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ITALIA
tratto dal n. 03 - 2002

VESCOVI. L’assistenza spirituale e materiale agli immigrati

Un cappellano per i boat people


Intervista con monsignor Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce: «Prima di tutto viene l’accoglienza che è testimonianza di carità»


di Davide Malacaria


Monsignor Cosmo Francesco Ruppi

Monsignor Cosmo Francesco Ruppi

L’immigrazione clandestina, vera e propria emergenza sociale degli ultimi anni, è stata uno dei temi di discussione del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana che si è svolta a metà marzo e il cui comunicato finale è stato reso pubblico il 19 dello stesso mese. Nel documento, redatto in vista dell’assemblea plenaria della Cei che si terrà a maggio, si auspica, tra l’altro, la creazione di cappellanie per gli immigrati. Su questo e su altre problematiche legate all’immigrazione abbiamo interpellato monsignor Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce, presule che da anni si interessa delle sofferenze e dei bisogni degli immigrati, in particolare attraverso la creazione, nel marzo del 1997, del centro di accoglienza “Regina Pacis” (riconosciuto come Fondazione dal Ministero degli Interni), che in cinque anni di attività ha accolto e ospitato circa 50mila profughi.
Il documento della Cei tratta ampiamente dell’assistenza spirituale verso gli immigrati. Cosa fa in questo senso la sua diocesi?
COSMO FRANCESCO RUPPI: Non c’è dubbio che il primo impegno della Chiesa è quello dell’accoglienza, che è testimonianza di carità. L’evangelizzazione degli immigrati è cosa lenta, difficile e complessa, che va svolta tenendo conto delle circostanze in cui si opera. Nel nostro caso, con immigrati che sostano nel centro di accoglienza “Regina Pacis” mediamente per non più di trenta giorni, non si può fare. Anzi, bisogna stare molto attenti a non dare l’impressione di proselitismo smaccato, anche perché la maggior parte di loro è musulmana o ortodossa. Ma sono convinto che l’accoglienza fraterna e cordiale, l’aiuto materiale ed economico a tanta gente in difficoltà, fuggita per fame o per paura, è già un primo annuncio di fede, che colpisce e fa pensare alla nostra identità di discepoli di Cristo. Ad esempio è stata molto significativa l’esperienza fatta in occasione del Ramadan, quando abbiamo aiutato i profughi musulmani a viverlo in piena ottemperanza alla loro religione, con non pochi nostri sacrifici, perché dovevamo dare da mangiare in ore notturne… Molti ci hanno rispettato ancora di più e spero che abbiano anche compreso i motivi profondi del nostro agire… Questa è la prima evangelizzazione: la testimonianza della carità! Diverso il caso dei cristiani cattolici, come i tanti profughi arrivati dallo Sri Lanka, che hanno dato viva testimonianza di fede e coi quali abbiamo potuto fare più di quello che un buon parroco, normalmente, fa per i suoi fedeli.
Nel testo i presuli hanno sottolineato come il lavoro pastorale presso gli immigrati abbia portato molti battesimi di adulti…
RUPPI: I battesimi di adulti aumentano anche in Italia. Nel nostro centro di accoglienza e in diocesi ne abbiamo avuti parecchi, credo alcune decine l’anno. Si tratta di un cammino lungo e sempre molto cauto, perché vogliamo evitare conversioni di comodo o di interesse. L’ultimo caso, davvero emblematico, è stato il battesimo di due ragazze moldave, che hanno fatto una lunga preparazione, e quello di una profuga russa laureata in pedagogia, finita nel giro della prostituzione, che, dopo un periodo di lunga riflessione, fatta sempre nel nostro centro, ha chiesto di entrare nella Chiesa.
La Cei lamenta che il disegno di legge che regolamenta l’immigrazione sia rigido su alcuni punti. Può dettagliare?
RUPPI: Il disegno di legge in approvazione al Parlamento deve essere profondamente cambiato, sia per quanto riguarda i ricongiungimenti, sia per quanto riguarda le cosiddette quote di immigrati. Ma è la filosofia stessa dell’immigrazione che deve essere profondamente diversa. Gli immigrati non vanno solo accolti come forza-lavoro per supplire alla carenza di mano d’opera, ma vanno accolti come uomini, come poveri, nostri fratelli che possono recare a noi non solo un vantaggio economico, ma anche un arricchimento morale. Quello che mi fa più pena è il considerare l’immigrato come un reo o un potenziale reo. Questo non va! Su questo hanno preso posizione non solo i vescovi italiani, ma anche le associazioni di volontariato e tutti quelli che sanno bene (il governatore Fazio lo ha ripetuto tante volte) che gli immigrati non sono solo un problema, ma anche una risorsa, non solo economica, ma anche morale e spirituale.
A questo proposito nel testo della Cei si chiede di guardare agli immigrati soprattutto come al “prossimo”…
RUPPI: È questo un punto di particolare importanza, che preme molto ai vescovi. Il cardinal Ruini, nella sua prolusione al Consiglio permanente, ha detto che non si deve «collegare il permesso di soggiorno con il contratto di lavoro» ed ha aggiunto che la «doverosa tutela della legalità e il rispetto delle compatibilità dell’accoglienza degli immigrati vanno perseguiti all’interno di un approccio solidale e personalistico». L’immigrato è innanzitutto un fratello, una sorella. È il nostro prossimo che dobbiamo accogliere perché povero, perché fugge per paura o per una guerra. Il nuovo impianto della legge sull’immigrazione non sembra rispettare in pieno questo principio e noi vescovi dobbiamo dirlo ad alta voce, senza paura e senza remore, ricordando che anche Gesù è stato profugo e immigrato durante la fuga in Egitto.
Il documento auspica l’istituzione di cappellanie per gli immigrati. Cosa vuol dire in concreto?
RUPPI: Il problema delle cappellanie per gli immigrati, di cui si è parlato nell’ultimo Consiglio permanente della Cei, non riguarda tutte le diocesi, ma solo quelle in cui la presenza di immigrati è più missionaria e più continua. Si tratta non solo di alcune grandi città, come Roma, Milano, Napoli, ma anche di centri minori con una presenza significativa di immigrati di religione cattolica. In Puglia, per esempio, abbiamo paesi dove vi sono centinaia e centinaia di filippini o srilankesi cattolici, ai quali si deve dare una particolare assistenza religiosa; e questo lo si può fare istituendo delle cappellanie per loro. Non si tratta di parrocchie linguistiche, come ve ne sono ancora in Canada, Germania, Stati Uniti e altrove, ma di luoghi di culto con sacerdoti, possibilmente della stessa lingua, che periodicamente possano riunirli e accompagnarli nel loro cammino di fede.
Il traffico di esseri umani è attualmente un “affare” molto proficuo per la criminalità organizzata, che lucra guadagni altissimi. Alcune fonti parlano di “viaggi” acquistati anche con la “donazione” di organi. Le risulta?
RUPPI: Il traffico di essere umani continua e il problema dell’immigrazione clandestina, col relativo sfruttamento da parte di scafisti senza scrupoli e associazioni malavitose, è uno dei macigni che gravano sull’immigrazione. Contro questa piaga lo Stato deve essere fermo e severo: nessuna legittimazione o indulgenza con chi sfrutta la povertà altrui e con coloro che traghettano moltitudini di poveri, lucrando somme ingenti di denaro. Ma l’equazione immigrato uguale reo non si può accettare. Quanto al traffico di donne e di bambini, abbiamo molte prove. Nel nostro centro abbiamo accolto finora oltre un migliaio di ex prostitute e nelle due sezioni estere della Fondazione, erette in Moldavia e Ucraina, abbiamo seguito il percorso di tale indegno traffico di donne. Quanto al traffico di bambini e di organi, ne sento parlare da più parti, ma, al momento, non abbiamo notizie dirette, da noi stessi controllate. È da anni che andiamo ripetendo che lo sfruttamento degli immigrati va stroncato con fermezza e decisione, ma l’accoglienza va fatta come si conviene a una nazione civile, democratica, con profonde radici cristiane. L’immigrazione non la ferma nessuno. Va accolta, disciplinata e regolata, non con i nervi, ma con la testa e con il cuore.


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