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MEETING
tratto dal n. 09 - 2001

Pio XII e la sua opera di pace


A Rimini il nostro direttore ha presentato insieme a David G. Dalin, rabbino di New York, Pio XII. Il Papa degli ebrei. Pubblichiamo alcuni appunti dal dialogo tra Giulio Andreotti e Andrea Tornielli, autore del libro



24 agosto 1939. Il radiomessaggio di Pio XII  in cui viene affermato: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra»

24 agosto 1939. Il radiomessaggio di Pio XII in cui viene affermato: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra»

ANDREA TORNIELLI: Senatore Andreotti, Pio XII durante la guerra, nel dopoguerra e fino al momento della sua morte, era universalmente considerato come un grande amico degli ebrei, specialmente dagli stessi ebrei. Invece, da un certo momento in poi, venne'accusato di essere stato tiepido nei riguardi dei nazisti e reticente sull’Olocausto. Da dove e perché sono arrivati questi attacchi alla memoria di papa Pacelli?
GIULIO ANDREOTTI: Io credo che l’interpretazione più esatta sia quella che porta a ritenere che tanto astio, tanto livore contro la memoria di Pio XII non sia motivato dalla convinzione che Pio XII abbia fatto qualcosa contro gli ebrei, o che non abbia fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per difendere loro e tutti i perseguitati di varia estrazione durante la guerra. No, a mio avviso, questi attacchi iniziarono perché Pio XII fu fermissimo nei confronti del comunismo. Questo ha fatto rispolverare delle interpretazioni, una delle quali è questa: quando gli alleati chiesero al Papa durante il conflitto di esprimersi a loro favore, la risposta del Papa fu che nella tradizione della Chiesa non c’è mai un intervento a sostegno o un intervento contro un belligerante ma c’è un ripetuto auspicio di pace.
Apro una parentesi per ricordare che Benedetto XV, per aver definito la Grande guerra «l’inutile strage», si attirò contro tutto un certo mondo laicista. Tanto è vero che proprio su richiesta dell’Italia, la Santa Sede non fu ammessa alla conferenza di pace nel 1919.
Ma tornando alla risposta di Pio XII, che era una logica risposta, ci fu però una aggiunta che poi maliziosamente venne interpretata come una specie di minore propensione ad essere contro gli uni o contro gli altri, e cioè quando si disse che, finita la guerra, chi avrebbe governato in Europa non sarebbero stati né gli americani né gli inglesi, ma Stalin.
Questo naturalmente se viene interpretato come una specie di propensione nei confronti dell’altro belligerante, è un’infamia dal punto di vista storico e dal punto di vista logico. Il cardinale Tardini, che pur essendo un fine diplomatico però non dimenticava mai di essere romanesco, in quel momento storico disse: «Se Stalin vince la guerra sarà il leone che divorerà tutta l’umanità». Quello che, poi abbiamo visto, ha fatto Stalin…
L’opinione vera del Papa era che il nazismo e il comunismo erano due mali. Allora dire se è peggio il colera o la peste... io credo che ci sia un’indifferenza giusta nel considerare che sono due pestilenze.
TORNIELLI: È un fatto che questo Papa, che oggi qualcuno pretende di definire come “il Papa di Hitler”, doveva essere rapito e portato via in catene dai nazisti.
ANDREOTTI: Vorrei premettere che fin dallo scoppio del conflitto un’azione fortissima fu messa in atto dal Papa e dal Vaticano: ci fu una presa di posizione pubblica con tre telegrammi, che furono resi poi noti dall’Osservatore Romano, ai capi di Stato dell’Olanda, del Belgio e del Lussemburgo, nazioni che erano state invase dagli hitleriani. Questo è un punto fermo. Secondo punto fermo: il Papa fece uno sforzo enorme per far sì che l’Italia, che aveva dichiarato la non belligeranza, rimanesse in questa posizione. In quei mesi, addirittura, il Papa, cosa prima non concepibile, si recò di persona, il 29 dicembre del 1939, al Quirinale per parlare con il Re apertamente, sostenendo questa posizione di non belligeranza che purtroppo poi l’Italia mantenne solo fino al giugno dell’anno successivo.
Il ghetto di Lodz, in Polonia, nel 1940

Il ghetto di Lodz, in Polonia, nel 1940

Ma per rispondere alla domanda, abbiamo un documento ineccepibile, quello del generale Otto Wolff, che era il capo delle SS in Italia durante l’occupazione.
Wolff, con una testimonianza giurata al tribunale della istruzione per la causa di beatificazione di Pio XII, ha descritto con molta precisione gli ordini che il Führer gli aveva dato per fare questa operazione di “pulizia etnica” in Vaticano. Wolff riporta le frasi di Hitler che usa una terminologia che conferma quanto fosse scarso o inesistente il feeling con Pio XII. Dice il Führer nell’ordinare l’invasione del Vaticano: «Credete che il Vaticano mi metta soggezione? Me ne infischio. Staniamo fuori tutto quel branco di porci, poi ci scuseremo».
Vi è poi la descrizione di come con molta abilità questo generale, guadagnando tempo, fece in modo che non fosse realizzato questo progetto. E lui stesso, attraverso il padre Pancrazio Pfeiffer, che in quel momento fu così prezioso a sostegno della resistenza romana, ebbe un’udienza con Pio XII della quale rende precisa testimonianza.
E in più va ricordato che Pio XII aveva addirittura condotto, agli inizi del 1940, una attività non solo rischiosa, ma quasi temeraria: essendo stato informato che un gruppo di generali tedeschi voleva sollevarsi per buttar fuori Hitler, il Papa condivise questo progetto e fu lui a interpellare gli inglesi, su richiesta di questi generali, tramite Osborne, rappresentante dell’Inghilterra presso la Santa Sede. I generali tedeschi chiedevano agli alleati che una volta defenestrato Hitler fosse attenuata la richiesta di resa incondizionata da parte della Germania. La risposta degli alleati fu negativa, non si transigeva sulla resa incondizionata, e quindi non se ne fece nulla. Il commento di Pio XII fu che in questo atteggiamento così rigoroso da parte degli alleati c’era di fatto non solo ostilità al nazismo, ma anche ostilità verso i tedeschi come tali. Ma pensate: un Papa che si presta addirittura a fare il cospiratore poi deve essere messo sotto accusa da coloro che in molti casi il coraggio l’hanno preso successivamente.
Giovani ebrei nascosti dai Fratelli Maristi presso 
la scuola San Leone Magno di Roma

Giovani ebrei nascosti dai Fratelli Maristi presso la scuola San Leone Magno di Roma

Vorrei poi dire che tra le cause che scatenano una non domata reazione, fu proprio un fatto su cui non ci piove: il giorno dopo la liberazione di Roma, il rabbino capo di Roma, Israel Zolli, va a rendere omaggio al Papa, ha una crisi religiosa, si converte e viene battezzato con nome di Eugenio Zolli.
Ora noi dobbiamo, dinnanzi alla tragedia della Shoah, certamente ritenere che ogni posizione degli ebrei può essere compresa (non può essere giustificata, ma può essere compresa), però è fuori di dubbio quello che è stradocumentato, ovvero che il Papa non fu reticente sull’Olocausto. Decise anche di mandare al cardinale di Cracovia, per mano di monsignor Quirino Paganuzzi del Vaticano, un messaggio da leggersi al popolo polacco in cui si deploravano le persecuzioni di cui erano vittime non soltanto gli ýbrei, ma anche i cristiani. Perché vogliamo poi dirlo che pure tanti cristiani sono morti nei campi di concentramento? E nessuno fraintenda: questo non vuol dire assolutamente non sentire l’orrore, che non potrà mai essere cancellato, nei confronti dell’Olocausto. Però occorre anche, qualche volta, ricordare che anche i rom sono stati fatti finire nelle camere a gas. Ricordiamoci qualche volta anche di questi poveretti che trovano sempre una vita difficile e continuano a pagare la loro difficilissima posizione di carattere etnico, basti pensare a quel che accade oggi nei Balcani.
Torniamo al nostro tema: quando l’arcivescovo di Cracovia, monsignor Sapieha, riceve il messaggio del Papa dalle mani di monsignor Paganuzzi dice: «Un momento, qui già abbiamo una situazione impossibile. Sappiamo benissimo che il Papa è con noi, ma non dobbiamo creare ulteriori provocazioni, e in Olanda sappiamo quello che accade». Pensate che questi tiranni si sarebbero commossi per una scomunica papale? Probabilmente ci avrebbero riso sopra e avrebbero detto: «Quel branco di porci non poteva che fare così». Vorrei aggiungere un’altra cosa: il nostro amico ha fatto benissimo a scrivere questo libro e il rabbino Dalin ha detto delle cose stupende e ha scritto delle cose meravigliose. Però, quasi mi infastidisce questa necessità di dover difendere Pio XII, che rimane, fra l’altro, un papa che ha dato un insegnamento che non potrà mai essere indebolito: che la pace è opera di giustizia. Ora mi sembra che questo vada detto in una serata nella quale, giustamente, tutti, documenti alla mano, danno la prova testimoniale, la prova ineccepibile dell’atteggiamento del Papa sull’Olocausto.
TORNIELLI: Al senatore Andreotti voglio rivolgere adesso una domanda riallacciandomi al discorso su Pio XII anticomunista, per ricordare che c’è un episodio che ci dimostra anche la grande libertà che aveva questo Papa, che disse, lo ricordiamo, che la Chiesa non si identifica con alcuno schieramento internazionale. Pio XII, pur avendo un giudizio chiaro sul comunismo, addirittura intervenne in qualche modo perché i cattolici americani favorissero l’aiuto degli Stati Uniti alla Russia invasa da Hitler.
ANDREOTTI: È vero, perché c’è una certa tendenza all’isolazionismo nel popolo americano, che poi quando invece decide di dover intervenire allora interviene e anche con grandissimo sacrificio. E allora vi era chi diceva (fra l’altro con prese di posizione di personaggi di grande autorevolezza come l’ex presidente degli Stati Uniti Hoover) che non si poteva entrare in un conflitto accanto ai sovietici, e ci si rifaceva addirittura all’enciclica di Pio XI della non collaborazione concessa nei confronti dei comunisti, di qualunque tipo fosse questa collaborazione. Ma proprio la Santa Sede, attraverso l’episcopato statunitense, disse: «Lo schieramento di carattere bellico, per questa contingenza che vede accanto alleati occidentali e Unione Sovietica, è lecito e non rientra affatto in quella proibizione di carattere generale a cui si riferiva l’enciclica di Pio XI».
Vorrei dire che c’è un punto (che ricordo proprio perché siamo collegati con la Radio Vaticana) su cui mi resta un dubbio anche se la spiegazione che al tempo fu data era una spiegazione valida: Radio Vaticana faceva delle trasmissioni che non erano riguardose, uso un termine eufemistico, nei confronti della Germania, per azioni concrete di persecuzione che erano in atto. L’ambasciatore tedesco protestò formalmente e chiese, fra l’altro, il testo di una trasmissione. Oltretevere furono guadagnate un paio di settimane con la scusa che la trascrizione non era precisa e che c’era soltanto un riassunto, però poi fu dato l’ordine di sospendere le trasmissioni in lingua tedesca della Radio Vaticana. Una decisione che provocò una protesta del padre generale dei Gesuiti (la Radio Vaticana è gestita dai padri della Compagnia). Però fu chiarito che sospendere le trasmissioni in tedesco era il male minore, perché si temevano non solo le reazioni nei confronti, come ho detto prima, dei quaranta milioni di tedeschi cattolici, ma anche una modifica di quel minimo di spazio che c’era ancora in Roma. L’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weizsäcker, che è padre di quello che è stato poi presidente della Repubblica dopo la guerra in Germania, ci aiutava per quello che poteva, quando non vi erano di mezzo i militari.
Rappresentanti delle comunità ebraiche provenienti dai campi di concentramento in Germania ricevuti da Pio XII al termine della guerra

Rappresentanti delle comunità ebraiche provenienti dai campi di concentramento in Germania ricevuti da Pio XII al termine della guerra

Posso raccontare un episodio: noi stampavamo Il Popolo clandestino e ogni volta cambiavamo tipografia. Io ebbi un’idea, che fa pensare che evidentemente non sono fatto molto per la cospirazione: a quel tempo la stampa si faceva con il piombo, poi si doveva fare il montaggio, l’impaginazione e così via. Allora, pensai, se nella tipografia dove stampiamo Azione Fucina di giorno, prepariamo anche gli impaginati per il Popolo clandestino, la notte basteranno due persone per poterlo stampare. Così facemmo. Ma qualche giorno dopo l’ambasciatore tedesco Weizsäcker andò da monsignor Montini portando questa copia del Popolo, che come grafica e caratteri era identica ad Azione Fucina, e gli disse: «Per favore, preghi queste persone almeno di non lasciarci le impronte digitali».
Ho raccontato questo per far capire la grande preoccupazione che fosse tolto quel minimo di respiro che c’era. A tal proposito io ho visto che è stato ricostruito, e giustamente, tutto quello che è stato fatto per aiutare i perseguitati, addirittura anche i casi singoli. Ma non è tutto. C’era per esempio una catena importantissima, di cui non si fa mai menzione, ma che è esistita ed io stesso ne ho fatto, per qualche caso, parte: le Suore di Priscilla avevano una piccola tipografia dove si stampava Archeologia Cristiana. Lì allora stampavano false carte d’identità per aiutare chi era a rischio di arresto. Queste carte, però, per avere una validità, dovevano avere i timbri dei comuni dell’Italia già liberata, in modo che eventualmente non si potessero fare ulteriori verifiche della validità del documento. I timbri furono procurati e stavano in Vaticano. La catena funzionava così: le buste con i documenti da timbrare si depositavano in una busta all’edicola dei giornali che è al margine del colonnato di San Pietro, dove inizia via di Porta Angelica. Da lì la busta andava in Vaticano. I documenti venivano timbrati e tornavano all’edicola. La rete era organizzata da Gonella. Queste suore non hanno mai chiesto alcun riconoscimento, mai nessun plauso per quello che avevano fatto. E se uno avesse chiesto loro perché alla fine della guerra non avessero reso pubbliche queste cose, avrebbero risposto perché avevano fatto solo il loro dovere.
ýolevo dire solo questo: nell’elenco delle cose note, c’è poi idealmente un elenco che non sarà mai conosciuto, una solidarietà non quantificabile, che direi era il minimo che si potesse fare. E togliere questa possibilità minima che c’era per salvare tante persone sarebbe stato disastroso.
Perché vorrei ricordare che quando ci si mettevano di mezzo le SS (il generale Wolff, Dio lo benedica, ha dato queste meravigliose testimonianze al processo di beatificazione di Pio XII e gli siamo molto grati di avere in fondo messo nel sacco Hitler stesso, non adempiendo ai suoi ordini), quando entravano in funzione le SS o i militari, erano assolutamente dei guai. E non rispettavano nemmeno la extraterritorialità: San Paolo fuori le Mura fu oggetto di una perquisizione dal loro punto di vista regolare. Lo stesso Collegio lombardo a piazza Santa Maria Maggiore fu oggetto di un’invasione da parte dei tedeschi. Quindi era un clima nel quale avere quel tanto di prudenza io credo che sia stato giusto. Quando sospesero le trasmissioni di Radio Vaticana brontolammo, perché non ci piacque, ci sembrò una specie di resa, però dobbiamo riconoscere che invece era una misura necessaria per salvare quello che, non era molto, poteva ancora essere salvato, e che fu salvato.
TORNIELLI: Senatore Andreotti, lei ha incontrato e conosciuto Pio XII, che viene presentato oggi come una persona dall’apparenza ieratica, fredda. Era davvero così insensibile, papa Pacelli?
ANDREOTTI: Una piccola premessa. Prima ho citato i telegrammi che il Papa inviò ai capi di Stato dei tre Paesi invasi all’inizio delle ostilità dai nazisti. Ci fu in quella occasione una visita dell’ambasciatore italiano Dino Alfieri (una visita di congedo perché era trasferito come ambasciatore a Berlino). La cronaca di quella visita è molto chiara, perché l’ambasciatore disse che il governo tedesco era rimasto molto contrariato da questo atteggiamento. La risposta testuale del Papa fu che se fosse stato il caso non avrebbe avuto alcun timore di finire in un campo di concentramento: «Non abbiamo» disse «avuto timore delle rivoltelle puntate contro di noi» (parlava della sua esperienza di nunzio a Monaco nel terribile momento della… chiamiamola rivoluzione comunista che vi era stata) «e non ne avremo tanto meno una seconda volta». Per quello che riguarda il carattere di Pio XII, era un uomo di grande austerità ma di una delicatezza estrema: una volta (ero poco più che un ragazzo in quegli anni) che andai da lui in udienza privata, dovette farmi fare un po’ di anticamera perché aveva dovuto ricevere all’improvviso delle persone. Mentre ero in attesa, si aprì la porta e venne il Papa di persona per dirmi: «Abbi pazienza un momento, ho delle visite che non erano in programma». Io rimasi confusissimo.
Certamente era di una pastoralità straordinaria, voleva essere informato di quello che era lo stato d’animo e la possibilità di vita religiosa dei nostri studenti al fronte, che cosa dicevano, che cosa trasmettevano nei loro rapporti. E poi aveva una grandissima delicatezza.
Mi piace ricordare (ma ripeto ancora, fino a essere noioso, che Pio XII non ha bisogno di avvocati difensori perché resta quello che è stato, un grandissimo Papa) che era un uomo molto preciso, metteva a volte soggezione, voleva una grande esattezza quando gli si riferiva qualche cosa, era di una puntualità enorme, ma faceva tanti atti di carità, anche individuali, anche a molte persone che sapeva benissimo che poi non solo non sarebbero state riconoscenti, ma che sarebbero state in un fronte assolutamente contrario al suo. Basti pensare che il Laterano, il seminario, era diventato il luogo di ricovero e di salvaguardia, da un lato del comitato militare del generale Bencivenga, e dall’altro di tutti i politici ricercati. Avevano preso ognuno il nome di un seminarista, perché alloggiavano nelle stanze dei seminaristi, e anche Nenni, che non era molto abituato, per qualche tempo fu costretto a sentirsi chiamare don Porta. Ma non deve sembrare strano, perché in quel momento c’era un’identità cattolica e una difesa della libertà che erano una sola cosa. Il Comitato di liberazione nazionale, prima dell’andata nel ricovero che adesso ho accennato di San Giovanni in Laterano, si riuniva nella chiesa del Rosario in via Cernaia, presso monsignor Barbieri. E tutte queste cose non solo non avvenivano all’insaputa del Papa, ma era il Papa stesso che aveva dato questa istruzione. Ora, io credo veramente che il Papa era un uomo molto preciso (infatti era, non dico, per carità, il terrore, della Segreteria di Stato, perché leggeva tutte le carte, le appuntava…), ma di una umanità assoluta. Vi sono tante cose che lui ha vietato poi che si dicessero, ma che sono degli atti straordinari. Posso raccontarne un ultimo, è del 1943: alcuni ragazzi del gruppo centrale dei comunisti cattolici, tra cui Adriano Ossicini e Franco Rodano che io conoscevo, erano stati arrestati. Il Papa in passato era stato molto rigoroso nei riguardi di questo movimento, convinto che fossero in errore grave. In quei giorni, poi, il Papa era molto turbato da una voce, che era stata fatta circolare in modo particolare presso gli operai, che la guerra era stata voluta dal Vaticano. Allora fece organizzare una grande riunione di operai da monsignor Baldelli, presidente dell’Opera di assistenza agli operai, nel cortile Belvedere in Vaticano. Io ero preoccupato, per la verità, che il Papa in quell’occasione avesse potuto ribadire la sua condanna verso i comunisti cattolici, aggravando la posizione di questo gruppo di giovani che era in prigione. Allora mi permisi di far arrivare nelle vie brevi, tramite madre Pascalina, un appunto al Santo Padre, pregandolo, per piacere, di non parlare in quell’occasione dei comunisti cattolici. E così fu. Pio XII non ne parlò e qualche giorno dopo, durante un’udienza di universitari, mi domandò: «Andava bene?», e me lo disse con uno sguardo così severo che io sentii un po’ di turbamento. Però fui grato. Con questo voglio dire che l’umanità del Papa era straordinaria. Certamente era un Papa che aveva passato con una assoluta fermezza direi proprio il fuoco, l’ho accennato prima, della persecuzione che vi era stata a Monaco, quando lui era nunzio apostolico, quando vi era stata la rivolta degli spartachisti e la rivolta successiva. E io credo veramente che il colore rosso a lui rievocava quelle giornate. Però vorrei dire una cosa, e spero di non essere frainteso, a chi lo rimprovera di non avere scomunicato i nazisti: ma forse quando è stata dichiarata la scomunica nei confronti dei comunisti italiani questo ha avuto un effetto pratico?


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