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PALAZZO DI VETRO
tratto dal n. 11 - 2003

Note dal Palazzo di Vetro

Più realismo meno manicheismo




Al Consiglio di sicurezza la risoluzione 1511 sull’Iraq 
è stata votata all’unaminità

Al Consiglio di sicurezza la risoluzione 1511 sull’Iraq è stata votata all’unaminità

Questa cinquantottesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite proseguirà sino a dicembre inoltrato. Siamo dunque oltre la metà dei lavori, e la parola d’ordine è sempre più “rivitalizzazione”. Il presidente dell’Assemblea, Julian Hunte, un veterano delle Nazioni unite, ha idee chiare e ferme sul ruolo dell’Assemblea generale e intende consacrarsi nell’anno della sua presidenza a questo tema. Vengono avanzate proposte, presentate anche dal segretario generale, dal vicesegretario e dal presidente dell’Assemblea.
Per il momento la riforma del Consiglio di sicurezza appare ancora cosmetica: favorisce l’allargamento a nuovi membri ma non tocca sostanzialmente il diritto di veto. L’Assemblea, che maggiormente rappresenta l’interdipendenza della comunità internazionale, avrebbe bisogno di aumentare la sua valenza politica, mentre le idee sul tappeto hanno riguardato finora, per lo più, il monitoraggio dell’implementazione delle sue risoluzioni e lo snellimento del lavoro superfluo. Eppure alla rivitalizzazione dell’Assemblea si è dedicato a fine ottobre un lungo e sostanzioso dibattito, aperto perfino con un ricevimento per i diplomatici partecipanti ai lavori: per rimarcare che, pur tra le iniziali incertezze, le riforme le si vuole fare.

In che modo l’attualità, in particolare quella mediorientale, entra in questi giorni nel Palazzo di Vetro? Si percepisce un po’ ovunque l’esigenza di un ordine internazionale nuovo. Lo ha auspicato chiaramente il Papa nell’ultimo messaggio per la Giornata della pace. Ma senza dubbio, per quanto criticabili, i più attivi ora nel formulare e riformulare questo nuovo ordine sembrano gli Stati Uniti. Fino a poco tempo fa la loro risposta ideale ai problemi internazionali è stata prevalentemente militare. Ora non sembra più così, e non solo per un tatticismo dovuto alle elezioni americane. Altri circoli di pensiero, fino ad oggi minoritari rispetto alla fazione militare, iniziano a riemergere, e con la risoluzione 1511 sull’Iraq la stessa Onu è ritornata al centro del dibattito. Vi sono spunti di riflessione non viziati dal precedente manichesimo e le risposte alle emergenze diventano più articolate.
Sulla questione palestinese è più difficile, per il momento, notare una convincente opera di persuasione americana. Ma quello che il Consiglio di sicurezza non approva per il veto americano, viene approvato dalla stragrande maggioranza dei 191 Paesi membri dell’Assemblea generale, che rifiutano la logica militarista di Israele.

Dal 28 al 30 ottobre l’Assemblea generale ha ospitato un dialogo ad alto livello sull’implementazione degli impegni scaturiti dalla Conferenza internazionale di Monterrey sul finanziamento dello sviluppo. Nel gergo “onusiano”, dialogo ad alto livello significa dialogo tra ministri o alti funzionari dei ministeri interessati. Per la verità, i ministri presenti si sono contati sulle dita di una mano e per i direttori generali bastavano le due mani. Mentre erano presenti in gran forza la società civile, rappresentata da varie Ong, e il settore della finanza internazionale: il presidente della Banca mondiale e il direttore del Fondo monetario internazionale, nonché i rappresentanti di varie Banche regionali dello sviluppo. «Effetto Cancun?» si chiedono alcuni osservatori. Dagli interventi della società civile è emersa chiara la constatazione che la globalizzazione ha fallito nel prevenire e sanare le grandi crisi finanziarie e nel portare avanti serie riforme economiche. La cura non può essere lasciata ai demiurghi che hanno sbagliato diagnosi e terapie, abbandonando la global governance nelle mani di Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e ministri dell’Economia e delle Finanze... Si sta affermando la volontà di creare – alla stregua del Consiglio di sicurezza di natura politica – un Consiglio di sicurezza economico e sociale, con legittimità politica. Esso servirebbe a coordinare la liberalizzazione del mercato, per evitare ad esempio le bancarotte sul modello argentino e gestire la ricostruzione di quegli Stati (come l’Iraq) che debbono pagare doppiamente: prima, perché deprivati dai governanti dei capitali per finalità diverse dallo sviluppo; dopo, perché debbono restituire con gli interessi quegli stessi capitali.


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