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RICOSTRUZIONI
tratto dal n. 01 - 2010

Quegli incontri al circolo “Dante e Leonardo”


Febbraio 1940: l’Italia fascista si prepara a entrare in guerra, ma a Roma, tra piazza Sant’Agostino e il liceo Visconti, avvengono alcuni incontri tra giovani cattolici antifascisti che in futuro segneranno le dinamiche politiche dell’intero movimento cattolico e del suo rapporto con la Chiesa. Tra questi ragazzi, Franco Rodano, Giulio Andreotti e Adriano Ossicini


di Fabio Silvestri


La chiesa di Sant’Agostino, nell’omonima piazza romana dove 
negli anni Trenta avevano la propria sede la Fuci e il circolo culturale “Dante e Leonardo”

La chiesa di Sant’Agostino, nell’omonima piazza romana dove negli anni Trenta avevano la propria sede la Fuci e il circolo culturale “Dante e Leonardo”

Ci sono degli incontri che, anche al di là delle personalità che li hanno caratterizzati, hanno un valore emblematico così particolare che non solo mantengono la loro attualità nel tempo ma, in particolare nelle ricorrenze anniversarie, vengono riproposti con singolare efficacia. Non credo che Giulio Andreotti, Adriano Ossicini e Franco Rodano si rendessero conto, allora, che i loro per certi aspetti differenti (e a tratti convergenti) impegni culturali e politici, legati a un singolare incontro del 1940, avrebbero avuto un significato particolare specie per il laicato cristiano che oggi, anche sulla scia delle recenti indicazioni del cardinale Angelo Bagnasco, si spinge a fare delle utili riflessioni. Certo non si poteva prevedere a quel tempo come si sarebbe sviluppata la lunga e complessa vicenda della Sinistra cristiana (che dal 1937 al 1945 ha svolto un singolare e incisivo ruolo all’interno del cattolicesimo italiano prima nel duro periodo della lotta al fascismo e all’occupazione nazista, e poi nelle difficili e articolate dinamiche legate alla “logica di Yalta” e alla spartizione del mondo in due, contrapposti, blocchi di potenza), né la decisiva vicenda, per la storia del nostro Paese, della Democrazia cristiana.
Ma, in particolare, appare utile ripercorrere quegli eventi perché sono trascorsi esattamente settant’anni da quando avvenne, all’interno di un circolo culturale romano intitolato a Dante e Leonardo (strettamente collegato al Pontificio Istituto Sant’Apollinare e ubicato nello stesso stabile che ospitava i locali della Fuci), il primo incontro tra Ossicini e Rodano, occasionato dal fatto che lo stesso Rodano venne invitato al “Dante e Leonardo” per tenere una conferenza su Carducci: da quell’incontro infatti prese le mosse un dialogo che si rivelerà di notevole importanza non solo per quel che riguarda le vicende interne al movimento della Sinistra cristiana – che da quel momento intraprese un nuovo corso e una testimonianza che si rivelò di grande valore storico e politico –, ma, più largamente, per quel che riguarda nel loro complesso le dinamiche politiche dell’intero movimento cattolico. Sotto questo aspetto, quello tra Adriano Ossicini e Franco Rodano non rappresentò solo il momento di incontro tra due formazioni culturali, politiche e anche religiose differenti, ma, per il modo e per il contesto in cui avvenne, fu anche un fondamentale punto di svolta all’interno dello stesso laicato cattolico, a partire dal quale si può tranquillamente affermare che, di fronte a un mondo cattolico che si trovava in una situazione particolarmente critica soprattutto dopo la decisione mussoliniana di entrare ufficialmente in guerra a fianco della Germania nazista, si vennero a delineare, sostanzialmente, tre grandi esperienze le quali, anche grazie alla singolarità dei personaggi che le rappresentavano, erano destinate a esercitare per tutto il secondo Novecento, sia pure per vie diverse e attraverso percorsi politici e teorici molto differenti, una particolare influenza sul piano religioso, politico e culturale oltre che, naturalmente, su quello storico.
Infatti, si può affermare che all’interno di un mondo cattolico che era ancora, anche grazie alla politica concordataria del regime, saldamente legato al fascismo (e che aveva visto in molti casi anche la Chiesa cattolica non andare oltre a forme di polemica piuttosto generica nei confronti della guerra, ma senza che questo significasse una precisa azione nei confronti del fascismo stesso), l’antifascismo costituisse un fenomeno piuttosto limitato a piccoli e coraggiosi gruppi, perlopiù provenienti dall’esperienza del Partito popolare, collegati, per un verso, ad Alcide De Gasperi e a uomini come Giuseppe Spataro, e per altro verso agli esponenti della cosiddetta “ala sinistra” del popolarismo – i quali si trovavano prevalentemente in esilio fuori dall’Italia – tra cui Guido Miglioli, Giuseppe Donati e Francesco Luigi Ferrari. All’interno di questo quadro, però, si segnalavano in particolare a Roma tre singolari eccezioni, che ebbero già allora, e poi lo mantennero in prospettiva, un particolare valore storico e politico: il già citato circolo studentesco cattolico “Dante e Leonardo”, fondato prima dell’avvento del fascismo da alcuni autorevoli dirigenti del Partito popolare, tra cui Mario Cingolani ed Egilberto Martire; la Fuci (Federazione universitaria cattolici italiani), che, come abbiamo detto, aveva la propria sede in piazza Sant’Agostino, nello stesso edificio che ospitava il “Dante e Leonardo”; e infine la congregazione mariana della “Scaletta”, guidata dai Gesuiti e annessa al liceo ginnasio Visconti.
Franco Rodano

Franco Rodano

Si trattava di realtà eterogenee anche sul piano del rapporto con il problema dell’antifascismo. La Fuci, ad esempio, risentiva profondamente della determinante influenza su questo piano di Igino Righetti e di monsignor Giovanni Battista Montini, e si segnalava per l’avere da sempre assolto un preciso ruolo nella formazione antifascista dei giovani cattolici, e che però non intendeva uscire dai limiti di quest’ambito. Ad avere un ruolo di rilievo all’interno della Fuci stessa era naturalmente uno dei suoi dirigenti di maggior spicco, il giovane Giulio Andreotti, il quale, sostanzialmente antifascista e profondamente impegnato nell’azione formativa della sua organizzazione, ebbe una posizione di particolare importanza nello stesso dialogo tra Ossicini e Rodano. I giovani della congregazione “La Scaletta”, invece, facevano riferimento all’unico liceo di Roma in qualche modo antifascista (oltre, naturalmente, al Sant’Apollinare), e avevano, anche grazie all’opera dei gesuiti, una formazione filosofica fondamentalmente tomista, mentre sul piano politico (in forza dell’azione condotta al Visconti anche da personalità quali quella del giovane Paolo Bufalini) stavano compiendo un complesso itinerario culturale che andava da una sostanziale adesione al fascismo a posizioni, in un primo momento, di tipo liberalsocialista (sulle quali determinante fu l’influenza di Benedetto Croce), e, in un secondo momento, di tipo fondamentalmente marxista. Ad avere particolare rilievo all’interno di questo gruppo era la figura di Franco Rodano, personalità di straordinario livello sul piano culturale e religioso e profondamente antifascista sul piano politico. E, come è noto, furono proprio il profondo impegno politico e religioso, così come la straordinaria cultura di Franco Rodano, a impressionare Adriano Ossicini che, dopo avere assistito alla già ricordata conferenza su Carducci, chiese allo stesso Rodano di avere un colloquio, in seguito al quale il cosiddetto gruppo della “Scaletta”, pur differente da quello di Ossicini, si unì al gruppo primigenio della Sinistra cristiana.
A questo proposito, in una lettera inviata il 10 aprile del 1946 al noto musicologo Fedele D’Amico (con il quale aveva condiviso un lungo e complesso impegno politico che si era protratto per circa otto anni), e commentando il drammatico processo che aveva portato, nel precedente mese di dicembre, allo scioglimento del partito della Sinistra cristiana, lo stesso Ossicini affermava che «non c’erano due anime, come alcuni cominciano ad affannarsi a predicare, nella Sinistra cristiana, l’una laica e l’altra non laica, attribuendole a comodo alternativamente a me e a Rodano, ma c’era anche la convergenza di due filoni culturali»; e poi specificava ulteriormente che «anche il nostro cattolicesimo era… differentemente vissuto. Quello di Rodano e dei suoi amici profondo, radicato e, seppure non integralista, e non illuminista, estremamente preoccupato dell’ortodossia fino ad atteggiamenti antimodernisti, rigidi, mentre io ho sempre creduto al bisogno di correre anche i rischi di un modernismo che voleva la Chiesa aggiornata nella Storia».
Adriano Ossicini, difatti, si era formato in una cultura antifascista che faceva riferimento, in prevalenza, alle esperienze politiche che furono alla base dell’originale proposta sturziana (il padre di Ossicini, Cesare, era stato uno dei fondatori del Partito popolare), e in particolare alle posizioni teoriche di Francesco Luigi Ferrari, e che si richiamavano sul piano teorico all’esperienza di Rosmini, Murri e Buonaiuti. Ed era arrivato al circolo “Dante e Leonardo”, dopo la morte del padre antifascista, soprattutto per la sua appartenenza al Sant’Apollinare. Ma in quel momento, a differenza degli stessi Andreotti e Rodano, Ossicini era l’unico impegnato fin dal dicembre del 1937 (anno in cui venne fondata la Sinistra cristiana) in una concreta e organica azione politica di lotta contro il fascismo, che lo aveva portato, tra le altre cose, a entrare in rapporto con Giulio Andreotti fin dall’aprile del 1938, durante il celebre convegno della Fuci di Orvieto. In quell’occasione Ossicini aveva pronunciato, creando una profonda crisi interna e subendo le ire della polizia, una violenta requisitoria contro il fascismo e il razzismo, al termine della quale, tra lo sgomento e il timore generale, soltanto Andreotti ebbe il coraggio di stringergli la mano.
Adriano Ossicini nel laboratorio di analisi dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma nel1940 [© Anderson, Archivi Alinari, Firenze]

Adriano Ossicini nel laboratorio di analisi dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma nel1940 [© Anderson, Archivi Alinari, Firenze]

nvinto assertore della tesi che assegnava al Partito comunista italiano un fondamentale ruolo storico e politico e, in questo senso, condusse un’azione di singolare importanza che lo portò, da un lato, a mantenersi sempre all’interno di una posizione rigorosamente ortodossa sul piano religioso (anche grazie alla propria formazione di derivazione tomista), e dall’altro lato a combattere a lungo per due obiettivi: il ruolo fondamentale che i cattolici erano chiamati ad assolvere nel Pci, contribuendone al processo di deideologizzazione, e lo stabile accordo tra lo stesso Partito comunista e la Democrazia cristiana, nella prospettiva di quello che venne poi chiamato “Compromesso storico”.
Ossicini, invece, che come abbiamo detto proveniva da una formazione che si rifaceva politicamente alla particolare tradizione della Sinistra popolare, e culturalmente tanto all’influenza di Rosmini quanto a uno stretto rapporto con le posizioni laiche di Guido Calogero, è stato a lungo alleato del Partito comunista (sia nel periodo della Resistenza che in quello successivo della ricostruzione del Paese) sul piano pragmatico della lotta politica; ma coerentemente con una polemica da sempre sostenuta nei confronti del ruolo teorico e politico del comunismo internazionale, ha mantenuto nel tempo una posizione di sostanziale indipendenza che ha trovato un proprio sbocco naturale, sul piano politico e parlamentare, nell’esperienza della Sinistra indipendente, che si propose in qualche modo l’obiettivo di condurre la dialettica politica del nostro Paese verso una condizione di reale alternativa democratica.
Al di là dell’importanza dei personaggi coinvolti, ricordare oggi quel lontano incontro del 1940 riveste un particolare valore politico, perché alla base di quel dialogo vi furono alcuni elementi di fondo che rivelano, all’interno della dialettica politica, un’importanza determinante: il fondamentale ancoraggio etico della politica, unito alla convinzione che anche il bisogno di uscire dai limiti delle ideologie non debba tradursi in una prassi politica che abbandoni quell’ancoraggio; e il ruolo decisivo del “dialogo”. Ripartire anche da quelle lontane esperienze significa, in un’epoca storica di profonda crisi politica e sociale, richiamare la politica alla necessità di una rifondazione che possa tornare a riproporla come un elemento di decisiva importanza nella difficile vicenda della condizione umana.


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