamente nella debolezza”; benché ammalata, ma “non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati”; benché disonorevole, ma “le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto”; benché perduta, ma “io” dice “sono venuto a salvare ciò che era perduto”; benché peccatrice, ma “voglio piuttosto la salvezza del peccatore che la sua morte”; benché dannata, ma “io” dice “percuoterò e guarirò”. Perché rimproveri alla carne quelle cose che sono in attesa di Dio, che sperano in Lui? Esse sono onorate da colui che le soccorre. Oserei dire: se queste cose non accadessero alla carne, la benignità, la grazia, la misericordia, ogni potere di bene di Dio sarebbe vano».

«“Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (1 Cor 15, 49). Abbiamo portato infatti l’immagine dell’uomo di terra per il sodalizio nella colpa, per il comune destino di morte, per l’esilio dal paradiso. Ma anche se qui si porta l’immagine di Adamo nella carne, non è la carne che siamo invitati ad abbandonare: se dunque non è la carne, è la modalità di vita; e ugualmente, portiamo in noi l’immagine dell’uomo celeste, non ancora di Dio, e non ancora definitivamente in cielo, ma camminando secondo i lineamenti di Cristo, in santità, giustizia e verità. È così vero che egli [san Paolo] riporta tutto alla disciplina, che qui dice che l’immagine di Cristo va portata in questa carne e in questo tempo della disciplina».

[Nelle edizioni critiche più recenti, l’opera di Tertulliano composta tra il 210 e il 212 e conosciuta come De resurrectione carnis ha piuttosto il titolo De resurrectione mortuorum]


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