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SCUOLA
tratto dal n. 01 - 1998

Le adesioni all’ora di religione

Dietro il muro del 90 per cento


L’opzione per l’insegnamento della religione cattolica rimane a livelli plebiscitari. Eppure, guardando con attenzione le cifre, si scopre che nelle scuole superiori delle grandi città la percentuale delle defezioni è altissima


di Stefano M. Paci


La data ultima era il 26 gennaio. Quel giorno è scaduta, per i genitori che hanno figli in età scolare, la possibilità di iscriverli o meno all’Insegnamento della religione cattolica (Irc), la cosiddetta ora di religione. Le cifre di questa “tornata” di iscrizioni si sapranno solo tra qualche mese. Ma già ora è possibile prevederne il trend, e trarne qualche considerazione.
«Secondo le nostre proiezioni» ci dice il direttore dell’ufficio catechistico della Conferenza episcopale italiana, don Bassano Padovani «anche quest’anno è estremamente alto il numero dei ragazzi che hanno scelto l’insegnamento della religione cattolica. C’è solo una lieve flessione sul territorio nazionale, la stessa che si registra ogni anno». E le cifre, in effetti, sembrano confortanti. Da quando, il 14 dicembre del 1985, la Chiesa cattolica ha stipulato un’intesa con lo Stato italiano riguardo l’insegnamento della religione nelle scuole, la stragrande maggioranza degli studenti ha deciso di avvalersene. Nell’ultimo anno scolastico ben il 93,7 per cento dei ragazzi, dalle scuole materne fino alle superiori, ha seguito l’ora di religione. Un risultato quasi plebiscitario. Che conferma quello degli anni precedenti. Tutto bene, dunque? Non proprio.

Dati allarmanti
Se si scompongono sul territorio nazionale i dati relativi all’anno scolastico 1996-’97, si nota che le percentuali non sono uniformi. Anzi, che la disparità è elevatissima. In tutta Italia la percentuale dei ragazzi che scelgono di non frequentare l’ora di religione è attestata sul 6,3 per cento, ma essa è in realtà appena l’1,5 per cento al sud, sale all’8,4 per cento nel centro e si impenna fino al 9,9 per cento nel nord. E se in Basilicata sono appena l’1,1 per cento i giovani che decidono di disertare l’insegnamento cattolico, divengono il 12,4 per cento in Emilia Romagna, il 12,5 per cento in Piemonte e ben il 16 per cento in Toscana. «Sì, è vero, la disaffezione all’insegnamento della religione cattolica è molto più alta al nord che al sud, nelle regioni ricche rispetto a quelle più povere, ed è molto più accentuata nelle grandi città rispetto ai piccoli centri. E prevediamo che anche quest’anno il trend verrà rispettato», conferma il direttore dell’ufficio catechistico della Cei. Un dato che dovrebbe allarmare. Perché, come è noto, è dalle grandi città, soprattutto quelle del nord, che partono le tendenze che poi si diffonderanno in tutta la nazione. Quasi fossero un singolare laboratorio politico ed ecclesiastico, le grandi città del settentrione hanno sempre anticipato i comportamenti del resto d’Italia.
Letto in questa chiave, diventa allarmante il dato delle scuole superiori. Se su tutta la popolazione studentesca sono solo poco più di sei giovani su cento coloro che decidono di non frequentare l’insegnamento della religione cattolica, la cifra nelle sole scuole superiori quasi raddoppia, arrivando all’11,9 per cento. E questo dato assume ben altra rilevanza in alcune città del centro e del nord. A Napoli, per esempio, solo il 2,1 per cento degli studenti delle superiori esce dalla classe quando entra l’insegnante di religione (il 3,3 per cento a Bari, il 3,5 per cento a Palermo), mentre le defezioni sono del 24,7 per cento a Roma e del 26,3 per cento a Milano (cioè più di uno studente su quattro), salendo fino ai picchi del 36,8 per cento a Bologna e del 41,8 per cento a Firenze (quasi uno studente su due).

L’alternativa del vuoto
«Questo certamente dipende sia dal clima di secolarizzazione che avanza sia dal disagio che si vive nelle grandi metropoli. Ma dire che i motivi sono solo questi è riduttivo» spiega don Bassano Padovani. E allora? «I problemi sono molti e complicati» prosegue «e stiamo cercando di valutarli assieme ai responsabili delle grandi diocesi».
Facendo una rapida indagine tra i direttori degli uffici-scuola di alcuni capoluoghi di provincia, il principale fattore negativo indicato è quello denominato “l’alternativa del vuoto”. Per chi non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica, gli attuali ordinamenti prevedono varie possibilità: un’attività didattica e formativa nella scuola; lo studio assistito o non-assistito; l’uscita dalla scuola. Ma la prima ipotesi, con grande delusione dei responsabili ecclesiastici, viene poco praticata: solo nel 14,6 per cento dei casi, e anche qui con grande squilibrio tra nord e sud (nel meridione le attività didattiche alternative vengono proposte nel 42,4 per cento dei casi, nel nord solo nell’11,5 per cento).
«In ambito nazionale permane una netta prevalenza dell’uscita dalla scuola, praticata nel 52, 7 per cento delle situazioni e diffusa in oltre sei casi su dieci (61, 3 per cento) nelle scuole superiori», spiega l’Osservatorio religioso del Triveneto, l’organismo che su incarico della Conferenza episcopale ogni anno “monitorizza” lo stato dell’insegnamento della religione cattolica in Italia. «Se a essa cumuliamo l’elevata incidenza, nella scuola superiore, dello studio non assistito (23, 8 per cento) arriviamo a coprire l’85 per cento delle situazioni». Le conclusioni? «È una conferma della diffusa carenza di valide alternative all’ora di religione».
L’altro grande problema aperto è quello dello statuto giuridico degli insegnanti, non ancora parificato a quello degli altri docenti. Una questione che lo Stato, in sede di Concordato, si era impegnato a risolvere, ma che non ha ancora trovato alcuna soluzione. E il disagio dei professori viene aumentato dal fatto che l’insegnamento della religione, per la sua peculiarità, di norma viene impartito in un’ora per classe: il docente deve dunque avere diciassette, diciotto classi, e spesso (oltre il 30 per cento dei casi) queste vengono suddivise in due o più scuole. «Una situazione schizofrenica, impossibile e umiliante», accusa don Padovani. «L’insegnante non può oggettivamente seguire tutti i consigli di classe, e probabilmente non riesce neppure a riconoscere i volti di tutti i suoi allievi». Una situazione incresciosa, anche perché «l’elemento religioso è incredibilmente assente dai programmi dello Stato. Tutto confluisce in quell’ora, anche processi come quelli dell’integrazione multireligiosa, che stanno acquistando una rilevanza sempre più drammatica nella nostra società. Eppure» continua don Padovani «la tematica religiosa era uno dei grandi temi nelle discussioni del “gruppo dei saggi” convocati dal ministro della Pubblica istruzione. Alla fine, nel progetto di riforma Berlinguer, si è dissolto. Per quale motivo? In questo modo viene censurata una parte fondamentale dell’esperienza umana. E ciò avviene nella scuola, dove è l’uomo stesso a formarsi».
Ma qualcosa forse si sta muovendo. In Parlamento sono state presentate varie proposte di legge, adesso giunte alla Commissione cultura del Senato. La discussione della Finanziaria ha finora bloccato i lavori, che adesso però potrebbero riprendere. «E chissà che il ’98 non ci porti una gradita sorpresa» afferma fiducioso don Padovani. «Perché è vero che l’insegnamento della religione ha vari problemi, e il trend è preoccupante. Ma vorrei vedere cosa accadrebbe se anche gli altri insegnamenti diventassero facoltativi, e fossero gli insegnanti a dover cercare il consenso tra gli studenti, così da spingerli a scegliere la propria