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ARCHEOLOGIA
tratto dal n. 09 - 2001

A Roma come al Santo Sepolcro


Le nuove indagini iniziate nel ’96 permettono di comprendere meglio l’originale significato e funzione della basilica: fu pensata come memoria fisica della città santa di Gerusalemme, in particolare della chiesa fatta costruire da Costantino sul luogo della sepoltura e resurrezione di Gesù Cristo. Ed è ragionevole pensare che qui fin dall’antichità siano conservate e venerate le reliquie della passione


di Lorenzo Bianchi


Invenzione della Santa Croce per opera di sant’Elena, affresco absidale del XV secolo, basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Roma

Invenzione della Santa Croce per opera di sant’Elena, affresco absidale del XV secolo, basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Roma

«Eodem tempore fecit Constantinus Augustus basilicam in palatio Sessoriano, ubi etiam de ligno sanctae Crucis Domini nostri Iesu Christi in auro et gemmis conclusit, ubi et nomen ecclesiae dedicavit, quae cognominatur usque in hodiernum diem Hierusalem» (Liber Pontificalis I, ed. Duchesne, p. 179): «In quello stesso tempo [cioè sotto il pontificato di Silvestro I, 314-335] Costantino Augusto costruì la basilica nel palazzo Sessoriano, nella quale anche racchiuse, tra oro e pietre preziose, una reliquia del legno della santa Croce del Signore nostro Gesù Cristo quando consacrò la chiesa e le diede il nome di Gerusalemme, con il quale è chiamata ancora oggi». Il testo del Liber Pontificalis, redatto più tardi degli avvenimenti che narra, e cioè verso il VI secolo, attribuisce dunque la fondazione della basilica di Santa Croce, voluta da Elena madre di Costantino all’interno della dimora imperiale nella quale ella risiedette, a Costantino stesso. Quanto l’archeologia ci permette oggi di verificare conferma sostanzialmente questa tradizione.
L’edificio attuale, nel quale chi ora entra solo con l’immaginazione può ricostruire l’aspetto della antica basilica paleocristiana e della sua successiva rielaborazione medioevale, risale agli anni 1743-1744, quando Benedetto XIV lo trasformò nella maniera che oggi vediamo. Gli architetti Domenico Gregorini e Pietro Passalacqua abbatterono il medioevale portico d’ingresso e lo sostituirono con un atrio ovale, concluso da una facciata tripartita e rivestita di travertino, con il campo centrale convesso e i laterali concavi, di chiaro influsso borrominiano; anche l’interno fu variamente rimaneggiato ed ornato di stucchi e cornici.
Ma una trasformazione significativa dell’originaria costruzione del IV secolo (la Hierusalem, ricordata anche, nel V secolo, con il nome di basilica Heleniana e nel VI secolo con quello di basilica Sessoriana o in Sessorio) si era avuta già in epoca molto più antica. La basilica, infatti, non si presentava in origine divisa in tre navate longitudinali, ma era articolata in tre zone trasversali divise da due pareti murarie, piene nella parte superiore ed aderenti alle pareti lunghe, aperte nella parte inferiore composta di tre arcate, di cui la centrale più ampia, sorrette forse da coppie di colonne.
La navata centrale della basilica di Santa Croce, a Roma. La divisione in tre navate dell’antico edificio paleocristiano è molto probabilmente anteriore all’VIII secolo

La navata centrale della basilica di Santa Croce, a Roma. La divisione in tre navate dell’antico edificio paleocristiano è molto probabilmente anteriore all’VIII secolo

La ristrutturazione dell’originaria partizione spaziale interna avvenne con tutta probabilità ancor prima del documentato intervento di Gregorio II (715-731), che sembra aver agito su un edificio già diviso in navate: «Hic [Gregorius] Hierusalem ecclesiam sanctam quae multo fuerat distecta tempore et circumquaque porticos vetustate quassatos, trabibus deductis cooperuit ac reparavit» (cfr. Liber Pontificalis I, p. 401: «Gregorio, ricollocate le travi, ricoprì e restaurò la chiesa della Santa Gerusalemme, che aveva il tetto molto danneggiato dal tempo, e le navate rovinate a causa dell’antichità»). Più tardi, importanti trasformazioni si ebbero anche nel XII secolo, ad opera di Lucio II (1144-1145) che era stato cardinale titolare della basilica: «Fabrica namque ipsius ecclesie [Sancte Crucis] a summo usque deorsum in melius reformata» (cfr. Liber Pontificalis II, p. 385: «Infatti la struttura della stessa chiesa della Santa Croce fu trasformata in meglio da cima a fondo»).
È proprio la struttura architettonica della chiesa e il suo originario impianto topografico l’oggetto delle indagini avviate ormai da qualche anno dalla cattedra di Archeologia cristiana dell’Università di Roma La Sapienza: indagini che, grazie anche ai già molto significativi risultati di uno scavo tuttora non terminato (cfr. l’articolo di Margherita Cecchelli nelle pagine seguenti), permettono di comprendere meglio gli originari significato e funzione dell’edificio, da considerarsi non più, come comunemente si è finora creduto, cappella palatina (cioè un luogo di culto privato destinato alla famiglia imperiale e alla sua corte), ma memoria fisica della città santa di Gerusalemme. In particolare alla chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme (costruita da Costantino e dedicata nel 335) si richiama la Hierusalem nell’aspetto della probabile triplice scansione architettonica degli ambienti del battistero. Battistero che proprio i recenti scavi hanno permesso di riconoscere, individuando la presenza di una vasca battesimale forse risalente al periodo della prima fondazione dell’edificio di culto.
È auspicabile che le indagini archeologiche, ora sospese per mancanza di fondi, possano rapidamente riprendere e proseguire, per far piena luce sulla storia di uno dei primissimi e più significativi monumenti della Roma cristiana.
Come infatti la basilica Lateranense, dal IV secolo sede del vescovo di Roma, è dedicata a Cristo Salvatore, e poi, nel V secolo, Santa Maria Maggiore ricorda la nascita di Gesù nella dedica a Maria madre di Dio, così la basilica della Santa Croce è collegata, fin dal suo primo impianto, alla passione di Cristo. Dunque, acquista ancor più significato e valore la tradizione antica che vuole qui presenti (precisamente in uno degli ambienti battisteriali, quello che ora è la cosiddetta cappella di Sant’Elena) le reliquie della Passione di Gesù Cristo trasportate a Roma, assieme alla terra del Calvario, da Elena: e, tra queste, forse fin da principio ma sicuramente in un secondo momento, anche il titulus Crucis (cfr. box a pagina 92).


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