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LIBRI
tratto dal n. 11 - 2010

Don Bosco a North Beach: una storia tutta italiana


Nel suo ultimo saggio, don Francesco Motto, direttore dell’Istituto Storico Salesiano di Roma, ricostruisce la vicenda della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, a San Francisco, punto di riferimento nel secolo scorso di moltissimi immigrati italiani nella città. Intervista con l’autore


di Giovanni Ricciardi


<I>Francesco Motto, Vita e azione 
della parrocchia nazionale salesiana 
dei Santi Pietro e Paolo a San Francisco (1897-1930). Da colonia di paesani a comunità di italiani</I>, Las, 
Roma 2010, 502 pp., euro 30,00

Francesco Motto, Vita e azione della parrocchia nazionale salesiana dei Santi Pietro e Paolo a San Francisco (1897-1930). Da colonia di paesani a comunità di italiani, Las, Roma 2010, 502 pp., euro 30,00

«Un popolo di trasmigratori», recitava l’adagio mussoliniano in coda all’elenco di virtù italiche che campeggia sul Palazzo della Civiltà italiana all’Eur. Ma alle orecchie dei più è sempre suonata un po’ ironica, questa definizione, che voleva alludere a gloriose imprese, senza però riuscire a esorcizzare, sotto il velo della retorica, la più cruda realtà dei milioni di poveri emigranti salpati dai porti della Penisola tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del ventesimo secolo per cercare fortuna di là dall’Atlantico.
È un pezzo non trascurabile di storia patria anche questo: le famose cento lire della canzone, che valevano la traversata fino a New York, i porti di Napoli e Genova, le tre settimane di viaggio e la quarantena a Ellis Island, la folla delle speranze e il dramma di una difficile integrazione. Ne dà oggi ampia testimonianza il Museo dell’Emigrazione italiana, aperto nell’ottobre del 2009 nel Complesso monumentale del Vittoriano, a Roma. Ma che, tra molti spunti pieni d’interesse, accenna poco al ruolo svolto dalla Chiesa nell’interpretare e accompagnare il fenomeno. Ne parliamo con don Francesco Motto, direttore dell’Istituto Storico Salesiano di Roma, che ha dedicato al tema il suo ultimo saggio.

Quale fu l’atteggiamento della Chiesa italiana di fine Ottocento di fronte alla crescente emigrazione oltreoceano?
FRANCESCO MOTTO: Sulle prime, si cercò di scoraggiare il fenomeno migratorio. La Chiesa italiana temeva che lo sradicamento dal Paese d’origine avrebbe significato per molti la perdita della fede. Ma davanti a un esodo che, a partire dall’Unità d’Italia, appariva sempre più inarrestabile, decise di muoversi, invitando le diocesi e gli ordini religiosi a garantire assistenza spirituale a chi partiva. E nacquero molte iniziative, tra cui le più famose sono senz’altro quelle di monsignor Scalabrini, vescovo di Piacenza e fondatore dei Missionari di San Carlo, e l’opera instancabile di santa Francesca Cabrini. Anche i Salesiani dettero il loro valido apporto.
La Chiesa cattolica americana era allora una realtà relativamente giovane…
Tra i vescovi degli Stati Uniti alcuni ritenevano che gli immigrati di fede cattolica dovessero inserirsi, senza mediazioni, nel tessuto della Chiesa locale. C’era in quest’atteggiamento il timore che il cattolicesimo potesse essere accusato di incompatibilità con l’american way of life. Presto però la Chiesa americana si rese conto che una troppo veloce rottura dei nuovi venuti con il vecchio mondo, fatto di lingua, cultura e tradizioni, avrebbe seriamente danneggiato la loro fede. Aveva allora optato per favorire la creazione di chiese di riferimento “nazionale” per gli immigrati. Fu questo il caso della parrocchia italiana dei Santi Pietro e Paolo a San Francisco, nella zona di North Beach. La comunità italiana cominciava a crescere e l’arcivescovo di san Francisco nel 1897 chiese a don Rua, primo successore di don Bosco, che i salesiani italiani si prendessero cura dei loro connazionali. La richiesta fu accettata in pochi mesi e fu il primo approdo salesiano negli Stati Uniti.
Quale realtà trovarono i salesiani al loro arrivo?
Un terreno sfavorevolissimo. Intanto gli italiani di prima immigrazione parlavano quasi esclusivamente il dialetto, e i vari gruppi, soprattutto liguri, toscani e siciliani, non comunicavano fra loro. La maggior parte di loro era arrivata in America non con l’intenzione di integrarsi, ma di lavorare sodo per un po’ di anni e poi tornare in Italia. Non imparavano l’inglese, non si coinvolgevano nelle organizzazioni sindacali, che li accusavano di essere “crumiri”, perché non partecipavano agli scioperi, anzi, si offrivano di lavorare al posto degli scioperanti. Molti, poi, subivano l’influsso di gruppi di fuoriusciti – garibaldini, mazziniani e anarchici – che predicavano un anticlericalismo militante. Ed erano spesso invisi anche agli altri cattolici della città, di provenienza soprattutto irlandese, che guardavano con sospetto agli italiani come a un popolo di apostati, per via della questione romana allora attualissima. Inoltre, soprattutto nei primi tempi, la presenza femminile, più tradizionalmente legata alla Chiesa, era fortemente minoritaria.
E come si comportarono i salesiani di fronte a questa situazione?
Non persero di vista mai il loro scopo fondamentale: quello di preservare la fede degli immigrati. Ma si resero conto innanzitutto che bisognava “fare gli italiani” e aiutarli poi, pian piano, a integrarsi nella realtà americana. Per questo le prime iniziative furono la scuola di lingua inglese per giovani e adulti, e poi l’aiuto ai più poveri, la ricerca del lavoro, un tentativo di protezione di fronte a forme di sfruttamento. A poco a poco, con coloro che iniziavano a fermarsi e a mettere su famiglia, nacque anche la scuola per i bambini e una serie di opere che non avevano il sapore del classico oratorio di don Bosco, ma che contribuirono a cementare sempre di più la gente intorno alla parrocchia come a un punto di riferimento che garantiva e valorizzava l’identità e la lingua italiana. Man mano che la comunità cresceva, già con la seconda generazione, la parrocchia divenne bilingue, ma continuò a sottolineare l’italianità come veicolo – lingua, cultura, spiritualità – della fede.
Il lavoro diede i frutti sperati?
Se guardiamo ai numeri, certamente. La comunità italiana arrivò a un certo punto a contare 50mila persone, circa un venti per cento della popolazione di San Francisco, e al catechismo si avevano punte di 2mila bambini iscritti, con una distribuzione di 60mila comunioni all’anno. La parrocchia divenne l’istituzione centrale e più importante della comunità italiana, apprezzata dalle autorità civili e religiose della cosmopolita città. Fu così in grado di svolgere bene la sua funzione tanto religiosa quanto sociale, oltre che salesiana, vale a dire di speciale attenzione ai giovani. Tale compito di parrocchia “nazionale” entrò gradatamente in crisi dopo gli anni Trenta con i matrimoni misti e la inevitabile dispersione territoriale degli italiani, che iniziavano a trasferirsi in quartieri nuovi e meno poveri di North Beach. La parrocchia allora si andò integrando con la Chiesa locale, adeguandosi alle parrocchie territoriali e perse di fatto la sua funzione di punto di riferimento esclusivo dei nostri connazionali. La chiesa “nazionale” non era destinata a durare nel tempo, ma il compito di costituire un “ponte” tra Italia e America per assicurare la preservazione della fede, e di fare, come diceva don Bosco, “buoni cristiani e onesti cittadini”, sostanzialmente riuscì. Oggi la parrocchia di North Beach conserva una sola messa in italiano, soprattutto per gli anziani. Ma la sua funzione di ponte, paradossalmente, non è terminata. Il vecchio, povero ma pittoresco quartiere di North Beach negli ultimi decenni si è quasi trasformato nella Chinatown di San Francisco. E, ai Santi Pietro e Paolo, oggi si dice messa e si fa catechismo anche in cinese. Cinesi sono anche molti allievi della scuola parrocchiale e tanti ragazzi dell’oratorio. Ma la “Cattedrale dell’Ovest”, come è stata chiamata la chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, costruita in stile tutto italiano, rimane là, a perpetua testimonianza del lavoro e del sacrificio degli immigrati italiani, sia dei molti che vi fecero fortuna, sia di chi non vi riuscì e dovette rientrare in patria, di certo però più “italiano” di quando era partito.


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