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EDITORIALE
tratto dal n. 10 - 2003

Magistrati e politica



Giulio Andreotti


La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli il 18  gennaio 2003

La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli il 18 gennaio 2003

Per ovvi motivi di riservatezza io da tempo non prendo parte alle dispute sulla magistratura, che agitano le acque pubbliche, talvolta in termini generali, non di rado su casi di specie e su aree giudiziarie particolari.
Di recente, a seguito di un saggio intervento ammonitore dell’onorevole Rognoni, vicepresidente del Consiglio superiore, è stato chiesto perché non si sia mai dato seguito alla norma costituzionale che prevede l’inibizione ad iscriversi ai partiti per gli appartenenti all’Ordine giudiziario. Ricordo, a parte gli stenografici dei lavori dell’Assemblea, quale era la comune preoccupazione. Nel fronte delle sinistre vi era la convinzione che, se nelle elezioni politiche avessimo prevalso noi, si sarebbe dato vita se non ad un neofascismo almeno a restrizioni forti delle libertà. A nostra volta temevamo che se avessero vinto Togliatti e il suo docile alleato Nenni non si sarebbe sfuggiti ai modelli sovietici. Questa convergente preoccupazione bipolare fece sì che i giudici fossero lasciati fuori da ogni futura influenza politica.
Nei primi decenni repubblicani un movimento di sinistra cominciò ad agitare il sospetto che la magistratura fosse al servizio del potere; e dettero, per questo, vita alla corrente di Magistratura democratica, sottolineando anche il problema di una auspicata...
Indipendenza ed autogoverno che – vinte da noi le elezioni – furono successivamente rafforzate, attraverso l’automatismo delle promozioni e una stabilità di sede assoluta; se il togato vuole restare fino al pensionamento nella sede iniziale nella quale è andato dopo aver vinto il concorso nessuno può trasferirlo. Salvo l’ipotesi di una misura disciplinare da parte del Consiglio superiore: ma in oltre mezzo secolo i casi relativi sono stati rarissimi.
In quanto alla iscrizione ai partiti, alla legge ordinaria prevista dall’art. 98 della Costituzione, non è stato mai dato corso. Viceversa con una intensità crescente si è avuta e si ha la partecipazione di togati alle elezioni alla Camera dei deputati e al Senato. Forse con qualche ingenuità io ho auspicato più volte che siano proprio questi onorevoli a favorire il disgelo nella tensione che si è creata con il mondo politico.
Anche problemi di opinabile valenza tecnica, come l’unità o la separazione dei ruoli tra requirenti e giudicanti, sono dibattuti con un contrapposto e polemico fideismo estraneo ad ogni analisi obiettiva.
...rotazione negli incarichi direttivi (rivendicazione ora quasi scomparsa). Rileggendo di recente i discorsi parlamentari di Guido Gonella – che dal 1957 al 1973 fu per otto volte ministro della Giustizia – ho trovato molti spunti significativi per orientarsi in materia
Nei primi decenni repubblicani un movimento di sinistra cominciò ad agitare il sospetto che la magistratura fosse al servizio del potere; e dettero, per questo, vita alla corrente di Magistratura democratica, sottolineando anche il problema di una auspicata rotazione negli incarichi direttivi (rivendicazione ora quasi scomparsa).
Rileggendo di recente i discorsi parlamentari di Guido Gonella – che dal 1957 al 1973 fu per otto volte ministro della Giustizia – ho trovato molti spunti significativi per orientarsi in materia. A cominciare dal dibattito sulla attuazione del Consiglio superiore (ottobre 1957) nel quale disse:
«Vogliamo l’approvazione della legge sul Consiglio superiore perché questo organo serve a garantire anche esteriormente l’indipendenza della magistratura. Se dicessimo però che l’indipendenza oggi non esiste faremmo torto più ai magistrati che al governo». Il rilievo è tuttora valido.
Un ex guardasigilli, il liberale Michele Di Pietro, lo interruppe per dire: «La magistratura deve essere indipendente anche dall’Associazione nazionale dei magistrati. Andiamo avanti con la magistratura e con l’Associazione nazionale».
Sopra, Guido Gonella; sotto, Palmiro Togliatti durante i lavori dell’Assemblea costituente

Sopra, Guido Gonella; sotto, Palmiro Togliatti durante i lavori dell’Assemblea costituente

Il ministro Gonella fu molto preciso in proposito: «Penso che quella dell’Associazione nazionale dei magistrati sia una funzione importante: esprimere in maniera organica il pensiero dei magistrati». Sul problema più generale precisò: «L’indipendenza non deve significare separazione dell’Ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato; bensì specificazione e coordinamento nel quadro dello Stato che vuole essere Stato organico. La magistratura non deve esserlo; non lo è e non vuole esserlo… Quando la Costituzione dichiara che il magistrato dipende solo dalla legge afferma evidentemente il principio della indipendenza da tutto ciò che non sia legge; ma allo stesso tempo afferma anche il principio della indipendenza delle leggi cioè della sovranità della legge, della priorità del potere legislativo».
Ancora una interruzione del senatore Di Pietro: «Come se gli altri cittadini fossero soggetti ad altro, oltreché alla legge!»; Gonella lasciò correre.
Vigeva allora il provvido sistema (cancellato poi dal Decreto previsionale di spesa e dalla Legge finanziaria) di discutere ogni anno nelle due Camere separatamente il bilancio di ogni Ministero. Vi sono pertanto ampi attestati della intelligenza, della passione e della saggezza con cui Gonella affrontava (e con successo anche operativo) i delicati problemi della Giustizia, con una particolare attenzione alla condizione umana dei carcerati.
Gli atti parlamentari successivi al 1957 attestano con quanta accuratezza, ispirazione culturale, concrete risposte alle esigenze Gonella abbia affrontato i problemi del settore, comprese le tappe intermedie per arrivare alla riforma dei Codici, in posizioni e con misure intermedie, ad esempio, per quel che concerne la Procedura penale, tra sistema accusatorio e sistema inquisitorio. Il nuovo Codice arrivò in porto più tardi – ministro Giuliano Vassalli – e le opinioni relative sono controverse; quel che sconcertò fu – subito dopo – la dichiarazione del procuratore generale della Cassazione secondo il quale non potevano esprimersi giudizi sperimentati, ma sicuramente la durata dei processi sarebbe stata d’ora innanzi maggiore.
Il discorso di Gonella in Senato il 12 settembre 1961 è un capolavoro di logica e di realismo; anche per l’odierno dibattito sulle carriere gioverebbe rifarsi alla limpida dialettica gonelliana, non priva di penetranti spunti di ironia: «Si chiede di porre il pubblico ministero al suo posto, ma poi si è discordi nel determinare quale sia questo posto». Incisivo il rilievo che il p.m. deve essere un inquirente e non un inquisitore; ferma restando l’obbligatorietà dell’azione penale.
Il discorso di Gonella in Senato il 12 settembre 1961 è un capolavoro di logica e di realismo; anche per l’odierno dibattito sulle carriere gioverebbe rifarsi alla limpida dialettica gonelliana, non priva di penetranti spunti di ironia: «Si chiede di porre il pubblico ministero al suo posto, ma poi si è discordi nel determinare quale sia questo posto». Incisivo il rilievo che il p.m. deve essere un inquirente e non un inquisitore; ferma restando l’obbligatorietà dell’azione penale
Toccò anche il tema delicato della riservatezza degli atti: «È facile la retorica contro l’oscurantismo del segreto, ma pure le ironie sul cosiddetto segreto di Pulcinella; bisognerebbe che i critici sapessero anche indicare in quale altra maniera l’onore di un imputato innocente viene tutelato dal discredito che può derivare da una pubblica istruttoria contro un individuo che tra l’altro, può non essere neppure rinviato a giudizio. È questa una esigenza di alto valore morale; un’esigenza di difesa della dignità della persona che nessuno vorrà sottovalutare».
Gonella si soffermò a lungo sulle deviazioni della stampa (citò in particolare i settimanali) nelle cronache giudiziarie. Affermò con vigore che: «L’intangibile diritto di libertà della stampa non può invadere il campo dell’insopprimibile diritto dell’individuo alla onorabilità e al riserbo; non può trasformare l’informazione in deformazione; non può influenzare il giudice o la difesa».
Esemplare anche il colloquio – Commissione e Aula – con il quale Gonella ministro dibatteva con i parlamentari grandi e piccoli problemi della Giustizia. Quando il senatore di Venezia Gianquinto gli disse che il personale in servizio in quel carcere non godeva del riposo settimanale si mostrò meravigliato, ma assicurò di mandare subito un ispettore ministeriale a verificare.
Lo cito come esempio di un rapporto anche con l’opposizione, attento e reciprocamente rispettoso, non solo nel dibattito annuale del bilancio, ma con frequenti interpellanze orali con risposta del ministro in persona. Un costume da ricostruire.
Sopra, l’aula della Camera dei deputati; sotto, i “saggi” del Polo per il progetto di riforma costituzionale, riunitisi ad agosto a Lorenzago di Cadore (Bl). Si riconoscono da sinistra, Francesco D'Onofrio dell'Udc, Andrea Pastore di Fi e Roberto Calderoli della Lega, accolti dalla giunta comunale di Lorenzago

Sopra, l’aula della Camera dei deputati; sotto, i “saggi” del Polo per il progetto di riforma costituzionale, riunitisi ad agosto a Lorenzago di Cadore (Bl). Si riconoscono da sinistra, Francesco D'Onofrio dell'Udc, Andrea Pastore di Fi e Roberto Calderoli della Lega, accolti dalla giunta comunale di Lorenzago

Di taglio particolare fu un dibattito (3 ottobre 1968) su una proposta – presentata dal socialista Tristano Codignola – di delega al presidente della Repubblica per la concessione di una amnistia per i responsabili di gravi disordini nelle università avvenuti dal febbraio al maggio. Gonella parlò con molta chiarezza dell’obiettivo di pacificazione e disse: «Che cosa mai ha insegnato ai nostri figli la prima metà del nostro secolo, cioè la storia dei loro padri? Perché dovrebbero esserci riconoscenti i nostri figli? Perché non dovrebbero cercare di mutare un mondo che nasconde iniquità sotto l’illusorio mantello della Civiltà dei consumi? In questa nera, ma non troppo nera, cornice dei tempi potremo ancora insegnare due cose: come si può evitare di cadere nei nostri errori, dando un seguito e uno sviluppo allo sforzo compiuto da molti della nostra generazione, anche con atti di eroismo; anche con lo stesso generoso olocausto della vita, per creare nella nostra comunità nazionale un assetto nuovo nel quale libertà, giustizia, progresso non fossero nomi vari, ma potessero trovare e ritrovare anche presso di noi la loro patria… Nessuno vuole considerare con ostilità o con sufficienza i problemi dei nostri figli. L’alternativa è: o aiutare i giovani ad integrarsi in una società nuova o lasciarli ai margini in una posizione di disimpegno, di contestazione, di protesta. La crisi dell’università si inquadra nella crisi di una generazione.
Il senatore Codignola ha detto che “il diritto muta sotto la pressione delle modificazioni sociali”. La tesi è ottima a condizione che non si voglia accreditare sotto le modificazioni sociali la pressione della forza sul diritto. In questo spirito e con sostanziali precisazioni il governo aderiva al provvedimento di clemenza».


Se nelle sue presenze al Ministero della Giustizia Gonella lasciò una impronta molto marcata, non effimera fu la sua guida della Pubblica istruzione dal 1946 al 1951. Vi era arrivato superando un veto autorevolissimo. Benedetto Croce aveva solennemente dichiarato che prima di morire (per il dopo forse lasciava correre) non avrebbe mai potuto accettare che un cattolico fosse ministro della Pubblica istruzione. Gonella fu nominato e il grande filosofo non solo sopravvisse, ma ebbe con lui cordialissimi rapporti, almeno sul piano personale. In aula nel luglio 1947 criticò solo il modo frettoloso con cui si stava procedendo all’attuazione del Consiglio superiore. Ma in un’altra esperienza ministeriale Gonella ebbe successo. Come “senza portafoglio” nel 1956-57 fece varare la legge sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: un organo costituzionale di consultazione del Parlamento e governo composto da rappresentanti dei lavoratori, dei datori di lavoro e delle professioni. Era stata una felice intuizione dei costituenti, che tuttavia tardò a divenire operativa; e in verità nonostante eccellenti presidenze (come quella di De Rita) e documenti spesso brevi e non strutturati, non è mai riuscita a divenire importante.
Nei mesi prossimi sarà dibattuto un quadro complesso di riforme costituzionali. A differenza del lontano 1946-47 vi è un clima generale tutt’altro che di cooperazione politica
Gonella, in armonia con il relatore De Luca e facendo abilmente ritirare emendamenti che avrebbero fatto continuare la interminabile gestazione, arrivò al risultato. Certamente sulla composizione si poteva obiettare, ma sul momento il peso dell’Italia agricola non poteva essere disatteso. A suo tempo sarebbe stato corretto.


Nei mesi prossimi sarà dibattuto un quadro complesso di riforme costituzionali. A differenza del lontano 1946-47 vi è un clima generale tutt’altro che di cooperazione politica. Dopo il lavoro alpino del comitato preparatore delle riforme espresso dalla maggioranza governativa, un portavoce ha detto: «Cercheremo il consenso dell’opposizione, ma se mancherà vareremo noi la riforma».
Una frase che allora non sarebbe stata neppure concepita.


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