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IL VIAGGIO DEL PAPA NELLA...
tratto dal n. 09 - 2009

L’analisi di un vaticanista

Benedetto XVI e il dialogo con i non credenti


L’egemonia agnostica praghese è diventata indicatore dell’ateismo pratico diffuso in Europa. Un ateismo non ideologico e programmatico, un ateismo soft per il quale Dio è indifferente. Così, parlando da Praga, il Papa parlava all’Europa di oggi


di Marco Politi


Benedetto XVI accolto dalla folla a Stará Boleslav in occasione della santa messa nella ricorrenza liturgica di san Venceslao, il 28 settembre 2009 [© Associated Press/LaPresse]

Benedetto XVI accolto dalla folla a Stará Boleslav in occasione della santa messa nella ricorrenza liturgica di san Venceslao, il 28 settembre 2009 [© Associated Press/LaPresse]

Papa Ratzinger bisogna sentirlo dal vivo, nelle conversazioni spontanee e immediate. È lì che il Pontefice tedesco riesce a trasmettere efficacemente in poche frasi il senso del suo pensiero, aprendo uno squarcio su prospettive che occupano da tempo la sua mente, o rivelano la determinazione nell’affrontare un problema difficile.
È successo ancora nel settembre scorso quando, recandosi a Praga, ha indicato la necessità che i credenti siano capaci di aprire un dialogo con coloro che non credono. Il contributo della Chiesa allo sviluppo della società ceca, ha spiegato Benedetto XVI ai reporter sull’aereo papale, esige un «dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno l’uno dell’altro».
Praga, in questo senso, è lo specchio di una crisi del regime di cristianità dei secoli passati. Se ancora prima della guerra i cattolici erano più dell’ottanta per cento della popolazione cecoslovacca, attualmente nella Repubblica Ceca due terzi della popolazione dichiarano di non credere in Dio. Non bastano i quarant’anni di regime comunista – benché particolarmente repressivo e persecutorio nei confronti delle strutture ecclesiastiche – a spiegarlo. Il fenomeno è più profondo. Nel ventennale della caduta del Muro di Berlino, cui seguì il dissolversi del dominio sovietico nell’Europa orientale, l’egemonia agnostica praghese è diventata indicatore dell’ateismo pratico diffuso in Europa. Un ateismo non ideologico e programmatico come quello dei partiti comunisti un tempo alleati dell’Urss e propagandisti del materialismo storico. Piuttosto un ateismo soft, che frequentemente non proclama nemmeno l’inesistenza di Dio, ma vive nei comportamenti di uomini e donne per i quali Dio non è un problema né un interrogativo, per i quali in ultima istanza Dio è indifferente.
Ecco perché Benedetto XVI ha sentito il bisogno di intervenire. Parlando da Praga, parlava all’Europa di oggi. Rispondendo ai giornalisti, puntava l’attenzione su una questione con cui la Chiesa contemporanea deve misurarsi.
«L’agnostico», ha detto a noi giornalisti che lo seguivamo, «non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede». Il credente d’altra parte non può crogiolarsi nella convinzione di avere già tutto risolto. «Il cattolico» ha sottolineato papa Ratzinger con finezza «non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancor di più». E qui il Pontefice ha fatto un’aggiunta significativa: «Nel dialogo con gli altri» il cattolico deve «re-imparare Dio in modo più profondo».
Il tema non è nuovo nel pensiero di Ratzinger. Già nelle sue riflessioni da cardinale aveva citato l’esempio dell’antica città di Magdeburgo in Germania, dove soltanto l’otto per cento degli abitanti è credente. E questa esigua percentuale, notava il futuro Pontefice, comprende i cristiani di tutte le confessioni: cattolici, protestanti, ortodossi…
D’altronde tutto l’insistere del teologo Joseph Ratzinger sul confronto tra fede e ragione è un modo di affrontare la stessa problematica da diverse angolazioni. La ragione, affermò una volta, serve per purificare la religione dalle sue patologie, mentre la fede ha la vocazione di spingere la ragione ad andare “oltre”, a non fermarsi sul piano dell’immanenza. «Una comprensione della ragione sorda al divino, che relega le religioni nel regno della subcultura», ha detto Benedetto XVI nel Castello di Praga incontrando il mondo accademico, «è incapace di entrare in quel dialogo delle culture di cui il nostro mondo ha così urgente bisogno».
Da notare che qui il Pontefice usa il plurale: religioni. Come per sottolineare che l’insieme del fenomeno religioso non può essere espulso ideologicamente dalla storia. Così come plurale è l’approccio con cui Benedetto XVI descrive nello stesso discorso l’anelito umano per la libertà e la verità. «È a questo anelito che cercano di rispondere la fede religiosa, le varie arti, la filosofia, la teologia e le altre discipline scientifiche».
La sfida è alta. Il Papa la sente particolarmente, perché la non-credenza è una scelta e un atteggiamento mentale e culturale, che percorre l’Europa contemporanea. Più ancora che nel ventesimo secolo, uomini di scienza, della cultura, dell’arte, dell’istruzione sono oggi caratterizzati da un agnosticismo di massa, che spesso non riveste l’abito dell’anticlericalismo o di prese di posizione aspramente antireligiose, ma si contraddistingue piuttosto per un silenzioso e intimo non-credere nella quotidianità più normale. E il primo passo, specie nelle generazioni giovanili, avviene attraverso un lento distanziarsi dalla visione cattolica tradizionale. Mi fece impressione qualche anno fa, quando Benedetto XVI si recò a Valencia per l’Incontro mondiale delle famiglie, scoprire dai sondaggi riportati dalla stampa spagnola che più della metà della gioventù non credeva in Dio. Si tratta di movimenti profondi nel corpo sociale che vanno al di là dei pochi anni di governo zapaterista. E d’altra parte nella stessa Italia recenti ricerche dell’Osservatorio socioreligioso del Triveneto, condotte su impulso delle autorità ecclesiastiche, dimostrano ad esempio che in tre città-chiave come Trieste, Venezia e Pordenone la maggioranza dei giovani non crede più al «Dio cristiano». Al Dio personale e trinitario crede a Trieste soltanto il trentotto per cento, a Venezia il quarantatré, a Pordenone il quarantasei. L’altra metà, più o meno, preferisce fare riferimento all’esistenza di una non meglio definita “Realtà superiore”.
Qui siamo nella terra inesplorata dell’intimo dove si incrociano ricerca e dubbi personali, indifferentismo, agnosticismo. Una dimensione che a sua volta ha le proprie tavole di valori. È un problema che va al di là del dato numerico. Forse in Italia e in Europa gli atei convinti vanno dal cinque al dieci per cento al massimo. A New York, secondo l’ultimo sondaggio sulle opzioni religiose, un milione di abitanti sarebbero non-credenti. Ma l’area agnostica, spesso indefinibile, pone soprattutto un interrogativo qualitativo. In ultima istanza diventa – come Benedetto XVI ha ben colto – un interlocutore con cui la Chiesa deve fare i conti.
Benedetto XVI durante l’incontro con il mondo accademico nella Sala Vladislav del Castello di Praga, il 27 settembre 2009 [© Osservatore Romano]

Benedetto XVI durante l’incontro con il mondo accademico nella Sala Vladislav del Castello di Praga, il 27 settembre 2009 [© Osservatore Romano]

Non è un caso che il Trattato costituzionale europeo auspichi un dialogo permanente e trasparente tra le autorità della Ue e le «Chiese e i movimenti filosofici». È a quell’area agnostica, ma pure portatrice di istanze etiche, che il Trattato fa riferimento nel paragrafo in questione. Ed è una sfida che la Chiesa si sta ponendo proprio perché accanto al pluralismo religioso si va facendo strada, come ricorda spesso il teologo Enzo Bianchi, il problema del «pluralismo etico».
Dell’esigenza di non ignorare idealità di diversa provenienza aveva già tenuto conto Giovanni Paolo II, inviando il 27 gennaio 2005 ad Auschwitz il cardinale Jean-Marie Lustiger con un messaggio per il sessantesimo anniversario della liberazione del lager. Nell’inferno dei campi di concentramento, in quell’«indescrivibile cumulo di male», aveva sottolineato, la fiamma dell’umanità è stata tenuta alta nonostante tutto dall’amore cristiano e da quanti erano ispirati da «nobili ideali». Ma con particolare delicatezza papa Wojtyla aveva affrontato il tema del dialogo fra credenti e non-credenti nella sua visita in Campidoglio del gennaio 1998. Da civis romanus, quale si proclamò, Giovanni nza rispettosa tra uomini e donne di religioni e idealità diverse».
Dunque, indicato da due pontefici, è già delineato il campo del confronto tra i credenti e quanti nella società guardano a un orizzonte non segnato dalla trascendenza. A Praga, ha commentato il direttore de L’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, Benedetto XVI ha mostrato la via di un dialogo «nel rispetto reciproco e nella ricerca del bene comune e della verità».
E tuttavia, proprio rifacendosi alla situazione di minoranza in cui i cristiani possono trovarsi in varie parti d’Europa, papa Ratzinger si è premurato di puntare l’attenzione sull’elemento fondamentale di qualsiasi dialogo. Si dialoga solo se si è credibili nella testimonianza quotidiana. È ciò che ha sottolineato Benedetto XVI con parole chiare ed essenziali durante la messa accanto alla tomba di san Venceslao a Stará Boleslav: «C’è oggi bisogno di persone che siano “credenti” e “credibili”, pronte a diffondere in ogni ambito della società quei principi e ideali cristiani ai quali si ispira la propria azione». Ed essere credibile, ha soggiunto con riferimenti che valgono per ogni ambito (dal più umile al più prestigioso), significa avere un comportamento «coerente con i principi e la fede che si professa».


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