IRAQ. Intervista con il nuovo patriarca della Chiesa caldea
"Siamo stati liberati o occupati?"
«Politicamente siamo stati liberati dal vecchio regime, di fatto siamo occupati. E al popolo, a qualsiasi popolo, questo non piace». Emmanuel III Delly, patriarca dei Caldei, spiega la situazione della popolazione irachena dopo il crollo del regime di Saddam, gli errori degli Usa, il rapporto attuale della sua piccola comunità cristiana con la maggioranza islamica
di Gianni Cardinale

Emmanuel III Delly, il neoeletto patriarca di Babilonia dei Caldei
La votazione si è svolta a Roma perché nella prima tornata elettorale, tenutasi a Baghdad tra la fine di agosto e i primi di settembre, nessun candidato ha ottenuto i voti necessari all’elezione. La sera stessa del 3 dicembre il Papa ha ricevuto il nuovo patriarca, insieme ai vescovi del Sinodo, e gli ha concesso l’ecclesiastica communio. Il giorno successivo nella basilica di San Pietro si è svolta, secondo la prassi, la solenne messa concelebrata dal nuovo patriarca e dal prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il cardinale Ignace Moussa I Daoud.
Delly è stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1952 a Roma nel Pontificio Collegio Urbano di Propaganda Fide. Nel 1962, a soli 35 anni, è stato eletto ausiliare del patriarca caldeo Paul II Cheikho. Incarico che ha conservato anche dopo il 1989 quando è diventato patriarca Bidawid. Delly, al compimento dei 75 anni, lo scorso anno aveva rinunciato all’ufficio diventando ausiliare emerito. È rimasto comunque un prezioso punto di riferimento per la comunità caldea – ma non solo – durante la campagna irachena scatenata dagli Stati Uniti e il successivo, turbolento dopoguerra, in cui l’Iraq è ancora immerso.
Bøatitudine, il Papa, nell’udienza concessa a lei e ai membri del Sinodo dopo la sua elezione a patriarca, l’ha definita «Capo e Padre» della Chiesa caldea. Quale saranno le sue principali preoccupazioni nello svolgimento di questo delicato ufficio?
EMMANUEL III DELLY: Da un punto di vista sociale il popolo si aspetta che il nuovo patriarca, che il suo nuovo “Padre”, sia il suo avvocato presso chi detiene il potere civile. Che faccia tutto il possibile affinché regni la pace, la tranquillità, la stabilità e soprattutto la sicurezza, che è quella che più ci manca. Le condizioni di sicurezza sono infatti il prerequisito per il ritorno a una vita normale. Da un punto di vista religioso il popolo ci chiede di offrire loro Gesù Cristo e di essere fedeli testimoni del Vangelo. Perché quando ci vedono devoti alla nostra missione di dare la pace e la carità, allora sono contenti. E speriamo di riuscire in questo.
In che modo secondo lei la comunità internazionale può aiutare l’Iraq?
DELLY: Chiediamo alla comunità internazionale di collaborare per cercare di accontentare il popolo. Prima, ad esempio, il governo garantiva un minimo di razioni di cibo. Sono venuti i liberatori e invece di aumentare queste razioni, le hanno tolte. Allora abbiamo chiesto: accontentate il popolo, date loro dei buoni in dollari per comprare da mangiare. Abbiamo già sofferto tanto durante tredici anni di embargo! Se così fosse stato il popolo sarebbe stato più contento, più riconoscente non verso gli occupanti, ma verso i liberatori! Il popolo cristiano, ma anche i nostri fratelli musulmani, si aspettano da me, come dai capi musulmani, di essere intermediari per far arrivare questa loro richiesta alle Nazioni Unite.

Donne irachene in fila per l’approvvigionamento dell’acqua
DELLY: La situazione è difficile. Perché l’Onu e anche la Croce rossa hanno subito degli attentati. Credo comunque che le redini della situazione debbano essere prese dalle Nazioni Unite, anche perché il popolo accetterebbe molto più facilmente una presenza liberatrice dell’Onu, piuttosto che degli statunitensi e degli inglesi. È auspicabile comunque che quanto prima il popolo iracheno venga governato da propri rappresentanti scelti dal popolo stesso e non dagli americani, come lo sono quelli attuali. Ed è auspicabile anche che il prossimo governo iracheno ci riconosca una effettiva libertà religiosa, la libertà di essere figli di Dio.
I cristiani sono appena il 3 per cento della popolazione irachena. Come sono i rapporti con la maggioranza islamica?
DELLY: Sono quasi 1400 anni che noi cristiani dell’Iraq conviviamo pacificamente con i nostri fratelli musulmani. Abbiamo molti amici sia tra i sunniti che tra gli sciiti. Abbiamo sempre avuto buoni rapporti, siamo stati sempre in dialogo con loro. Certo non abbiamo svolto opera di proselitismo tra loro. Il proselitismo non è dialogo. Se i musulmani sono buoni e seguono i principî del Corano e non quelli del fanatismo, e se i cristiani sono buoni e seguono i principî del Vangelo, allora non ci sono problemi di convivenza. Il Corano infatti non dice di uccidere, di andare a rubare, di fare del male al prossimo…
Ma il fenomeno del fanatismo religioso esiste...
DELLY: Un fanatico non è né cristiano né musulmano. È fanatico e basta. Comunque la maggior parte dei fanatici presenti in Iraq viene da fuori. E sono venuti dopo la liberazione, dopo l’occupazione dell’Iraq.
Lei usa alternativamente i termini “liberazione” e “occupazione” per descrivere l’intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati nel suo Paese...
DELLY: Politicamente siamo stati liberati dal vecchio regime. Di fatto siamo occupati. E al popolo, a qualsiasi popolo, piace essere liberato, ma non piace essere occupato. Per spiegare la situazione le racconto un fatto. Dopo la caduta di Baghdad c’è stato un incontro tra un aiutante di Paul Bremer [capo dell’amministrazione civile americana in Iraq] e 450 rappresentanti sciiti, sunniti e cristiani del popolo iracheno. Ero presente anche io insieme a monsignor Warduni. A un certo punto uno dei 450, un musulmano, ha alzato la mano e ha chiesto: «Voi siete qui come liberatori o come occupanti?», e ha aggiunto: «Voglio una risposta precisa, netta!». Allora il rappresentante statunitense ha cominciato a rispondere con un lungo giro di parole per dire che in effetti si trattava di una occupazione: pochi giorni prima infatti il presidente Bush aveva detto che gli Usa erano potenza occupante e lui certo non poteva affermare di essere un liberatore. Allora tutti i 450 per protesta hanno subito abbandonato la riunione e l’aiutante di Bremer è rimasto solo... Oggi comunque sia Bush che Bremer sono molto attenti a definirsi come coloro che ci hanno liberato da un regime politico. Così dicono.
E la popolazione li percepisce in questo modo?
DELLY: Il popolo ha sofferto e soffre ancora. Gli alleati quando sono arrivati hanno smantellato esercito, polizia, strutture del governo e del partito Baath. Questo vuol dire che un milione di famiglie, cioè circa cinque milioni di iracheni, si sono trovate improvvisamente senza mezzi di sussistenza. Noi abbiamo cercato di far capire agli americani che così non può andare bene. Sembra che adesso abbiano cominciato a capire. Sembra che abbiano deciso di ricostituire un esercito e una polizia iracheni, anche per dare più sicurezza al popolo. Ma forse è un po’ tardi. Forse dovevano farlo prima. Speriamo bene.
Ci sono stati atti di persecuzione islamica contro i cristiani in questo dopoguerra iracheno?
DELLY: Veramente no. Non ci sono state delle azioni contro nostri confratelli in quanto cristiani. È vero comunque che hanno bruciato e distrutto le fabbriche di alcool, proibito dalla legge islamica, gestite da cristiani. Abbiamo protestato, ma ormai le fabbriche non ci sono più...
Sui mass media italiani si è svolto un dibattito su come debbano essere definiti gli autori degli attentati e degli attacchi contro le truppe alleate in Iraq. Se cioè debbano essere considerati terroristi, resistenti o guerriglieri. Lei cosa pensa a riguardo?
DELLY: Difficile trovare una definizione. Ma gli autori degli attentati fanno del male. Anzi, approfitto anche di questa intervista per porgere di nuovo le mie sentite condoglianze a tutto il popolo italiano e specialmente alle famiglie dei carabinieri e dei soldati uccisi a Nassiriya. Prego perché il Signore conceda loro la vita eterna e il conforto ai loro cari. Erano molto buoni, erano i migliori. Il popolo li amava. Perché li hanno uccisi? Non lo sappiamo. Da dove sono venuti gli attentatori? Non lo sappiamo.
Come ricorda il suo predecessore Bidawid?
DELLY: Come un pastore che ha fatto il suo dovere, che ha svolto la sua missione. Ringraziamo il Signore perché egli ha fatto tutto il possibile per aiutare il suo popolo caldeo secondo le sue capacità.

Una bambina in una strada di Baghdad
DELLY: Sì, si poteva veramente evitare. Ringraziamo il Santo Padre perché ha fatto di tutto per evitarci questa tragedia. La guerra si può sempre evitare col colloquio, con la carità. La guerra non porta mai niente di buono, né durante né dopo.
Durante i bombardamenti su Baghdad del marzo scorso giunse notizia che lei era stato ferito…
DELLY: Stavo parlando al telefono con Radio Vaticana quando delle bombe caddero a circa centocinquanta metri dal Patriarcato. Tutte le vetrate della residenza si frantumarono. Grazie a Dio e alla Vergine Maria le tende impedirono che venissi investito da quelle schegge di vetro.
Un ultimo pensiero alla Terra Santa.
DELLY: Molti soffrono lì. Speriamo e preghiamo affinché il Signore conceda la pace alla terra dove Gesù è nato, è stato crocifisso ed è risorto.