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MARIO SOLDATI
tratto dal n. 06 - 1999

L’incapacità di cambiare: ecco il problema


Un articolo scritto nel 1970 per Il Giorno ma mai pubblicato. La visita a un vecchio amico scozzese è lo spunto per parlare della necessità dell’alternanza al potere in Italia


Un articolo inedito dello scrittore recentemente scomparso di Mario Soldati


Il biglietto di Soldati che accompagnava il dattiloscritto inviato ad Andreotti nel 1970

Il biglietto di Soldati che accompagnava il dattiloscritto inviato ad Andreotti nel 1970

L’8 agosto 1970 ricevetti un biglietto manoscritto di Mario Soldati: «Carissimo Andreotti, ieri l’altro ho mandato al Giorno, come faccio ogni settimana, il mio flash. Mi è stato rifiutato, mi hanno detto che era troppo a destra! Non credo assolutamente che ciò sia esatto. L’articolo è ispirato a una sua recente dichiarazione. Vorrei tanto che lei lo leggesse. Sono pieno di rabbia contro tutti questi meccanici della politica e ho bisogno di sfogarmi. Mi creda, molto cordialmente, il suo affezionatissimo Mario Soldati».
Credo utile, in morte del grande scrittore, pubblicare l’articolo che ho conservato con cura.

Giulio Andreotti



Vado a trovare il mio vecchio amico I. G., scozzese, cattolico di famiglia cattolica, letterato, nella nuova casa che ha appena finito di accomodare e arredare, ricavandola da un antico e rustico palazzo, stretto contro la ripida collina, sulla riva destra della Lima.
La spessa moquette dovunque, gli alti scaffali azzurrognoli della biblioteca, il divano di raso blu, gli acquerelli sparsi in ogni angolo nei corridoi e negli sgabuzzini, i pesanti cortinaggi damascati alle finestre, i quadri d’autore seicenteschi e settecenteschi, i mobili e i soprammobili sopraffini, e a loro volta “di famiglia”, non acquistati da un antiquario lucchese, compongono la classica atmosfera riposante, tra vittoriana e granducale, tra inglese e toscana, così cara agli “eruditi voluttuosi” come il mio amico I. G.
Con vini bianchi e pesci freschissimi, celebriamo la fine, straordinariamente sollecita, dei complicati lavori di ripristino e arredamento, interamente affidati ad artigiani locali. Una piccola tribù di cani e di gatti, intrinsechi alla dimora e al padrone, assiste e partecipa.
Al calore estivo, che in questa angusta curva della valle è altrettanto spietato dell’algore invernale, I. ha rimediato da par suo: con un sistema antichissimo, ma che supera il confort di qualsiasi più moderno condizionamento. Basta che la casa sia vecchia e le mura spesse mezzo metro. Si tiene tutte le finestre ermeticamente chiuse dalla mattina alla sera. Le si aprono di notte, per poi richiuderle poco dopo l’alba, appena il sole si affaccia e comincia a scaldare.
Dopo colazione, spezzato il toscano in due fraterne metà, le lasciamo arrostire, finché tirino per conto loro, sui sostegni gemelli, alla fiamma di un’apposita lampada argentea. Fumiamo e spargiamo il nostro laico incenso.
È un po’ di tempo che non vedo il mio amico. Come sempre accade in questi casi, parliamo di ciò che ci è accaduto negli ultimi mesi, nonché di progetti per l’immediato futuro.
«Sono stato a casa» dice lui: «Per le elezioni».
So che I. è laburista. Perciò, pensando alla sconfitta dei laburisti e temendo di incrinare, sia pure superficialmente, il momentaneo, idillico cristallo del nostro brindisi alla casa nuova, mi appresto a scivolare su un altro argomento: «Be’, insomma… Ma senti…».
Ma vedo, sul suo volto pallido, rotondo e celtico, gli occhi celesti brillare maliziosamente. Ha capito la mia esitazione, e risolve subito:
«Ho votato conservatore».
«Euh!» stupisco.
«Sì. Dal ’45 in poi, avevo sempre votato laburista. Vedi. Non c’è dubbio: i laburisti hanno fatto molto in favore di una società più tollerante (permissive society). Esempi: abolizione della pena capitale; agevolazioni maggiori per il divorzio, cosicché non sia più, coma era, una facoltà concessa quasi soltanto ai ricchi; tolleranza verso l’omosessualità; accettazione, entro certi limiti, delle pratiche abortive… Dunque, mi felicito con me stesso di non avere sbagliato. But now… Ma adesso… Adesso, e almeno per qualche tempo, era meglio cambiare».
Mario Soldati, scomparso il 19 giugno 1999

Mario Soldati, scomparso il 19 giugno 1999

E io pensavo, non senza vergogna, al ridicolo tono funereo con cui certi nostri annunciatori e giornalisti dettero, a suo tempo, notizia della vittoria dei conservatori alle elezioni inglesi: quei conservatori che, per il colmo e come sappiamo benissimo, sono, a volte, più a sinistra di molti nostri politici di sinistra, i quali si ostinano a non capire che la democrazia, in fondo, sta tutta in un alternarsi, in un avvicendarsi al potere di persone diverse e con idee diverse!
Questa verità è così vera che semplicemente il non negarla dà i suoi frutti. Per il solo fatto che la maggioranza degli italiani la ammette in teoria, possiamo dire di vivere in un Paese democratico, anche se, purtroppo, in pratica, non abbiamo l’alternarsi e l’avvicendarsi al potere, come accade di norma e da sempre in Gran Bretagna e agli Usa, come non accade più in Francia, e come, da poco tempo, finalmente, accade invece nella Repubblica Federale Tedesca, che proprio così ha dato prova di avere conquistato maturità politica.
«Cambiare»: tutto è lì. E mi hanno riempito di gioia le recenti dichiarazioni di Andreotti, il quale, sorprendendo tutti, ha indicato in questa «incapacità a cambiare», in questa difficoltà di passare da una democrazia teorica a una democrazia pratica, il vero, grande, unico problema della vita politica italiana.
Andreotti, con un’intelligenza che si spalanca verso l’avvenire, ha detto chiaramente che la possibilità di un’alternativa affidata a forze non sospette di autoritarismo sarebbe «una mano santa» per la stessa Democrazia cristiana: perché quando il partito di maggioranza sa di essere insostituibile, si tratta di una democrazia irregolare, anormale, e a lungo andare in pericolo. «Chi mi ha insegnato queste cose» ha concluso Andreotti, «è stato De Gasperi, e io ci credo».
Auguriamo lunga vita, e feconda di opere e di riforme, al governo Colombo. Solo nella continuità di una struttura, che sia democratica anche soltanto “sulla carta”, possiamo sperare che questa medesima struttura diventi poi vera nei fatti: possiamo vagheggiare quel giorno meraviglioso in cui un cittadino italiano, tranquillo, sorridente, e senza nessunissima paura di vedersi, nell’avvenire, menomamente negare l’esercizio delle proprie libertà civili, dichiarerà di avere votato per un partito piuttosto che per un altro solo perché, almeno per qualche tempo, «era meglio cambiare».


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