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PAOLO VI
tratto dal n. 10 - 2003

Lo sguardo fisso a Cristo


Il discorso con cui il 29 settembre di quarant’anni fa Paolo VI riapriva i lavori del Concilio ecumenico Vaticano II



Riprendiamo, o fratelli, adunque il cammino. Questo ovvio proposito richiama al nostro spirito un altro pensiero; e questo, così capitale e così luminoso, da obbligarci a comunicarlo a questa assemblea, anche se essa già ne è tutta informata e illuminata.
Donde parte il nostro cammino, o fratelli? Quale via intende percorrerre, se piuttosto che alle indicazioni pratiche testé ricordate noi poniamo attenzione alle norme divine a cui deve obbedire? E quale meta, o fratelli, vorrà proporsi il nostro itinerario, da segnarsi, sì, sul piano della storia terrena, nel tempo e nel modo di questa nostra vita presente, ma da orientarsi al traguardo finale e supremo che sappiamo non dover mancare al termine del nostro pellegrinaggio?
Cristo in trono, un particolare del mosaico absidale della basilica di San Paolo fuori le Mura

Cristo in trono, un particolare del mosaico absidale della basilica di San Paolo fuori le Mura

Queste tre domande, semplicissime e capitali, hanno, ben lo sappiamo, una sola risposta, che qui, in quest’ora stessa, dobbiamo a noi stessi proclamare e al mondo che ci circonda annunciare: Cristo! Cristo, nostro principio, Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine.
Oh! Abbia questo Concilio piena avvertenza di questo molteplice e unico, fisso e stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù benedetto, fra questa santa e viva Chiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per cui viviamo, e a cui andiamo. Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro; nessuna altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’esser a Lui assolutamente fedeli; nessuna altra fiducia ci sostenga, se non quella che francheggia, mediante la parola di Lui, la nostra desolata debolezza: «Et ecce Ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi» (Mt 28,20).
Oh! Fossimo noi in quest’opera capaci di elevare a nostro Signore Gesù Cristo una voce degna di lui! Diremo con quella sacra liturgia: «Te, Christe, solum novimus; – te mente pura et simplici – flendo et canendo quaesumus – intende nostris sensibus!». E così esclamando pare a noi si presenti lui stesso al nostro sguardo rapito e smarrito, nella maestà propria del Pantocrator delle vostre basiliche, o fratelli delle Chiese orientali, e delle occidentali altresì: noi ci vediamo raffigurati nell’umilissimo adoratore, il nostro predecessore Onorio III, che rappresentato nello splendente mosaico dell’abside della basilica di San Paolo fuori le mura, piccolo e quasi annichilito per terra, bacia il piede al Cristo, dalle gigantesche dimensioni, che in atteggiamento di regale maestro domina e benedice l’assemblea raccolta nella basilica stessa, cioè la Chiesa. La scena, a noi pare, qui si riproduce, ma non più in un’immagine disegnata e dipinta; sì bene in una realtà storica ed umana, che riconosce in Cristo la sorgente dell’umanità redenta, della sua Chiesa, e nella Chiesa quasi l’emanazione e la continuazione altrettanto terrena quanto misteriosa; così che sembra disegnarsi al nostro spirito la visione apocalittica di san Giovanni: «Et ostendit mihi fluvium aquae vivae, splendidum tamquam crystallum procedentem de sede Dei et Agni» (Ap 22,1).


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