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MEETING
tratto dal n. 09 - 2001

Brani della testimonianza del generale Otto Wolff al processo di beatificazione di Pio XII


Hitler ordinò: «Invadete il Vaticano... Staniamo fuori tutto quel branco di porci»



Soldati  tedeschi presidiano gli accessi al Vaticano

Soldati tedeschi presidiano gli accessi al Vaticano

XVI Teste. Generale Carlo Federico Otto Wolff, nato il 13 maggio 1900, già comandante supremo delle SS e della polizia tedesca in Italia.

Per motivi militari, ma anche umanitari, il generale Wolff, nell’assolvimento del suo difficile incarico, seguì ciò che egli stesso chiamò «la tattica della mano leggera», cercando cioè di evitare ogni atto di severità non assolutamente necessario. Giunto alla convinzione che la guerra scatenata da Hitler era perduta, chiese ed ottenne una udienza segreta con Pio XII che ebbe luogo il 10 maggio 1944. In tale udienza egli propose al Santo Padre di intavolare negoziati con gli alleati al fine di ottenere una «pace onorevole». Nella sua deposizione il generale Wolff descrive in quale modo questa udienza fu preparata e come essa si svolse. È certo che il generale rimase grandemente impressionato dal Servo di Dio, in modo tale cioè che egli, protestante, ha dichiarato: «Desidero la beatificazione di Pio XII perché, in un’udienza segreta del 10 maggio 1944, ho imparato a conoscerlo come un uomo del tutto straordinario e a venerarlo» (Proc. foll. 1575-1576). D’altra parte è anche vero che lo stesso Pio XII ebbe una buona impressione del generale e della sua sincerità.
Durante la sua deposizione il generale Wolff consegnò al Tribunale anche il documento richiesto dalla Segreteria di Stato riguardante il progetto di Hitler di invadere il Vaticano e deportare il Papa. Si tratta di un documento del più alto valore storico, specie perché dimostra che Hitler vide in Pio XII un avversario acerrimo e quindi da odiare.


Sessione: XVII (24 marzo 1972)

Ad 4: Desidero la beatificazione di papa Pio XII perché, in un’udienza segreta del 10 maggio 1944, ho imparato a conoscerlo come un uomo del tutto straordinario e a venerarlo.

Ad 5: Ci fu quest’udienza perché, quale comandante supremo delle SS e della polizia in Italia, tenendo in conto che la nostra politica estera era del tutto confusa, mi sembrò importante entrare in contatto con ambienti che potessero interessarsi e collaborare nel tentativo di una conclusione anticipata di una guerra con l’Occidente che era divenuta ormai insensata. La persona del Papa sembrò particolarmente adatta in questo senso. A tale scopo, mi misi a contatto con l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Weizsäcker, con l’allora rettore del Collegio Germanico e Ungarico, padre Ivo Zeiger S.I., con il quale ebbi, nel dicembre 1943, nell’edificio dell’ambasciata tedesca, un primo colloquio che durò parecchie ore e si svolse molto positivamente, alla presenza dell’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede e anche del mio ufficiale di collegamento, lo Standartenführer (maggiore delle SS) Dr. Dollmann. A questo proposito esiste una lettera del padre Ivo Zeiger a me (indirizzata) con l’intestazione “Missio pontificia in Germania, Kronberg 4 maggio 1948”. Consegno questa lettera agli atti. Questo colloquio è inoltre documentato nel libro del principe Costantino di Baviera su papa Pio XII, p. 301 e seg. La vedova del proprietario della fabbrica della Fiat a Vienna, contessa Agnelli, nata principessa di Borbone-Parma, era stata arrestata dalla polizia italiana a causa di una dichiarazione imprudente al telefono. Fui pregato dai suoi conoscenti di ordinare la sua scarcerazione, ciò che feci. In un colloquio con lei, si offrì di fami un piacere per ringraziami del mio interessamento. Accettai perciò questa offerta, pregandola cioè – in considerazione dei suoi buoni rapporti con l’alta gerarchia ecclesiastica – di ottenere per me un’udienza dal Papa. In questo modo ottenni dunque l’udienza della quale trattasi. L’allora superiore generale della congregazione dei Salvatoriani, padre Dr. Pancrazio Pfeiffer, si assunse la preparazione tecnica e mi accompagnò personalmente nell’anticamera di Sua Santità. Per motivi di segretezza, avevo indossato abiti borghesi.
Mentre salivamo la scala agli appartamenti privati del Papa, […] padre Pfeiffer mi rivolse una preghiera, che egli esplicitamente definì come una richiesta del Papa, precisando che non era d’uso che il Papa la rivolgesse personalmente. Si trattava della preghiera di scarcerazione di un radicale di sinistra, figlio di un giurista di Bologna conosciuto dal Papa, di nome Vassalli. Questo figlio era stato arrestato a causa delle sue tendenze radicali di sinistra e attendeva la pena di morte. Al che spiegai che conoscevo il caso, ma temevo che il Papa e il Vaticano avrebbero avuto ancora molti dispiaceri per questa faccenda; che il Vaticano non avrebbe avuto alcun ringraziamento e che il Papa, dopo la scarcerazione di costui avrebbe ancora avuto delle difficoltà politiche. In realtà ho poi saputo più tardi dal signor von Weizsäcker che il Papa si era espresso molto positivamente e con compiacimento sull’udienza con me e aveva dichiarato più tardi che le mie previsioni, riguardo all’attività di Vassalli rimesso in libertà, si erano purtroppo avverate; avrebbe però soggiunto che si doveva fare una buona azione per se stessa […].
Padre Pfeiffer mi condusse poi nell’anticamera del Papa, mi presentò e poi si ritirò, perché l’udienza fra il Papa e me avvenisse a quattr’occhi. […] Gli espressi la mia convinzione che io, in lui, nel Papa, vedevo la persona indicata per mettersi in relazione con le potenze occidentali allo scopo di anticipare la fine di questa guerra divenuta insensata, pur dicendo tuttavia che le condizioni avrebbero dovuto essere onorevoli, perché non avrei voluto apparire come un traditore, mentre ero invece fermamente deciso a eseguire fino alla fine il compito che mi era stato affidato, con umanità, secondo le Convenzioni dell’Aia e di Ginevra, come ero stato educato, in qualità di ufficiale della guardia nella prima guerra mondiale, e in conformità con le mie disposizioni d’animo assolutamente umanitarie. Il Papa rispose a questo che si rallegrava di sentire da me un giudizio così onesto ed aperto sulla situazione, come anche di sentire un giudizio così giusto e rispondente alla vera situazione della Germania e a quella generale dell’Occidente. Dissi esplicitamente al Papa che, per lo scopo appena espresso di una fine anticipata della guerra contro l’Occidente, sarei stato pronto a mettere in gioco la mia propria vita e quella dei miei familiari, perché essi, a motivo della parentela, sarebbero stati in pericolo se i miei sforzi fossero stati fraintesi. Il Papa mi dichiarò che conosceva la serie di gradini delle decorazioni tedesche, dalla croce di ferro alla croce di cavaliere con spade e brillanti. Trattando l’argomento vero e proprio del nostro colloquio, il Papa mi disse che naturalmente non era facile sondare in modo concreto il terreno circa la possibilità di trattative di pace. La principale difficoltà consisteva nel fatto che, da parte degli alleati, esisteva un atteggiamento non solo antinazionalsocialista, ma in parte anche antitedesco, anche nel senso di un pregiudizio, che doveva anzitutto essere superato, cosa che richiedeva tempo. Egli mi disse che calcolava su di un termine di circa quattro settimane, necessario per lui per poter combinare un primo abboccamento con me da parte dei rappresentanti delle potenze occidentali. Egli avrebbe fatto tutto ciò che gli era possibile in questo senso, per sostenere i miei sforzi che corrispondevano alle sue idee. Egli mi avrebbe quindi fatto avvisare, tramite il Dr. Pfeiffer, quando avrei di nuovo potuto andare a trovarlo. Purtroppo non ci fu più un incontro personale con papa Pio XII, perché io dovetti partire per Karlsbad piuttosto improvvisamente per una cura, rivelatasi urgentemente necessaria, e quando tornai in Italia, Roma era caduta ed era avvenuta l’invasione della Normandia. Però il collegamento con il Papa era rimasto, in quanto mantenni rapporti con il cardinale Schuster, per mezzo di un intermediario, e, praticamente, furono presi, più tardi, contatti con i rappresentanti delle potenze occidentali. Il Papa si accomiatò da me in un modo che mi sorprese; disse infatti che avrei percorso un cammino molto difficile e pericoloso per la mia vita. Mi augurava ogni bene e voleva dare a me e alla mia famiglia la benedizione apostolica. A questa benedizione papale ho pensato spesso nelle seguenti difficili ore della mia vita. […]
Il progetto di Hitler di far occupare il Vaticano e far deportare il Papa mi fu reso noto sotto il suggello della massima segretezza. Non vi furono istruzioni scritte per tutti questi ordini di Hitler rigorosamente segreti. Che Hitler avesse questo piano, può essere dimostrato anche documentariamente dopo l’avvenuta pubblicazione dei frammenti del verbale dei colloqui sulla situazione nel quartier generale del Führer, del 26 luglio 1943, dove è esplicitamente trascritta la risposta di Hitler ad una domanda, su ciò che doveva essere fatto con il Vaticano: «Io entro subito in Vaticano. Credete che il Vaticano mi metta soggezione? Sarà subito invaso... Me ne infischio... Staniamo fuori tutto quel branco di porci... Poi ci scuseremo... Per noi è indifferente…». Questi frammenti del verbale dei colloqui sulla situazione sono stati pubblicati in un libro dell’Istituto di Storia contemporanea a Monaco. Con ciò il fatto storico è ineccepibilmente accertato. A motivo della segretezza, non ho però reso noto questo piano di Hitler né al Papa né a qualcuno del clero. Questo non ero in grado di farlo, per il mio onore di ufficiale. Praticamente, questo non era nemmeno possibile in alcun modo, poiché finché ne avevo la responsabilità – come in questo documento ho dimostrato – potevo rimandare, ed infine impedire totalmente l’esecuzione di questo piano.
Il mio atteggiamento di fronte alla Chiesa durante il periodo del mio servizio in Italia era questo: a motivo della mia educazione, ho considerato la Chiesa come una potenza culturale, importante per la conservazione della cultura occidentale. Ho proposto a ecclesiastici di mia conoscenza, padre Ivo Zeiger, padre Pfeiffer, e, più tardi, anche il cardinale Schuster e il cardinale Piazza, il seguente gentlemen’s agreement, sia pure per la mediazione di terzi. Non avrei usato alcun inutile rigore verso la Chiesa e verso la popolazione civile. In cambio, mi sarei però aspettato dalla Chiesa che mi aiutasse a mantenere la calma e l’ordine nel Paese e ad esercitare una benefica influenza in questo senso. In cambio, io avrei protetto e difeso l’autorità della Chiesa, la vita e i beni della Chiesa, le sue istituzioni ed i suoi diritti extraterritoriali. In questo contesto, mi viene appunto in mente che il Papa ha apprezzato anche questi miei sforzi. Il Papa mi disse cioè, alla fine dell’udienza: «Quante disgrazie si sarebbero potute evitare se Dio l’avesse condotte prima da me!». Trovo documentata anche per iscritto questa espressione nel volume di Enzo Höhe, pubblicato dalla Fischer-Bücherei, Der Orden unter dem Totenkopf (L’Ordine sotto l’insegna del teschio) - La storia delle SS, vol. 2, p. 591.


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