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GABON
tratto dal n. 02 - 1998

Stato e Chiesa: un esempio di collaborazione

L’Africa in un Accordo


La Santa Sede ha stipulato il suo primo “concordato” nell’Africa nera con un Paese francofono guidato da un presidente musulmano. Sarà un modello per tutto il continente?


di Giovanni Cubeddu


«La Francia intende essere più che mai presente e attiva in Africa, nella fedeltà, nell’apertura e nella modernità». Esattamente queste parole, in una dichiarazione pubblica, ha di recente usato il presidente francese Jacques Chirac. E Jean-Bernard Mérimée, ambasciatore francese a Roma, le ha interpretate “autenticamente” ricordando – in un articolo sulla rivista della Farnesina Affari Esteri – che tra le prime visite di Chirac all’estero ci sono state nel luglio ’95 proprio quelle agli Stati francofoni del continente nero. «Questi Paesi» ha ribadito Mérimée «costituiscono lo zoccolo duro… della politica francese in Africa».
Tra questi un posto di tutto rilievo lo merita senza dubbio il piccolo Gabon. Indipendente dal 17 agosto 1960, dopo essere stato governato lungamente e direttamente da Parigi, sin dal ’67 il Gabon ha visto sulla poltrona di presidente della Repubblica Albert-Bernard Bongo, un nativo che ha vinto tutte le elezioni presidenziali (talora con percentuali “bulgare” del 99 per cento!), e che nel ’73 si è convertito all’islam divenendo El Hadj Omar Bongo. Rapporti con l’Opec e con il mondo arabo a Bongo di certo non mancano, poiché il Gabon è un ricco produttore di petrolio, e nel suo sottosuolo si trovano anche grandi ricchezze di manganese e uranio, preda delle multinazionali francesi e americane. Il livello di reddito pro capite è tra i più alti di tutta l’Africa, ma sostanzialmente una classe al potere accumula molto più di quanto resta da dividere tra il resto della popolazione.
Una “tipica” realtà africana, potremmo dire, tale anche nella diversità delle etnie (si contano circa quaranta gruppi distinti) e nel ruolo importante che le missioni cristiane hanno storicamente svolto e svolgono: in Gabon i cristiani rappresentano oggi circa il 65 per cento della popolazione. E di questa percentuale i cattolici – che talvolta non dimenticano del tutto le loro religioni tradizionali e l’animismo – sono la maggioranza, con una forte presenza di opere educative e sociali.
In tale realtà ha avuto dunque buon gioco la Segreteria di Stato vaticana nel trattare e chiudere lo scorso 12 dicembre con il Gabon un accordo che ora fa brillare lo Staterello di luce particolare: L’Accordo-quadro tra la Santa Sede e la Repubblica gabonese sui principi e su alcune disposizioni giuridiche concernenti le loro relazioni e la loro collaborazione è – come recita il comunicato congiunto – il «primo accordo di tale genere tra la Chiesa e uno Stato africano». Tant’è vero che a Libreville, alla cerimonia della firma – apposta per parte vaticana dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati monsignor Celestino Migliore e per il Gabon dal ministro degli Esteri Simon Boulamatari – non hanno voluto mancare il presidente Bongo, il capo del governo e tutte le cariche istituzionali.

Quasi un concordato
L’Accordo-quadro si apre con una dichiarazione di principi in cui lo Stato riafferma la sua laicità, il rispetto di tutte le credenze religiose e delle loro autonomie, mentre per parte vaticana si richiamano il Concilio ecumenico Vaticano II e, naturalmente, le norme del diritto canonico. Si sottolinea subito dopo «che una maggioranza dei gabonesi appartiene alla Chiesa cattolica» ed «il ruolo di quest’ultima nella vita della nazione, al servizio dello sviluppo spirituale, sociale, culturale e pedagogico del popolo gabonese».
Seguono diciotto articoli nei quali – iniziando dall’affermazione che Stato e Chiesa «sono ciascuno nel suo ordine sovrani, indipendenti e autonomi» e che alla Chiesa cattolica e alle sue istituzioni si riconosce «la personalità giuridica a carattere pubblico» – si elencano materie e campi di intervento ecclesiastico di grande importanza. Semplificando: libertà della Chiesa di darsi leggi e regolamenti, di erigere, modificare e sopprimere istituzioni cattoliche; libertà di comunicazione interna ed internazionale; libero esercizio della sua missione apostolica, del culto e dell’insegnamento; libertà nelle nomine ecclesiastiche; libertà di acquistare e vendere beni mobili e immobili e costruire chiese; libertà di editare e diffondere la stampa cattolica e libertà di accesso nei media nazionali. Trattandosi di un Accordo-quadro esso prevede poi la stipula di accordi e convenzioni su alcune materie più delicate: la scuola cattolica; l’assistenza spirituale alle forze armate, nelle prigioni e negli ospedali; le strutture caritative e gli ospedali cattolici, per i quali si prevedono sussidi statali; il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico; le associazioni laicali e quelle di beneficenza ed assistenza. Insomma, come suggerisce Silvio Ferrari, docente alla Statale di Milano ed ecclesiasticista apprezzato oltretevere, «siamo di fronte sostanzialmente a un vero concordato».

Da Libreville all’Africa, con qualche distinguo
Spiega Ferrari: «Colpisce l’ampiezza e l’importanza delle disposizioni di questo Accordo-quadro, spropositate, potremmo dire, se pensiamo che riguardano un piccolo Paese come il Gabon». C’è dell’altro, dunque, se la Santa Sede ha voluto impegnarsi così a fondo a «strutturare così bene la sua libertà». Un’ipotesi autorevole, secondo Ferrari è la seguente: «L’intenzione della Santa Sede è quella di “lanciare” questo Accordo come il “concordato modello” da applicare nelle altre realtà dell’Africa cattolica». Un’operazione perciò su larga scala. «L’immagine globale dell’Accordo indica la Chiesa cattolica come parte integrante del diritto pubblico dello Stato». Continua Ferrari: «Essa riceve vantaggi economici, insieme però agli svantaggi del controllo statale sugli enti ecclesiastici riconosciuti».
C’è però da considerare la particolarità africana, in due sensi. Innanzitutto non ci si deve stupire se, ad esempio, nell’Accordo si ribadisce che la nomina dei vescovi «appartiene esclusivamente» alla Santa Sede, se vengono poste norme specifiche che sanciscono l’inviolabilità dei luoghi di culto e il segreto della confessione o che impongono la comunicazione obbligatoria dell’autorità statale al superiore religioso nel caso di denuncia a carico di un sacerdote: ciò va inteso come una forma di “tutela” a favore della Chiesa nel Gabon contro “interferenze esterne”. In secondo luogo, afferma chiaramente padre Joseph Ballong, professore all’Urbaniana e membro della delegazione ecclesiastica che ha condotto le trattative per l’Accordo: «I sistemi sociali dell’Africa nera sono strutture aperte, di cultura tollerante. Non fa propriamente parte della tradizione africana il confronto tra Stato e Chiesa nei termini in cui gli europei pensano il tema della laicità dello Stato. Qui una certa concezione di laicità è superata dalla forte collaborazione tra Chiesa e Stato, per il bene comune, in un regime che deve essere aconfessionale».

Grazie, Bongo
Grazie a questo “concordato”, la Chiesa cattolica in Gabon dunque accetta e incrementa la collaborazione con il regime di Bongo. Marcel Ibinga Magwangu, cattolico praticante, ambasciatore gabonese in Italia e delegato governativo alle trattative er il Gabon…».


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