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RUSSIA
tratto dal n. 10 - 2002

Il crollo dell’Urss e il complesso dei vincitori


Una conferenza di Michail Gorbaciov tenuta a Ferrara il 4 luglio 2002, in occasione della presentazione del libro di Antonio Rubbi, La Russia di Eltsin, Editori Riuniti, Roma 2002.


di Michail Gorbaciov


In queste pagine, immagini di Mosca alla fine degli anni Ottanta tratte da un famoso reportage fotografico di Roberto Koch

In queste pagine, immagini di Mosca alla fine degli anni Ottanta tratte da un famoso reportage fotografico di Roberto Koch

Bisogna pensare al futuro. Non è così semplice nella mia posizione, poiché ormai sono alla fine della mia vita. Sono stato presente a tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la perestrojka, e ovunque vado (recentemente all’Università di Novosibirsk, in Siberia) mi fanno continuamente domande legate a questo fenomeno.
La perestrojka è stata un punto di svolta nella storia della Russia, e spero che abbiano ragione quelli che affermano che le idee della perestrojka, i passi avanti fatti, abbiano indotto cambiamenti sostanziali nel mondo intero. Per me è un grande piacere che si scrivano libri su questi problemi, che dobbiamo studiare, altrimenti non riusciremo a capire questo mondo che cambia così velocemente, ed adattarci ad esso. Com’è possibile cercare nuove forme di vita se non capiamo che quanto ci è successo alla fine del XX secolo è stato ampiamente influenzato dalla perestrojka? Essa ha dato un grande impulso a tutte le trasformazioni successive. Ecco perché io sono qui. Sono felice di vedere voi tutti, l’Italia è un Paese molto vicino a me. Gli italiani, per noi russi, sono un popolo vicino, ci assomigliano, nei pregi e anche nei difetti.
La Russia è un mondo che ha una storia complicatissima, carica di problemi. Ma è un serbatoio di pensieri, di valori spirituali. Se chiedessi agli americani: “Cosa ne pensate della Russia?”, essi risponderebbero: “È molto difficile viverci, ma è interessante”. La Russia oggi vive un grande ripensamento della propria storia, e questo per un certo lasso di tempo non c’è stato. Tale ripensamento è utile alla Russia, ma anche all’Europa, e ai nostri partner più diretti.
Vorrei ora esprimere alcune mie convinzioni. La prima è che dobbiamo continuare a studiare da diversi punti di vista ciò che ci sta succedendo. La seconda cosa è questa: alcuni vorrebbero avere tantissimo da noi russi, e subito. Tempo fa lo pretendevano dall’Unione Sovietica, oggi da noi. Costoro dicono: “Avete proclamato la vostra libertà, avete istituti democratici, avete la libertà di stampa, vi assumete le vostre responsabilità… Allora tutto in Russia deve essere democrazia, liberalismo, mercato!”. Ma la realtà è che questo è un cammino lungo e difficile, in cui contano le idee dei singoli, ma ancor più tutta la nostra tradizione russa e la nostra vita centenaria.
Quando è iniziata la perestrojka, il 90% dei cittadini russi, erano nati e vissuti nell’Urss, “un” solo Paese con “una” sola ideologia, dove tutto era sotto controllo, la democrazia non esisteva, il potere era di un partito che non lo aveva mai ricevuto elettoralmente dal popolo. Queste erano le condizioni di vita delle persone. E potete immaginarvi quanto potesse essere difficile gestire con istituzioni democratiche uno dei Paesi più militarizzati nel mondo, con un’industria completamente pesante, uno Stato in cui si parlavano 225 lingue.
Ma come ha guardato l’Occidente alla perestrojka? Ricordo l’incontro del G7 a Londra nel 1991. Andreotti, Kohl e Mitterrand ritenevano che ci trovassimo in un momento culminante della perestrojka e sentivano il dovere di sostenerci. Io non chiesi nulla, sarebbe stato ridicolo che io fossi andato a Londra per chiedere qualcosa. Queste discussioni tra gli altri leader politici avvennero prima che io mi rivolgessi a loro. Noi avevamo bisogno di tempo, in modo da acquisire la nostra esperienza
Oggi si sostiene che da noi “molte cose non funzionano”. Ho sentito più volte affermazioni di questo tipo, ad esempio in America, dove sono stato recentemente, ad Harvard e in varie università, dove la gente ha comprato i biglietti per potersi incontrare con me. A questo ritornello io ho risposto: «Noi non saremo mai come siete voi. Grazie al cielo non saremo mai simili a voi! Voi rimarrete così, non noi». Qualsiasi dinamica risiede proprio nel fatto che siamo differenti gli uni dagli altri. E noi russi non siamo dei bambini che il comunismo voleva rendere felici… Oggi gli americani vogliono rendere tutti adepti della loro civiltà. È un’insensatezza! È l’applicazione di un business perseguito da determinati gruppi, e nulla di più. Così ho detto agli americani: «Quando voi mi fate queste domande, ho l’impressione che abbiate bisogno che la Russia diventi un Paese profondamente democratico. Serve di più a voi che non a noi».
Putin ha bisogno che la sua politica sia coronata da risultati, d’accordo. Ma agli americani io dico spesso: «Avete un’opinione troppo alta dei nostri talenti. Il fatto che noi abbiamo maggior talento e siamo più intelligenti di voi è un dato di fatto!» – e loro ridono – «ma che voi riteniate che noi siamo dieci di volte più talentuosi di voi, è uno sbaglio. Voi vi siete concessi duecento anni per creare le vostre istituzioni, la società civile e tutto ciò che è oggi l’America democratica. Quello che noi abbiamo, lo abbiamo costruito in soli duecento giorni. No, noi non abbiamo così tanto talento...».

La gente deve vivere la propria vita, deve, progressivamente, attraverso la propria amara esperienza, arrivare alle proprie conquiste, in un Paese dove sia possibile manifestare la libertà in tutte le sfere, anche nell’ambito economico, in un’economia di mercato dove sia possibile la concorrenza. Questo sarà il destino delle generazioni future. Ecco perché la perestrojka veniva spietatamente criticata: Gorbaciov e la perestrojka portavano avanti le riforme senza certezze a priori, senza spietata determinazione. Affinché ogni perestrojka porti dei risultati è necessario attendere la vita di un paio di generazioni. Più velocemente non è possibile. Noi uomini della perestrojka avevamo impostato tempi lunghi per la trasformazione del Paese, ma il Paese non ce l’ha fatta, e neanche l’élite politico-culturale. Come potevamo maltrattare 300 milioni di persone? E il popolo che viveva nelle periferie più lontane del Paese? Bisognava e bisogna avere rispetto della gente e quindi seguire con pazienza questa strada. Quando cercai di spiegare come bisognava agire, i liberali dicevano tutti che ero quasi diventato un prete che legge preghiere tutto il giorno. (Non trovo niente di male a leggere le preghiere; anche se non sono religioso, rispetto tutte le istituzioni religiose e soprattutto riconosco il diritto della gente di fare le proprie scelte). Dovetti lottare contro tutto questo.
Con questo voglio dire che la perestrojka non ha avuto successo per motivi interni.
Ma come ha guardato l’Occidente alla perestrojka?
Ricordo l’incontro del G7 a Londra nel 1991. Andreotti, Kohl e Mitterrand ritenevano che ci trovassimo in un momento culminante della perestrojka e sentivano il dovere di sostenerci. Io non chiesi nulla, sarebbe stato ridicolo che io fossi andato a Londra per chiedere qualcosa. Queste discussioni tra gli altri leader politici avvennero prima che io mi rivolgessi a loro. Noi avevamo bisogno di tempo, in modo da acquisire la nostra esperienza.
Il motivo della sconfitta degli uomini della perestrojka fu l’essere giunti in ritardo nel gestire i punti chiave, per primo la riforma del Pcus. Dopo due o tre anni, proprio la nomenclatura del Partito, non appena capì che attraverso la perestrojka sarebbe giunta la sua fine, iniziò una resistenza totale, perché avrebbe dovuto giustificare la propria presenza. “Cosa succederà se riducono le spese per il settore militare?” si chiedeva poi la nomenclatura. Ma noi non avevamo bisogno di 64mila carri armati, più di quanti ne avesse il mondo intero. Cosa potevamo fare con questi carri armati? Attaccare tutto il mondo? Le migliori risorse, anche intellettuali, erano utilizzate nel settore militare. Nello stesso periodo avevamo penuria di dentifricio, di collant da donna... Andavamo nello spazio e non riuscivamo a produrre il necessario per una vita normale. Su questi temi vi fu lotta tra nomenclatura e riformisti.
Noi tardammo a riformare l’Unione Sovietica, ma questo non successe sotto il democratico Eltsin. Lui era propenso ad utilizzare il proprio potere per sconvolgere il centro; ma finché il centro resisteva non era importante che ci fossero degli scossoni a livello periferico, a causa dei separatismi. Invece, sembrò necessario distruggere la Russia, darle uno scossone, e a questo scopo hanno utilizzato il potere.
Un democratico non può aspirare così tanto al potere. Se un democratico riceve un grande potere deve iniziare a riformarlo e distribuirlo in basso, alle repubbliche, alle collettività, alle imprese… Se noi avessimo iniziato a riformare l’Unione Sovietica, avremmo fermato queste forze centrifughe: avremmo riformato l’Unione Sovietica, non l’avremmo disintegrata! Questo ritardo è stato un nostro errore.
Nell’autunno del 1990 il rating di Gorbaciov era irraggiungibile. Il minimo era al 50-52%, ma talvolta raggiungeva il 70-80%. Eltsin era secondo, ma la sua popolarità era al 10-14%. Nell’autunno del ’90 le cose erano peggiorate perché noi non avevamo risolto il problema fondamentale: riempire il mercato di merci. La gente giudica le cose a seconda della merce che c’è nei negozi, e gli scaffali erano vuoti. E avremmo potuto risolvere questo problema semplicemente destinando il 15% delle spese militari a beni di consumo. Se fossimo riusciti ad indirizzare in tempo questi processi, avremmo potuto evitare che la nomenclatura e i separatisti avessero delle chance.
Con la perestrojka abbiamo dato pluralismo politico, libere elezioni, pluralismo economico, il riconoscimento del diritto di confessione religiosa, eccetera. Ma ad un certo punto è venuta meno la fiducia negli uomini della perestrojka. Non voglio dire che questo sia avvenuto a causa di una rivoluzione fatta in guanti di velluto dall’Occidente, per effetto della contrapposizione militare, eccetera. Però il crollo dell’Urss ha portato ad una situazione tale che i Paesi occidentali sono risultati vincitori, per di più con il “complesso” dei vincitori. Se il comunismo era morto e sepolto per sempre, “loro” erano i vincitori. Il liberalismo aveva vinto.
Oggi siamo tutti sotto la bandiera del liberalismo, che pretende di interpretare che cosa sia lo Stato, che vince non solo nell’economia, ma anche nelle altre sfere. Ogni giorno, in America, vediamo grandi multinazionali che crollano o accusano grosse crisi economico-finanziarie, con buchi fino a 6 miliardi di dollari. Tutto questo prima ci era stato nascosto. Ciò non può farci sospettare che il modello di liberalismo radicale impostoci sia un errore? Lo dicono tutti i più grandi economisti, Joseph Stiglitz, ad esempio. Questo gruppo di “vincitori” ha perso dieci anni, dopo la fine della guerra fredda, quando avremmo potuto occuparci di governare altri processi mondiali che invece sono andati avanti per conto proprio. Così come si è sviluppata, la globalizzazione è stata il gioco di una sola squadra. Quello su cui invece ci dovremmo interrogare, dopo la guerra fredda, era come liberare le risorse, come aprire i Paesi alla cooperazione, come favorire il superamento della povertà e dell’arretratezza. Su questo non si è fatto nulla; il divario tra ricchi e poveri è aumentato, e la contrapposizione è enorme: 3 miliardi di persone vivono con al massimo 2 dollari al giorno, 1,2 miliardi con alcuni centesimi di dollaro. Questa è la situazione.
Se fossimo riusciti a indirizzare in tempo questi processi, avremmo potuto evitare che la nomenclatura e i separatisti avessero delle chance. Con la perestrojka abbiamo dato pluralismo politico, libere elezioni, pluralismo economico, il riconoscimento del diritto di confessione religiosa, eccetera. Ma ad un certo punto è venuta meno la fiducia negli uomini della perestrojka...
Quindi ritengo che occorra soppesare bene tutto ciò che è accaduto, in modo da imparare a gestire quello che succede nel mondo.
Che cosa avviene attualmente da noi in Russia? Penso che Putin abbia in mano la situazione. A gennaio ho incontrato un gruppo di giovani che non riuscivano a capire perché io fossi al fianco di Putin. Ma io non lo nascondo! Anzi, lo dico liberamente e tutti lo sanno.
Devo dire che Putin ha fatto più di quanto io mi potessi aspettare. Ha aumentato la stabilità, le persone hanno cominciato a credere nelle proprie forze, s’è creata una consapevolezza nazionale, un mondo degli affari che lavora anche per il Paese. Tutto sta cambiando molto intensamente. Durante una delle nostre prime conversazioni (parlavamo della situazione e ci scambiavamo opinioni su cosa fare in futuro) Putin mi disse: «L’eredità che ho avuto è il caos, nei rapporti internazionali, nell’economia… in tutte le sfere».
Questa è l’eredità che il presidente Putin ha ricevuto. Intuisco che davanti ad una realtà così forse anche Gesù Cristo chiederebbe più tempo per poter risolvere questi problemi. Con ciò voglio semplicemente dire che bisogna essere realisti. Bisogna vedere il contesto nel quale agisce la politica.
Oggi il processo di sviluppo della politica avviene per l’interesse di tutti, e non solo del clan e della “famiglia”. Questo preoccupa molti, tra cui Eltsin stesso, che credeva di avere la facoltà di poter insegnare al presidente quello che bisogna fare. Eltsin è una persona libera, ma oggi non è lui che dirige il Paese. È Putin il responsabile di fronte alla gente. Noi possiamo parlare, consigliare, ma è Putin che, studiando tutte le opinioni, i suggerimenti, deve poi prendersi le responsabilità di ciò che fa.

Ora ci troviamo di fronte ad un nuovo momento di scelta. Non possiamo assolutamente accettare il fatto che in Russia ci sono state delle persone le quali, pur con grandissimo talento, sono diventate miliardarie in cinque anni: costoro avrebbero voluto mantenere il corso “liberale” delle riforme, lo status quo, e tutto ciò che Eltsin aveva lasciato in eredità. Questo è un percorso politico, una linea. L’altra linea consiste nell’utilizzare ciò che è avvenuto in questi ultimi anni – cioè la stabilità, la formazione di un più sano gruppo imprenditoriale – per incamminarci verso una società postindustriale. La lotta tra queste due tendenze oggi determina l’arena politica, attorno al presidente, nella Duma e nella società. La mia posizione è: se continuiamo, per pura inerzia, sulla linea dell’epoca eltsiniana, diverremo una provincia, seppur sviluppata, che produrrà materia prima per gli altri. La Russia non può essere così. Ritengo che il presidente Putin prenderà le decisioni necessarie. E penso che lui intenda perfettamente cosa significhi “dignità del Paese” quando parla di cooperazione con l’Ue e gli Usa (una scelta, questa, che viene ampiamente e anche aspramente discussa in Russia, ma è la linea che viene seguita). L’Ue deve capirlo.
...Non voglio dire che questo sia avvenuto a causa di una rivoluzione fatta in guanti di velluto dall’Occidente, per effetto della contrapposizione militare, eccetera. Però il crollo dell’Urss ha portato ad una situazione tale che i Paesi occidentali sono risultati vincitori, per di più con il “complesso” dei vincitori. Se il comunismo era morto e sepolto per sempre, “loro” erano i vincitori. Il liberalismo aveva vinto
Romano Prodi, con cui ci incontriamo spesso in Italia, e anche altri amici europei, mi dicono: “Bisogna aprire un nuovo capitolo nella cooperazione tra Russia e Ue, stipulare un accordo…”. Nello stesso tempo notiamo che l’Ue intenta 60-70 processi di antidumping contro la Russia. Ma la Russia, che lavora in condizioni difficilissime, oltre all’energia, produce prodotti, e giustamente vorrebbe esportarli… Ma ciò non è possibile. È forse questa l’apertura di una nuova fase di cooperazione tra l’Ue e la Russia? No!
La Russia è una componente assai importante del processo di sviluppo dell’Europa, anche per il futuro: è il mercato più vasto, le risorse più grandi del mondo sono rimaste in questo Paese, e la nostra società è in grado di lavorare con le nuove tecnologie (migliaia di russi sono emigrati in America, dove metà del software viene elaborato da nostri ingegneri). Ora entreranno nuovi membri nell’Ue e i confini dell’area di Schengen arriveranno fino alla Russia. Questo è il momento della verità: non ci sarà un progetto di Unione europea senza la Russia.
Ma neanche Mosca riuscirà, senza la collaborazione di tutto il mondo, a risolvere i suoi problemi. Dunque, bisognerebbe dare già ora alla Russia lo status di “membro associato”. Noi non possiamo diventare membri dell’Ue perché non si sa cosa ne verrebbe fuori: potrebbe succedere che se noi entrassimo nell’Unione vada tutto in rovina. Però lo status di “membro associato” è assolutamente necessario per poter aprire un nuovo capitolo. Tutto ciò che avviene ora determinerà l’Europa del futuro. Vivremo in un’Europa unita o vivremo separati dall’Ue. Non mi stanco di sottolineare che è una questione estremamente attuale. E di importanza vitale.


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