Inermi come Gesù Bambino
Padre Ibrahim, uno dei francescani della basilica della Natività a Betlemme, racconta i giorni dell’assedio. Ecco il suo diario
di padre Ibrahim Faltas
La Basilica della Natività presidiata dalle truppe israeliane
Tra chi ha cercato rifugio qui non ci sono solo persone armate. Cè anche il governatore di Betlemme e lavvocato del convento, che sono accorsi allinizio per tentare di risolvere la situazione e non sono più potuti uscire. Molti altri sono semplici cittadini di Betlemme che si trovavano qui vicino quando è cominciato lassalto israeliano, e sono scappati per istinto verso quello che sembrava loro un luogo sicuro per chi è in difficoltà. Alcuni di loro sono cristiani. Ma tutti, in un modo o nellaltro, partecipano alle messe e alle cerimonie liturgiche che noi 35 frati continuiamo a officiare nel luogo dove è nato Gesù. In questi giorni, quando io ho celebrato messa nella Grotta della Natività, la basilica era sempre piena di persone. Sono per gran parte musulmani, ma non sono usciti. Sono rimasti dentro, in silenzio, con rispetto, e io ho detto messa davanti a loro.
Le fonti israeliane insistono nel presentarci come ostaggi tenuti sotto tiro dalle armi di chi è qui. Ma a tenerci qui è solo il desiderio di portare avanti e veder concludere bene una trattativa di pace. E di voler ancora tutelare, con la nostra inerme presenza, un luogo così caro. Anche in questa situazione così difficile abbiamo il privilegio di poterci inginocchiare nel luogo dove è nato Gesù. Basta questo. È un conforto grande.
Questa nostra situazione, mi sembra abbia qualcosa a che vedere col mistero cristiano. Con quella vicenda che proprio qui, allinizio, hanno potuto vedere i poveri pastori e i re magi. Siamo dei poveri frati inermi e disarmati. Era inerme anche Gesù Bambino, quando qui ci fu la strage degli innocenti ordinata da Erode. Noi siamo anche figli di san Francesco. Colui che andò a incontrare il sultano Malik-al Kamil, proprio al tempo in cui le nazioni cristiane dOccidente facevano le crociate per liberare i luoghi santi. Francesco venne per chiedere la pace. Al capitolo XVI della Regola si legge: "I frati che vanno tra i saraceni non facciano liti e dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani e quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore sono esposti a nemici sia visibili che invisibili". Uomini religiosi qui invocano il nome di Dio nel compiere le loro disperate azioni sanguinarie o nel giustificare le sanguinarie rappresaglie degli eserciti. Invece il cuore del cristianesimo ha qualcosa a che vedere con una inermità così.
Noi siamo anche figli di san Francesco. Colui che andò a incontrare
il sultano Malik-al Kamil, proprio al tempo in cui le nazioni cristiane d’Occidente facevano le crociate per liberare i luoghi santi
Quella che è testimoniata dalla storia di Samir Ibrahim Salman. Da più di trentanni si alzava ogni mattina per venire a suonare le campane, qui nella basilica. A Betlemme lo conoscevano tutti. Era un cristiano ortodosso che faceva anche da campanaro. Come si suol dire, una persona alla buona. Un uomo semplice di poche parole, con una vita qualunque. Tutto il suo orgoglio era in quel gesto semplice che faceva tutti i giorni. Il terzo giorno dassedio, un cecchino israeliano lo ha centrato mentre usciva di casa per attraversare la piazza della Mangiatoia, alle sei e mezza di mattina, come faceva ogni giorno per andare a suonare le campane. È morto dissanguato, perché col coprifuoco, per molte ore, nessuno gli si è potuto avvicinare per soccorrerlo. Ma il suono delle campane si sente lo stesso. Adesso le suona il fratello, che è rimasto chiuso nel convento dei greci ortodossi. Il 4 aprile, i soldati israeliani hanno sfondato una porta laterale della basilica. Quello, fino a oggi, è stato il momento più difficile per noi. Tutti i palestinesi si sono riversati nel nostro convento, cè stato anche uno scambio di colpi tra lesercito israeliano e i palestinesi armati, e ci è sembrato in quel momento che il destino di noi frati fosse quello di rimanere come vittime tra i due fuochi opposti.
Poi la situazione si è calmata. Ed è ripresa questa singolare convivenza. Noi abbiamo fornito ai gruppi che hanno riparato nel convento delle bombole di gas, e si preparano da mangiare per conto loro, nel chiostro del convento di Santa Caterina. Ci sono anche degli adolescenti. Con loro e con gli altri non parliamo di politica, ma solo delle necessità e delle cose concrete. Cerchiamo di trovare soluzioni per i loro bisogni materiali. A guardarli, fanno tutti pena. Sperano che anche la basilica verrà liberata dallassedio, il giorno che cesserà loccupazione generalizzata dei territori palestinesi. Uno di loro è ferito e non sono riusciti a estrarre le pallottole dalla sua carne.
Il 6 aprile, gli assedianti hanno provato a sparare anche a me. Alle dieci e mezzo avevo aperto la finestra della mia stanza per dare uno sguardo alla scuola della custodia di Terra Santa, di cui sono direttore. Un cecchino israeliano ha preso la mira e il proiettile mi ha sfiorato la faccia, ho sentito il suo soffio sul viso. Non so se mi aveva riconosciuto. Era lontano. Subito dopo, sono andato a dire la messa, ringraziando il Signore di questo miracolo. Ho pregato anche san Giuseppe, che protesse Gesù Bambino qui a Betlemme, quando fuggirono in Egitto.
La domenica, 7 aprile, sapevamo che il Papa allAngelus avrebbe parlato della Palestina. A mezzogiorno, abbiamo seguito lAngelus in collegamento con Roma. E abbiamo anche suonato le campane.
Sono molti i fratelli e gli amici che ci chiamano da ogni parte del mondo, ci parlano delle preghiere che stanno rivolgendo al Signore per noi. Ci chiamano i sindaci delle molte città gemellate con Betlemme e molti italiani. Ci ha telefonato spesso il vescovo di Montepulciano e quello di Fiesole. Ci ha chiamato anche Antonio Bassolino, presidente della regione Campania, e Lorenzetti, presidente della regione Umbria e quello della regione Toscana, Martini. E anche Romano Prodi.
Dal pomeriggio di domenica 7 aprile è venuta a mancare lelettricità e anche lacqua. Hanno anche occupato la Casa Nova, il nostro ostello per pellegrini, adiacente al convento. Quella notte, una squadra di soldati israeliani ha tentato il blitz nel convento, e ci sono stati degli scontri. Noi frati eravamo molto vicini. Stavamo tutti insieme nella parte del seminario. Tutti svegli, perché quella notte i colpi di mortaio e di mitraglia si sentivano vicini e avevamo paura. Quando cè stato lattacco, solo un muro ci separava dai locali in cui ci sono stati i combattimenti. Alle quattro e mezza del mattino siamo stati avvertiti che ledificio della parrocchia stava andando a fuoco. Siamo andati, abbiamo visto che era tutto bruciato, che cera un ragazzo morto sul terrazzo del convento, e che la basilica della Natività era stata gravemente danneggiata. Siamo entrati nella basilica, e abbiamo trovato tante macerie e mosaici distrutti. Il ragazzo ucciso non lo conoscevo, era uno di Gaza. Il suo corpo, oggi che scrivo, sta ancora qui, e inizia a decomporsi, perché gli israeliani non hanno permesso a nessuna ambulanza di avvicinarsi.
Il lutto di alcune ragazze palestinesi
La scuola che dirigo, fino alle vacanze di Pasqua, aveva funzionato. Quando cera la pace, in questi giorni di primavera, facevamo le gite e i saggi di fine danno. Adesso tutti gli studenti, chiusi nelle loro case, mi hanno chiamato e mi hanno detto che stanno pregando per me. Spero di poterli rivedere presto tutti quanti.