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LITURGIA/1
tratto dal n. 01 - 2003

In paradiso senza giudizio?


Nei testi liturgici preconciliari il riferimento al giudizio particolare, dopo la morte, è sempre chiaro: solo nelle orazioni per i bambini battezzati, morti senza possibilità di aver commesso alcun peccato, si parla di un passaggio immediato in paradiso. Nel Messale riformato, invece, si trova un’espressione che sembra introdurre un elemento di non chiarezza. Dei quattro novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) sono taciuti il giudizio e la possibilità dell’inferno


di Lorenzo Bianchi


Lastra sepolcrale del IV secolo con l’iscrizione “Alexandra in pace”  e la raffigurazione della defunta, con le braccia alzate nell’atteggiamento dell’orante, con una colomba che le porge una corona,  Museo Pio Cristiano, Vaticano

Lastra sepolcrale del IV secolo con l’iscrizione “Alexandra in pace” e la raffigurazione della defunta, con le braccia alzate nell’atteggiamento dell’orante, con una colomba che le porge una corona, Museo Pio Cristiano, Vaticano

Come molte altre parti della liturgia della Chiesa, anche quella relativa alle esequie (ufficio dei defunti, messe per i defunti) è stata riformata dopo il Concilio Vaticano II, ad opera del “Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia”, con numerose modifiche nel rito, in particolare nella scelta dei testi di salmi, cantici e orazioni. Vogliamo molto brevemente soffermarci qui su alcune orazioni presenti sia nella liturgia preconciliare che in quella riformata, per sottolinearne alcune varianti nei testi, dalle quali in qualche maniera sembra emergere una mutata prospettiva con cui si considera la morte e il passaggio dell’uomo all’aldilà.
Una orazione in particolare può essere esemplificativa. Si tratta dell’orazione colletta della messa dei defunti nel giorno della morte o della deposizione del defunto. Così compare nel Messale di san Pio V: «Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, te supplices exoramus pro anima famuli tui quam hodie de hoc saeculo migrare iussisti: ut non tradas eam in manus inimici, neque obliviscaris in finem, sed iubeas eam a sanctis Angelis suscipi et ad patriam paradisi perduci; ut, quia in te speravit et credidit, non poenas inferni sustineat, sed gaudia aeterna possideat» («O Dio, che sei la misericordia e il perdono, ti supplichiamo per l’anima del tuo servo, che oggi per tuo volere ha lasciato questo mondo: non consegnarla nelle mani del nemico, non dimenticarla per sempre: ma comanda agli angeli santi di accoglierla e di condurla nella patria del paradiso; poiché in te ha sperato e creduto, non soffra le pene dell’inferno ma possieda la gioia eterna»).
Così invece è stata ripresa, come seconda colletta a scelta nella messa nelle esequie fuori del tempo pasquale, nel nuovo Messale riformato (senza varianti nelle varie edizioni, sia latine, tre, che italiane, due): «Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, te supplices exoramus pro famulo tuo quem hodie ad te migrare iussisti: ut, quia in te speravit et credidit, concedas eum ad veram patriam perduci, et gaudiis perfrui sempiternis» («O Dio, tu sei l’amore che perdona: accogli nella tua casa il nostro fratello che oggi è passato a te da questo mondo; e poiché in te ha sperato e creduto, donagli la felicità senza fine»).
Vogliamo commentare in particolare le parti evidenziate in grassetto. Nei testi liturgici preconciliari il riferimento al giudizio particolare, dopo la morte, è sempre chiarissimo: solo nelle orazioni per i bambini battezzati morti senza possibilità di aver commesso alcun peccato si parla di un passaggio diretto al paradiso («qui animam huius parvuli ad caelorum regnum hodie misericorditer vocare dignatus es»). La nuova formulazione del Messale riformato, che cambia il «de hoc saeculo» in «ad te», inserisce un’espressione che sembra introdurre un elemento di non chiarezza dogmatica. Dei quattro novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) sono taciuti il giudizio e la possibilità dell’inferno, come se la morte fosse per tutti immediato passaggio al paradiso. Questa espressione è la medesima che è stata adottata dai riformatori anche nel Canone stesso della messa.
Con le riforme seguite al Concilio Vaticano II fu data la possibilità di celebrare la messa anche utilizzando nuove preghiere eucaristiche. Della loro composizione si occupò, nell’ambito del “Consilium”, il gruppo 10, e in particolare Cipriano Vagaggini, che vi lavorò nell’estate del 1966 presso l’Abbazia di Mont César (Lovanio). La commemorazione dei defunti nel Canone romano recita: «Memento etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum qui nos praecesserunt cum signo fidei, et dormiunt in somno pacis» («Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace»). Nelle nuove preghiere eucaristiche il ricordo del defunto per cui si celebra la messa viene così espresso: nella seconda preghiera: «Memento famuli tui quem hodie ad te ex hoc mundo vocasti. Concede, ut, qui complantatus fuit similitudini mortis Filii tui, simul fiat et resurrectionis ipsius» («Ricordati del nostro fratello che oggi hai chiamato a te da questa vita: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione»); nella terza: «Memento famuli tui quem hodie ad te ex hoc mundo vocasti. Concede, ut, qui complantatus fuit similitudini mortis Filii tui, simul fiat et resurrectionis ipsius, quando mortuos suscitabit in carne de terra et corpus humilitatis nostrae configurabit corpori claritatis suae». («Ricordati del nostro fratello che oggi hai chiamato a te da questa vita: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione, quando farà sorgere i morti dalla terra e trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso»).
La seconda preghiera si ispira all’anafora di Ippolito, nella quale però l’intercessione per i defunti manca. La terza invece è una nuova creazione.
Ma qual è l’origine della nuova formula? Si è detto che la nuova espressione non appare mai nella liturgia preconciliare. Qualche formula simile si trova invece in alcune preghiere contenute negli antichi sacramentari, poi non introdotte nel Messale di san Pio V. Ad esempio (trascriviamo i testi nella loro grafia originale): «Suscipe, domine, animam servi tui ad te revertentem. [...] Libera eam, Domine, de principibus tenebrarum et de locis poenarum [...]» (Sacramentario Gelasiano, prima metà dell’VIII secolo: cfr. L.C. Mohlberg, L. Eizenhöfer, P. Siffrin, Liber Sacramentorum Romanae Aeclesiae ordinis anni circuli, Roma 1960, nn. 1610, 1611, 1621; Sacramentario Gelasiano Gellonense, VIII secolo: cfr. A. Dumas, Liber Sacramentorum Gellonensis, Turnholti 1981, nn. 2898, 2903, 2904, 2906). Oppure: «cari nostri animam ad te datorem proprium revertentem blande leniterquae suscipias» (Gelasiano, n. 1608). O ancora: «Obsecramus misericordiam tuam aeternae omnipotens Deus qui hominem ad imaginem tuam creare dignatus es, ut spiritum et animam famuli tui, quem hodierna die rebus humanis eximi, et ad te accersire (= arcessere, “far venire”, ma anche “presentarsi in giudizio”) iussisti» (Sacramentario Gregoriano, supplemento Anianense, IX secolo: cfr. J. Deshusses, Le Sacramentaire Grégorien, I, Fribourg 1971, n. 1409). E infine: «Honorandi patris benedicti gloriosum caelebrantes diem in quo hoc triste saeculum deserans, ad caelestis patriae gaudia migravit aeterna» (Sacramentario Gelasiano Gellonense, n. 1239, riferita però alla messa per un santo, Benedetto abate).
Il cubicolo del Buon Pastore nelle Catacombe di Domitilla a Roma

Il cubicolo del Buon Pastore nelle Catacombe di Domitilla a Roma

La nuova formulazione dell’orazione, così come appare nel Messale riformato, sembra dunque prendere spunto da questi testi; testi nei quali, peraltro, non è possibile equivocare sul significato di «ad te»: non un passaggio automatico al paradiso, ma il presentarsi al giudizio di Dio. Mentre la nuova espressione della liturgia riformata (anche per la cancellazione di qualsiasi accenno al giudizio divino e all’inferno) rischia di suggerire in qualche maniera una definizione della morte come passaggio, indistintamente per tutti, da questo mondo al Padre (chi muore sarebbe ipso facto salvo).
Che questo rischio non sia stato compreso (o non sia stato adeguatamente considerato) dai riformatori lo dimostra il fatto che il fenomeno di variazione terminologica prosegue e si estende nel passaggio dal latino all’italiano, dove spesso l’originaria espressione «de hoc saeculo» (invece che «ad te»), pur mantenuta in latino, tende ad essere “riformulata” dai traduttori. Così ad esempio dove il latino porta «Praesta, quaesumus, omnipotens Deus, ut famulus tuus, qui hodie de hoc saeculo migravit, his sacrificiis purgatus et a peccatis expeditus, resurrectionis suscipiat gaudia sempiterna» (messa nelle esequie fuori del tempo pasquale, orazione dopo la comunione), l’italiano traduce «Accogli, Dio onnipotente, il nostro fratello, nel suo passaggio da questo mondo a te, e per la potenza redentrice del sacrificio del Cristo purificalo da ogni colpa, perché possa partecipare alla gloria del Signore risorto, che vive e regna nei secoli dei secoli». Oppure, dove il latino ha «Quaesumus, Domine, ut famulo tuo, cuius depositionis diem commemoramus, rorem misericordiae tuae perennem infundas, et Sanctorum tuorum largiri digneris consortium» (messa nell’anniversario fuori del tempo pasquale, orazione colletta), l’italiano reca «Ti supplichiamo, Signore, per il nostro fratello, nel ricordo annuale del suo transito da questo mondo a te; la tua misericordia sia per lui come rugiada celeste, e il tuo amore lo introduca nella compagnia dei santi». O anche, dal latino «Deus, veniae largitor et humanae salutis amator, quaesumus clementiam tuam, ut nostrae congregationis fratres, propinquos et benefactores, qui ex hoc saeculo transierunt, beata Maria semper Virgine intercedente cum omnibus Sanctis tuis, ad perpetuae beatitudinis consortium pervenire concedas» (messa per i fratelli, parenti, benefattori, orazione colletta) si passa all’italiano «O Dio, fonte di perdono e di salvezza, per l’intercessione della Vergine Maria e di tutti i santi, concedi ai nostri fratelli, parenti e benefattori, che sono passati da questo mondo a te, di godere la gioia perfetta nella patria celeste».




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