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REPORTAGE DALLA CINA
tratto dal n. 09 - 2001

Due convegni sulla figura del missionario gesuita

Operazione Matteo Ricci




Matteo Ricci

Matteo Ricci

Nell’autunno del duemila, l’ultimo furioso attacco dei funzionari di Pechino al Vaticano prese a pretesto la canonizzazione dei missionari stranieri martirizzati in Cina durante la rivolta dei Boxer, che nel fitto calendario giubilare era stata intempestivamente fissata il 1� ottobre, in coincidenza con l’anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese.
Un anno dopo, anche la strada per riattivare i pur timidi contatti indiretti tra Roma e Pechino passa per la figura di un missionario venuto da Occidente: Matteo Ricci, il grande gesuita che operò nella Cina dei Ming, onorato dai cinesi come un benefattore della patria per le conoscenze scientifiche che seppe esportare dalle università d’Europa alla corte del Celeste Impero.
L’occasione è fornita da due imminenti convegni internazionali dedicati al gesuita maceratese in occasione del quarto centenario dal suo arrivo a Pechino (1601). Alle due sessioni di studio parteciperanno sia personalità del mondo accademico cinese che esponenti di autorevoli istituzioni culturali cattoliche. Il primo convegno si terrà a Pechino, dal 14 al 17 ottobre, su iniziativa del Ricci Institute, un centro di ricerche collegato all’Università di San Francisco, uno dei prestigiosi atenei dei Gesuiti statunitensi. A seguire, il 24 e 25 ottobre, sarà la Pontificia Università Gregoriana di Roma a ospitare il secondo convegno, promosso dall’Istituto italo-cinese.
La figura di Matteo Ricci, Li Madou per i cinesi, si presta al ruolo di patrono della attesa normalizzazione dei rapporti tra Santa Sede e Repubblica Popolare. Giovanni Paolo II, alla fine dell’udienza di mercoledì 5 settembre, accennando ai due convegni di ottobre, ha definito Matteo Ricci un "prezioso modello per chi opera nel campo dell’annuncio evangelico in vari contesti culturali". Già un anno fa, proprio durante l’udienza ai pellegrini convenuti per la canonizzazione dei 120 martiri cinesi, il Papa aveva risposto agli strali provenienti da Pechino chiedendo perdono per gli eventuali errori commessi dai missionari e accomunando subito le loro vicende all’esemplare figura di Li Madou: "Con la loro testimonianza, essi ci indicano che il cammino vero della Chiesa è l’uomo: un cammino intessuto di profondo e rispettoso dialogo interculturale, come ha già insegnato, con saggezza e maestria, il padre Matteo Ricci".
Anche a Pechino trova consensi l’idea di puntare su Matteo Ricci per riaprire un canale di comunicazione tra la Santa Sede e la Cina. Lo conferma a 30Giorni Michele Fu Tieshan, il vescovo ufficiale di Pechino, non legittimato dal Vaticano, considerato da molti l’ecclesiastico cinese più vicino alle posizioni del governo. "Ricci fu rispettoso della cultura cinese. Si vestiva come i mandarini dell’epoca. Seguì in pieno il suggerimento di san Paolo, per cui bisogna accettare di diventare greco coi greci, ebreo con gli ebrei, cinese coi cinesi, pur di portare il Vangelo".
Proprio il vescovo ufficiale di Pechino dichiarò pubblicamente che dopo la "crisi" delle canonizzazioni sarebbe stato utile un gesto "significativo" da parte vaticana. I prossimi convegni ricciani sono un’occasione propizia per far partire messaggi distensivi e ribadire che la scelta di fissare le canonizzazioni il 1� ottobre non conteneva nessuna intenzione offensiva. Intanto, anche per Matteo Ricci è stato aperto da tempo il processo di beatificazione, che ha concluso la sua fase diocesana a Macerata già nel 1984. "Portare avanti il processo di beatificazione di Li Madou sarebbe una cosa buona" concorda Michele Fu. E aggiunge: "In un tale processo, le ricerche di materiale non potrebbero non coinvolgere anche la Cina, dove Ricci ha vissuto la parte più importante della sua vita".


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