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tratto dal n. 08/09 - 2010

Francesco d’Assisi, un santo «che sorge da Occidente e giunge fino a Oriente»


Alla scoperta del Codice Galatonese, una rilettura autentica della vita di san Francesco secondo la liturgia e la spiritualità bizantine


di Pietro Messa, ofm


Anna Gaspari, <I>Ricco sposo della povertà</I>, Antonianum, Roma 2010, 
148 pp., euro 19,00

Anna Gaspari, Ricco sposo della povertà, Antonianum, Roma 2010, 148 pp., euro 19,00

San Francesco d’Assisi non finisce di stupire! Infatti se Dante nel canto XI del Paradiso, riferendosi alla città natale del Santo ebbe a scrivere: «Non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Orïente, se proprio dir vuole» (53-54), un testo liturgico greco afferma: «Venite, voi tutti, devoti alla sua festa, per contemplare sulla terra un nuovo astro intramontabile, il glorioso Francesco che sorge da Occidente e giunge fino a Oriente».
Si tratta di un testo contenuto in un manoscritto conservato nella chiesa parrocchiale di Maria Santissima Assunta di Galàtone, in provincia di Lecce, ossia in terra d’Otranto. Più precisamente è un’akolouthìa, una ufficiatura liturgica, letteralmente “sequenza”, dedicata a san Francesco d’Assisi.
Francesco, nato ad Assisi dal ricco mercante Pietro di Bernardone nel 1182 circa, morto nel 1226 e canonizzato da Gregorio IX nel 1228, non è un santo commemorato dalla Chiesa bizantina. Infatti al 4 ottobre, suo dies natalis, cioè giorno della sua nascita al cielo, i Greci venerano sant’Ieroteo, vescovo di Atene, che si ritiene sia vissuto nel primo secolo. Eppure, in taluni codici greci o, meglio, italogreci, cioè prodotti in Italia meridionale, si possono rinvenire attestazioni del culto di san Francesco, seppure sporadiche ed essenziali, mentre il Codice Galatonese rappresenta un unicum nel suo genere contenendo non una semplice menzione, ma un’intera ufficiatura liturgica dedicata al Santo di Assisi.
La presenza di questo testo non deve meravigliare, visto che in terra d’Otranto fino al XIV-XV secolo e, in qualche caso, fino al XVI, è diffuso, e in alcuni casi persino imperante, il rito bizantino rispetto a quello latino, e Galàtone pare che sia uno dei luoghi in cui più a lungo resistette tale tradizione della Chiesa greca. Come afferma Anna Gaspari, «presumibilmente è proprio in questo contesto, di incontro e talora scontro, di scambio culturale e di interazione tra rito bizantino e rito latino, che potrebbe essere collocato il proprium liturgico in onore di san Francesco d’Assisi, santo occidentale sconosciuto al santorale bizantino».
Se il manoscritto di Galàtone è databile alla metà/seconda metà del XV secolo, ossia proprio negli anni considerati come la conclusione del Medioevo, tuttavia il testo con il proprium innografico in onore di san Francesco potrebbe essere anche più antico. Tale ufficiatura attinge certamente da fonti inerenti al Santo d’Assisi, ma in diversi passaggi – come fa notare la Gaspari – rimaneggia e utilizza «uffici liturgici noti per altri santi della Chiesa bizantinia, quali ad esempio san Tommaso Melota, conosciuto per l’abbandono delle proprie ricchezze».
Dopo alcuni passati tentativi di trascrizione, tuttavia non soddisfacenti, attualmente, grazie al volume Ricco sposo della povertà. Ufficio liturgico italogreco per Francesco d’Assisi, ci è dato di poter leggere e apprezzare tale testo. Alcuni brani dello stesso possono aiutare a comprendere come non si tratti di una traduzione in greco di testi liturgici latini dedicati al Santo – come avvenne ad esempio per alcune opere di san Gregorio Magno o, successivamente, di san Tommaso d’Aquino –, ma di una vera e propria rilettura secondo la liturgia e la spiritualità bizantine della vicenda di san Francesco.
«Venite a vedere ora / un altro Abramo contemplativo, / che per fede ricevette in eredità / la Terra promessa, / Francesco il santo, / che accolse in modo ospitale i poveri, / come lui un tempo: / infatti di nascosto dissipava largamente i beni del padre / e li donava ai poveri, / dopo aver rinnegato le cose periture, / e, dopo aver preso la croce sulle spalle, / ha lottato con coraggio, / portando a termine la corsa; / e ora è cinto / della corona di giustizia».
La rinuncia dei beni paterni da parte di san Francesco è messa in connessione con l’ospitalità verso i poveri e non con la scelta della povertà; in questo l’innografo vede in lui «un altro Abramo» che ospitando alle Querce di Mamre i tre pellegrini (Gen 18, 1-15), ebbe in dono la garanzia di una discendenza e in eredità la Terra promessa.
«Venite a vedere / il ricco sposo della povertà, / un altro Mosè che ha visto Dio, / un nuovo Isaia dalla voce tonante, / un secondo Giobbe il giusto, / un altro Davide il mite, / un nuovo Daniele per le visioni, / colui che ammansisce le belve […], / che ha imitato veramente Cristo / tanto da portare sul suo corpo / le stimmate, / essendo colui che prega / per le nostre anime».
Gli avvenimenti della vita di san Francesco sono letti come un riattualizzare diversi personaggi biblici: la contemplazione lo rese un «nuovo Mosè», la predicazione un «nuovo Isaia», l’ammansire le belve – come nel caso del famoso episodio del lupo di Gubbio – un «nuovo Daniele» che uscì incolume dalla fossa dei leoni. E le stimmate – ossia l’avere impresse nelle mani, nei piedi e nel costato le piaghe della passione di Cristo – sono segno della sua conformità a Cristo che lo rende degno di pregare per le anime dei fedeli che a lui si rivolgono.
«Consacrato a Cristo fin dalla fanciullezza / e a lui gradito fino alla fine, / Francesco beatissimo, / hai ottenuto carismi / e, scacciando via con la grazia / moltitudini di demoni, / hai edificato monasteri / a lode del Signore, / e perciò in modo sorprendente / ti degnasti di portare / nella tua carne / le sue stimmate, o ottimo; / per questo a te gridiamo: / “Supplica Cristo Dio / di concedere il perdono delle colpe / a quanti festeggiano con onore / la tua santa memoria”».
Ci si aspetterebbe un elogio della scelta di Francesco di cambiare vita – come solitamente fanno le fonti latine –, invece l’accento è posto sull’azione della grazia tramite la quale i demoni sono cacciati e sono edificati monasteri a lode del Signore. Ciò che sorprende l’autore della presente innografia sono le stimmate presenti nel corpo di Francesco e proprio esse testimoniano che ci si può affidare alla sua intercessione perché sia dato il perdono dalle colpe. Celebrare la memoria del Santo non è prima di tutto guardare a un modello esemplare da seguire, ma contemplare l’azione della grazia e affidarsi alla sua intercessione presso Cristo: in questo si può cogliere un tratto tipico della spiritualità orientale.
«Con melodie sacre / noi fedeli celebriamo / colui che ama Cristo, / il vanto degli asceti, / divenuto dimora / del Paraclito, / l’ornamento / dei sacerdoti, / la colonna della fede, / sorgente generosa / di guarigioni, / purificazione delle malattie, / gridando con fede: / “Per tua intercessione / libera quelli che a te inneggiano / dalle tentazioni manifeste / e dai nemici invisibili, / supplicando il Signore, / o sapiente beatissimo Francesco”».
Se Francesco è colui che ama Cristo, egli è divenuto dimora del Paraclito; la presenza e l’azione dello Spirito Santo è sottolineata dall’innografo e proprio essa fa sì che egli possa operare generosamente guarigioni e purificare dalle malattie. Proprio per questo i fedeli gli chiedono di essere liberati dalle «tentazioni manifeste e dai nemici invisibili», usando termini che rimandano al ricco patrimonio monastico orientale che vede nel cammino di fede una lotta contro gli spiriti malvagi per essere docili all’azione dello Spirito Santo.
Se la presente akolouthìa, ossia “sequenza” liturgica, è dedicata a san Francesco d’Assisi, definito «un astro intramontabile […] che sorge da Occidente e giunge fino a Oriente», un tempo erano usati come copertina del manoscritto che la contiene due frammenti liturgici in onore di san Nicola, un santo sorto in Oriente, ossia a Mira, nell’attuale Turchia, e giunto in Occidente, precisamente a Bari. Un vero intreccio che ben rappresenta l’invito, suggerito da Vjaceslav Ivanovic Ivanov e ripreso da Giovanni Paolo II, alla Chiesa perché respiri «come a due polmoni, dell’Oriente e dell’Occidente».


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