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RECENSIONE
tratto dal n. 12 - 2008

Uno stile laicale


Una scorrevole autobiografia del portavoce per l’Italia dell’Opus Dei, Pippo Corigliano


di Lorenzo Cappelletti


Pippo Corigliano, <I>Un lavoro soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei</I>, Mondadori, Milano 2008, 130 pp. , euro 17,50

Pippo Corigliano, Un lavoro soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei, Mondadori, Milano 2008, 130 pp. , euro 17,50

È appena uscito in libreria per la Arnoldo Mondadori Editore Un lavoro soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei, di Pippo Corigliano, attuale portavoce dell’Opera per l’Italia.
Bisogna essere grati a Pippo Corigliano – e in modo particolare, crediamo, lo debba essere l’Opus Dei stessa, che ha celebrato nel 2008 l’ottantesimo della sua fondazione – per questo libro sincero, in cui egli, presentandosi in forma autobiografica, presenta con ciò stesso un profilo plausibile e niente affatto pesante (secondo l’intento che egli stesso dichiara fin dall’Introduzione) dell’Opera di cui fa parte dal 1960. Attraverso la semplicità del taglio narrativo, libera in effetti l’Opus Dei dalle etichette che ne impediscono una considerazione allo stesso tempo più oggettiva e articolata. In analogia, si direbbe, con la sua stessa personale maturazione: «la mia vita» scrive «è stata una continua rimozione di pregiudizi» (p. 91).
Il libro permette di ripercorrere lo sviluppo dell’Opera in Italia attraverso la vita di questo giovane napoletano di buona famiglia che a un certo punto è conquistato dallo stile laicale e moderno dei discepoli di Escrivá de Balaguer e poi dallo stesso Escrivá. Uno stile che prevede, accanto a una forte impronta spirituale e a un adeguato impegno intellettuale, usi e costumi “normali”, di chi non deve abbandonare il mondo ma «amarlo appassionatamente», secondo il titolo di una famosa conversazione di san Josemaría (cfr. p. 27). Anche dove terminologia e abitudini dell’Opera sono un po’ particolari, come la distinzione fra membri numerari e soprannumerari, o la separazione di uomini e donne nell’opera di apostolato, Corigliano tende a semplificare tutto, ponendo l’accento piuttosto, in linea con l’impostazione data fin dall’origine da san Josemaría, sul servizio da rendere a Dio nei compiti e attraverso i compiti civili in cui ciascuno è impegnato. In buona sostanza, sulla santificazione del lavoro, come scrive più volte.
Ben presto quel giovane capace e entusiasta, dopo il tirocinio a Napoli in una residenza universitaria, si deve trasferire a Milano in quanto diventato ormai membro dell’organo direttivo dell’Opera.
Inerme, forte solo di un bel cappotto “da giornalista”, inizia nel 1970 la sua avventura milanese, che lo getta fin da subito nell’agone del mondo della comunicazione, dove in quei difficili anni Settanta si affilano le armi che egli sarebbe stato chiamato poi per tutta la vita a maneggiare, cercando di spuntare quelle avversarie.
E così è del tutto naturale – anche se la preoccupazione per la pubblica opinione nell’Opus sembra andare ben al di là della vicenda biografica di Pippo Corigliano – che i personaggi che hanno più spazio nel libro siano dei giornalisti o comunque persone che hanno o hanno avuto a che fare con il mondo della comunicazione di massa. Da Indro Montanelli a Ettore Bernabei, da Vittorio Messori a Leonardo Mondadori, da Joaquín Navarro-Valls a Giovanni Minoli. Visti non solo secondo l’angolo visuale delle loro doti professionali, ma anche del loro percorso interiore non sempre conosciuto. Ma, più ancora di costoro, la figura che ha maggior spazio (a parte san Josemaría, le citazioni del quale costituiscono l’ideale leitmotiv del volume), perché emerge come la più provvidenzialmente corrispondente al carisma del fondatore, è quella di Giovanni Paolo II. Il papa polacco, dopo la morte nel 1975 di san Josemaría, sembra ereditarne la paternità (il rapporto padre-figlio è una delle chiavi di questa autobiografia, dove si incontrano diverse luminose figure paterne, da quella del padre di Corigliano a quella del padre di san Josemaría, da san Josemaría stesso a papa Wojtyla): «I fedeli dell’Opus Dei si erano tuffati in questo abbraccio particolarmente caloroso perché c’era, per così dire, una somiglianza di stile nel vivere la vocazione cristiana. Il papa allegro, poeta, sportivo, cantore del genio femminile, assetato di verità, apostolico, capiva bene l’Opera e noi l’apprezzavamo con tutto il cuore» (p. 101). D’altronde è lui che, dopo un rapido iter, canonizzerà Escrivá nel 2002, nel centenario della nascita.
“In questo abbraccio”, altre date risultano fatidiche, come l’esatta coincidenza dell’elezione di Wojtyla con il cinquantenario dell’Opera, o l’erezione dell’Opera in prelatura personale in quel versante decisivo del pontificato wojtyliano, quasi un secondo inizio dopo l’attentato, che fu il 1982.


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