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PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA
tratto dal n. 05 - 2009

BENEDETTO XVI. Immagini, ricordi e bilanci del suo pellegrinaggio

«Una benedizione per tutti»


Intervista con Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme: «Nei gesti e nelle parole del Papa abbiamo trovato coraggio, verità, amore, umiltà»


Intervista con il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal di Gianni Valente


Benedetto XVI in preghiera nella Grotta della Natività <BR>[© Osservatore Romano]

Benedetto XVI in preghiera nella Grotta della Natività
[© Osservatore Romano]

Il Papa pellegrino in Terra Santa ha attraversato con passo lieve l’intreccio di storie, vicende e passioni umane, politiche e religiose che oggi si concentrano tra Giordania, Israele e Territori palestinesi, nei luoghi dove è vissuto Gesù. Prima che partisse, più di qualcuno aveva scosso la testa, giudicando azzardata la scelta di una visita papale in una regione in cui le ferite dell’ultima guerra erano ancora aperte.
Anche per Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme da poco più di un anno, i giorni del pellegrinaggio papale sono stati una specie di prova del fuoco. Con la sincerità che lo contraddistingue, non aveva nascosto perplessità e preoccupazioni che circolavano anche nella comunità cattolica di Terra Santa alla vigilia della visita papale. Adesso, traccia per 30Giorni un bilancio di tutt’altro segno.

Ora che è passato un po’ di tempo, che giudizio complessivo dà della visita di Benedetto XVI in Terra Santa?
FOUAD TWAL: È stata una benedizione per tutti. Nei gesti e nelle parole del Papa abbiamo trovato coraggio, verità, amore, umiltà.
Eppure proprio lei, prima della visita, aveva confermato i dubbi che circolavano anche nella comunità cristiana.
TWAL: In effetti c’erano alcune paure e un po’ d’angoscia. La visita papale sarebbe avvenuta in un momento difficile, in una regione difficile, dove negli ultimi mesi c’era stata un’overdose di sensibilizzazione, dopo la guerra a Gaza. Si temeva che una delle due parti in conflitto potesse tentare di monopolizzare la visita.
Cosa ha contribuito a far sì che ciò non accadesse?
TWAL: Abbiamo espresso tutte le nostre osservazioni e riserve alla Santa Sede. E siamo grati alla Segreteria di Stato che ha preso in considerazione le nostre paure. E i discorsi sono stati molto ben fatti, equilibrati e allo stesso tempo segnati da un coraggio che altri dirigenti politici non hanno. Segnati soprattutto da un amore per questa terra e per i popoli che la abitano.
C’è un’immagine particolare che conserva della visita papale?
TWAL: Un’immagine sola non rende. Ho accompagnato il Papa per tutto il tempo, e avrei bisogno di un album… Mi hanno colpito soprattutto i momenti in cui si avvicinava alle persone, che magari rimanevano impacciate perché non erano preparate a una tale circostanza. E allora lui con tutta calma e con una faccia da bambino li ha salutati con delicatezza, mostrandosi loro in atteggiamento familiare. Noi in alcune situazioni eravamo nervosi e impazienti. Lui invece era sempre sereno.
Prima che avvenisse la visita papale, tutti insistevano sul suo carattere pastorale. Forse per cautelarsi da strumentalizzazioni politiche.
TWAL: E infatti, confermando i fratelli nella fede, ci ha richiamato tutte le dimensioni spirituali della vita di fede in Terra Santa: la preghiera, il pellegrinaggio… Ha invitato i cristiani a non andare via, ha invitato a rimanere, perché la nostra terra è santa e bella. Si è rivolto anche a tutti i nostri fratelli cristiani. Le due visite, compiute con tutta calma e umiltà, al patriarcato ortodosso e a quello armeno gli hanno dato occasione di dire che non è il caso di aggravare con le nostre separazioni i tanti dolori che ha sofferto e soffre questa terra. Papa Benedetto ha sempre messo l’accento sulla preghiera come strumento per chiedere al Signore la nostra unità, lasciando a Lui il come e il quando essa si potrà realizzare.
Benedetto XVI con il patriarca Fouad Twal in piazza della Mangiatoia,  dove ha celebrato la santa messa, Betlemme, 13 maggio 2009 [© Osservatore Romano]

Benedetto XVI con il patriarca Fouad Twal in piazza della Mangiatoia, dove ha celebrato la santa messa, Betlemme, 13 maggio 2009 [© Osservatore Romano]

Comunque, poi, i risvolti politici non sono mancati.
TWAL: La dimensione politica non manca mai, qui in Terra Santa. E nei suoi incontri con le autorità in Giordania, Palestina e Israele certamente c’è stato un aspetto politico. Il Papa voleva ripetere che la Terra Santa ha una sua vocazione di santità. È quello che vorremmo tutti, ma proprio per questo non si può prescindere dalla situazione concreta del momento, che è una situazione di conflitto. Mi è piaciuto tanto l’ultimo discorso, rivolto al presidente Peres, prima della partenza. Il Papa, senza fare condanne astratte, ha detto con tono personale che durante la visita che aveva avuto la grazia di compiere, una delle visioni che più gli aveva causato tristezza era stata quella del muro. Un modo nobile e pacato per dire con umiltà e amore che questi muri certo non servono a creare un contesto di pace, dialogo e speranza.
Lei, prima del viaggio, aveva detto che la visita del Papa era come una bella torta di cui tutti volevano accaparrarsi un pezzo. Alla fine, chi ha preso la fetta più grande?
TWAL: Noi, la Chiesa locale, la comunità cristiana di qui. È venuto per confermarci nella nostra fede, nella nostra missione, nel nostro dialogo, nel nostro dolore, nella nostra via crucis. Credo che per i nostri fedeli sia stato bellissimo vedere che c’è qualcuno che prega per loro, che pensa a loro, e che questo qualcuno è il Papa! Benedetto XVI ha chiamato la Chiesa universale a pensare alla Terra Santa, a venire in Terra Santa. Ci ha esortato tante volte, sia in Giordania che a Betlemme e a Gerusalemme, a non aver paura, ad accorgerci che non siamo dimenticati. Questo carica le nostre batterie in modo bellissimo.
E adesso, vi aspettate che cambi qualcosa?
TWAL: Me lo chiedono in tanti. Non è che di per sé dalla visita ci siano da aspettarsi cambiamenti miracolosi. Però con le sue parole e i suoi gesti il nostro caro Santo Padre ha seminato tanto, sia localmente sia a livello internazionale sia a livello della Chiesa universale. Con calma, con la grazia di Dio e con l’aiuto di tutti gli amici, a cominciare dalle Chiese sorelle d’Italia, i frutti verranno. Tanti organismi stanno chiedendo di incontrarmi per chiedermi cosa possono fare per noi. Ora tocca anche a noi essere al livello di questa fiducia del Santo Padre. E fare bene il nostro lavoro qui. Durante la celebrazione dei Vespri a Nazareth il Papa ha paragonato la condizione dei cristiani in Terra Santa a quella di Maria, che proprio a Nazareth condusse una vita nascosta, «con ben poco quanto a ricchezza o ad influenza mondana». Ci ha esortato ad avere il coraggio «di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza».
Come ricorda l’incontro tra il Papa e la delegazione venuta da Gaza?
TWAL: Da Gaza dovevano venire duecento cristiani. Alla fine Israele ha concesso i permessi solo a quarantotto persone. Hanno
TWAL: Hanno messo le mani sui fondi di alcune scuole in Galilea, che servono per pagare gli stipendi ai professori. Il nunzio, bravissimo, da diplomatico non ha voluto aggravare la situazione né allarmare l’opinione pubblica. Ma le confische ci sono state. Successivamente, i responsabili del governo hanno assicurato che non ci saranno altri casi in avvenire. Lo ha detto anche l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. Siamo contenti e ringraziamo le autorità israeliane. Del resto, c’è un articolo nel General Agreement che avverte che finché durano le trattative sullo status fiscale delle proprietà ecclesiastiche, non ci possono essere modifiche unilaterali del regime corrente. Ma ci sono alcuni funzionari che forse non lo sanno… D’altronde nella società israeliana non mancherà mai l’una o l’altra voce che si dichiara scontenta della visita del Santo Padre. Peggio per loro. Non possiamo farci niente.
E sull’altro fronte, quello di Hamas?
TWAL: La reazione degli uomini di Hamas è stata molto positiva sulla visita del Papa, specialmente quando hanno saputo che ha visitato un campo di rifugiati, che è voluto stare accanto a quelli che soffrono, per dare speranza di ritorno a tutti i rifugiati del mondo. E se il ritorno non ci sarà, che almeno si possano trovare giuste compensazioni e individuare il modo di vivere in pace e dignità.
Benedetto XVI saluta i bambini del Caritas Baby Hospital, a Betlemme, il 13 maggio 2009 [© Osservatore Romano]

Benedetto XVI saluta i bambini del Caritas Baby Hospital, a Betlemme, il 13 maggio 2009 [© Osservatore Romano]

Un confronto con le precedenti visite papali di Paolo VI e Giovanni Paolo II?
TWAL: Non vedo l’utilità di questi confronti. Sono diversi i contesti, le persone, gli stati d’animo… Ciascun Papa è stato bravo e ha fatto bene nel suo momento. The right man, in the right place, at the right time… E tutto è andato bene, grazie a Dio.
Lei avrà poi ascoltato il discorso di Obama al Cairo…
TWAL: Fantastico.
Cosa l’ha convinta di più, in quel discorso?
TWAL: Era tanto che aspettavamo che si cambiasse “testa”, discorsi, approccio. Si potrà anche non essere d’accordo al cento per cento, ma il discorso di Obama era chiaro, coraggioso, e guardava al bene di tutti quanti, israeliani e arabi, chiamando tutti a cambiare discorsi e ad avere più fiducia gli uni negli altri, nell’avvenire, in Dio. Era proprio quello che ci voleva.
C’è chi ha notato diversi punti di contatto tra il discorso di Obama e le cose dette dal Papa in Terra Santa.
TWAL: Sì. Hanno messo l’accento sui punti cruciali. E Obama, quando ha parlato dei palestinesi, ha specificato che essi sono musulmani e cristiani.
Grazie, beatitudine.
Mi raccomando: mandate un saluto speciale a tutti i vostri lettori. Non lo dimentichi.


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