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ESEGESI
tratto dal n. 01 - 1998

Storia e mistero



di Ignace de la Potterie


Storia e mistero è il titolo del libro allegato all’ultimo numero di 30Giorni. Si tratta di una raccolta dei principali interventi che ho pubblicato su questo mensile dal 1992. Nell’introduzione ricordavo che volevo spiegare che cosa è l’esegesi cristiana. Ma perché questo titolo, Storia e mistero, apparentemente dialettico?

Un principio ermeneutico di san Gregorio Magno
Secondo Gregorio, l’esegeta cristiano, leggendo la Bibbia, dalla storia si innalza al mistero, «ab historia in mysterium surgit» (Omelia su Ezechiele I, 6, 3). Gregorio spiega: «Quanto più ciascun uomo santo progredisce nella Sacra Scrittura, tanto più questa stessa Sacra Scrittura progredisce in lui [...], perché le parole divine crescono con chi le legge» (I, 7, 8). Questo principio di lettura della Scrittura era stato ispirato a Gregorio dalla visione iniziale del libro di Ezechiele che stava commentando. Il profeta, nella sua visione, vedeva un «carro» trascinato da «quattro esseri viventi». Le ruote del carro giravano, e Gregorio riflette su queste parole del testo: «Spiritus vitae erat in rotis» (Ez 1, 20). Ecco il commento: il fatto che lo spirito sta nelle ruote del carro è un simbolo della Scrittura in cui è presente lo Spirito. Il testo biblico è come una ruota che gira: va in alto, poi torna in basso, ma per risalire di nuovo in alto. Il testo quindi cresce (va in alto), «cresce con chi lo legge». E la ragione è, spiega ancora Gregorio, che la Sacra Scrittura «mentre propone il testo rivela il mistero» («dum narrat textum prodit mysterium») e riesce così a dire le cose passate «in modo tale da predicare [anche] il futuro».
Questo modo di leggere la Scrittura era molto diffuso nella tradizione patristica e medievale, ed è stato studiato recentemente con grande erudizione da Pier Cesare Bori in L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristiana antica e le sue trasformazioni (Bologna, Il Mulino, 1987).
Vediamo un caso concreto di questa esegesi. Gregorio commenta l’episodio biblico dei due figli di Isacco, cioè Esaù e Giacobbe (Gen 27, 3-8). Giacobbe era il secondogenito ma aveva comprato dal fratello con un piatto di lenticchie il diritto alla primogenitura. Isacco ormai è cieco e sua moglie escogita un trucco per ingannarlo: veste Giacobbe con una pelle di capra per indurre suo marito a confonderlo con il più villoso Esaù. Ricordo che a Lovanio, il nostro professore, commentando questo brano, diceva: «Non si tratta di una bugia, ma di un mistero», il che sembrava significare che per lui un tale episodio rimaneva incomprensibile. Nella realtà dei fatti però, si trattava indiscutibilmente di una bugia, di un inganno. Ma come lo spiega san Gregorio? Proprio per questo caso, ci chiede di «alzarsi dalla storia al mistero» ricorrendo ad una lettura allegorica del brano, al suo senso spirituale. Da quell’episodio ci viene rivelata, dice Gregorio, l’importanza della primogenitura nella storia della salvezza. Il vecchio Isacco non può dare la benedizione al vero primogenito, Esaù, che era andato a caccia e che rappresenta il popolo giudaico. La benedizione viene data a Giacobbe, il secondogenito, che si presenta sotto le apparenze del fratello maggiore: è dunque lui che riceve la benedizione al suo posto, ma Giacobbe raffigura i pagani. Il senso è quindi che i pagani devono aver parte alle benedizioni destinate ad Israele. Perciò si comprende che con queste benedizioni ricevute, Giacobbe riceverà il nome d’Israele (Gen 35, 10). I pagani devono prendere parte alle benedizioni promesse al popolo eletto. L’orizzonte quindi si è immensamente allargato.
Il passaggio «dalla storia al mistero» non viene effettuato soltanto per eventi storici, come in questo caso. Si fa anche, e ripetutamente, per termini usati nella tradizione cristiana ma che venivano dal paganesimo. Nel volume allegato alla rivista, abbiamo dato un esempio tipico: il termine Theotokos, titolo dato dai cristiani a Maria nel II secolo (verso l’anno 180), veniva usato nel mondo ellenistico per la dea della fecondità, Cibele (la madre degli dèi). Il primo ad applicarlo alla madre di Gesù fu Origene, che provocò così un vero scandalo tra i cristiani. Ma in seguito i Padri lo usarono regolarmente, purificandolo dalle sue risonanze pagane. Così avvenne che al terzo Concilio ecumenico (quello di Efeso, nel 431), contro il rifiuto di Nestorio che non voleva sentir parlare del termine Theotokos, ciò che quel titolo significava fu proprio proclamato come dogma: Maria, la madre di Gesù, è veramente la Madre di Dio.

Storia e mistero: entrambi necessari per la fede
L’importanza della storia nel cristianesimo è innegabile. Lo aveva già sottolineato chiaramente Lutero. Una volta gli fu chiesto: «Quid est interpretatio?», «Cosa vuol dire interpretare?» (si trattava naturalmente della Bibbia). Egli rispose: «Qui non intelligit rem non potest ex verbis sensum elicere», «Chi non comprende l’evento è incapace, quando viene confrontato col testo, di comprenderne il senso». Questo principio di Lutero ha avuto una grande risonanza nell’ermeneutica contemporanea (cfr. Hans Georg Gadamer, Paul Ricoeur). Si deve osservare che nel testo di Lutero si propone una specie di rapporto triangolare tra l’evento storico, il testo che lo racconta e il senso che si cerca. Infatti si deve chiedere dove sta il senso: nell’evento o nel testo? O forse in entrambi? Ma allora qual è il rapporto tra l’evento e il testo? Quale dei due ha la priorità? Mettendo tutto l’accento sul testo, si corre il rischio di farne una pura creazione letteraria, un “teologumeno”; se invece diamo tutta la priorità alla storia, siamo esposti allo storicismo o al fondamentalismo. Il merito di Lutero (da sottolineare oggi, dopo Bultmann), è di aver insistito sull’importanza della storia per l’interpretazione. Gli mancava però un elemento essenziale: egli non teneva conto del fatto che tra il testo e noi (che cerchiamo il senso) si interpone una lunga distanza, ossia la tradizione che trasmette e attualizza il testo per arrivare al senso. Lutero rimaneva chiuso nel sola Scriptura; si vede qui, con l’insegnamento cattolico, l’importanza della tradizione per la ricerca del senso.
La necessità della storia per l’interpretazione della Scrittura è stata sottolineata anche dal padre Henri de Lubac, ma in connessione con l’opera dello Spirito. Anche questo è essenziale per il passaggio dalla storia al mistero. Ricordiamo le opere principali di Henri de Lubac su questo problema: il libro su Origene intitolato proprio Storia e Spirito; quello umatika historikôs)».

Problemi di oggi
Secondo un articolo di Charles Kannengiesser citato nel volume (pagg. 17-20), l’esegesi dei Padri (ricordiamo che siamo partiti da Gregorio Magno) non sarebbe più proponibile oggi perché siamo sottomessi ai dettami dell’illuminismo. Kant infatti ne aveva indicato il principio fondamentale in La religione entro i limiti della sola ragione: «Una fede storica semplicemente fondata su fatti non può estendere la sua influenza al di là del limite di tempo e di luogo cui possono giungere le notizie che consentono un giudizio di credibilità» (Bari, Laterza, 1980, pag. 110). Sarebbe quindi illegittimo il passaggio da un fatto storico particolare (necessariamente casuale) a una verità necessaria di ragione.
Per rispondere a questa sfida del razionalismo, ricordiamo alcuni testi fondamentali di san Giovanni. Egli cita due testi essenziali sulla verità, uno per Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14, 6); l’altro per lo Spirito: «Lo Spirito è la verità» (1 Gv 5, 6). Chi oserebbe, nella linea del kantismo, affermare che si tratta qui di una «verità necessaria di ragione»? Per Gesù, che era indubbiamente un uomo concreto della storia, si parla della sua venuta come di un evento: «La grazia della verità accadde [•géneto] per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17). La verità di Gesù era dunque un «evento», non una verità «puramente fortuita», ma una verità che «rimane tra noi» (2 Gv 2); la verità di Gesù era sì un evento storico, ma un evento rivelatore: l’uomo Gesù si rivelava come il Figlio di Dio e perciò nel Figlio si rivelava il Padre (cfr. Gv 14, 9).
Ma la crisi provocata dal razionalismo sembra ormai superata nella filosofia contemporanea. È significativo (cfr. nel libro pagg. 157-162) che diversi filosofi contemporanei sembrano aver riscoperto la nozione giovannea della verità. Uno di loro, Bernard Ronze, ha pubblicato recentemente un libro, L’essence du christianisme, Paris, 1996 (L’essenza del cristianesimo) che comincia con questa frase decisiva: «La nozione di avvenimento si presenta come fondamentale nei Vangeli e negli scritti apostolici» (pag. 17). Tutti i lettori di 30Giorni sanno quanto la nozione di «avvenimento» sia fondamentale nel pensiero e negli scritti di monsignor Luigi Giussani: dobbiamo riscoprire «lo stupore dell’evento di Cristo». Anche questa riscoperta dell’evento di Cristo con l’aiuto del Vangelo di Giovanni ci aiuterà a riscoprire il passaggio «dalla storia al mistero».


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