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HUMANI GENERIS
tratto dal n. 07/08 - 2001

A cinquant’anni dall’enciclica Humani generis

Cartesio, preferibilmente


Blondel e Del Noce contro l’intrinsecismo di naturale e soprannaturale


di Massimo Borghesi


Nicolas de Malebranche: una filosofia “Verbocentrica”
Non si può dire che il pensiero dell’oratoriano francese Nicolas de Malebranche (1638-1715) goda, al di là degli addetti ai lavori, di grande notorietà. Per gli studenti di filosofia è poco più di un nome legato ad una concezione, l’“occasionalismo”, strana ed incomprensibile.
L’attenzione, tuttavia, che gli hanno dimostrato nel secolo appena trascorso autori come Blondel, Alquié, Gueroult, Gouhier, Del Noce, dedicandogli volumi ed articoli, deve far riflettere. Un esempio della sua “attualità” lo si ha nella “cristologia filosofica” a cui, da tempo, lavora padre Xavier Tilliette.
Il suo Filosofi davanti a Cristo vede Malebranche, subito dopo Pascal, quale architetto significativo della cristologia filosofica che segna la “filosofia cristiana” nell’era moderna1. Il fatto è, come rileva una studiosa che lo conosce bene, Amalia De Maria, che «Malebranche filosofa, secondo l’espressione di Robinet, “en manière chrétienne”, nel senso che ogni aspetto del suo pensiero si giustifica soltanto per il suo riferimento al Verbo eterno o al Verbo incarnato: la conoscenza è possibile perché la nostra mente è unita al Verbo; la creazione si giustifica soltanto in relazione all’incarnazione; la vera bellezza è il Verbo; e non c’è vera politica se le relazioni umane non si fondano sull’Ordine, che è la legge inviolabile di Dio, il suo Verbo»2. Per la De Maria siamo qui di fronte ad «una filosofia Verbocentrica più che Cristocentrica, a meno che sia esatta la tesi di Vidgrain, per il quale in Malebranche “il Cristo parla attraverso la ragione come Verbo di Dio e attraverso il Vangelo come Saggezza incarnata […]. La luce naturale di cui parla Cartesio e la luce soprannaturale di cui parla san Giovanni si confondono nel Cristo”»3. Tesi questa condivisa da più di un interprete, tra cui Augusto Del Noce per il quale si ha «l’inizio in Malebranche del razionalismo teologico»4, uno dei primi saggi «di quel tentativo così caratteristico nella storia della filosofia moderna francese di costruire una filosofia “religieuse, non par accident, mais par nature”»5. Una filosofia che, nel suo caso, proprio a causa della sua pretesa di essere essenzialmente cristiana, di fondarsi su una continuità assoluta tra fede e ragione, naturale e soprannaturale, risulta, dal punto di vista cristiano, decisamente più ambigua di quella di Cartesio con cui si suole, generalmente, far iniziare il processo del razionalismo moderno. Come scriveva Maurice Blondel a Lucien Laberthonnière, in una lettera del 14 aprile 1916: «Malebranche vuole e crede essere religioso al massimo (e non lo è), come se la religione consistesse in un’ideologia pura, davanti a quel meraviglioso scenografo e quell’irradiazione stupefacente che è Dio; mentre Cartesio non si picca di essere religioso di mestiere; perché ha un’altra vocazione; soltanto, se per suo conto lascia ad altri la cura di essere più che uomo, ciò nonostante si fa di Dio un’idea meno glaciale di Malebranche, non esclude ciò che oltrepassa i bisogni della sua metafisica e della sua scienza. La sua filosofia è a-religiosa. Ma forse come uomo e come cristiano egli concepisce – senza usarne molto – un Dio di libertà, di generosità, che non è né pura Potenza, né pura Essenza. E perché egli è a-religioso, compromette meno di Malebranche il senso cristiano del Deus charitas est»6.

L’“intrinsecismo” pericolo più grave dell’estrinsecismo”
Il giudizio di Blondel, contenuto nella lettera a Laberthonnière, non è casuale. Nel gennaio del 1916 era apparso, sulla Revue de métaphysique et de morale, il saggio L’anti-cartésianisme de Malebranche in cui Blondel precisava il suo punto di vista sulla filosofia dell’oratoriano. Un punto di vista che teneva presente il “separatismo” cartesiano, cui era dedicato il saggio del 1896 Le christianisme de Descartes, come termine di confronto critico. Dalla rilettura blondelliana, alquanto diversa dalle interpretazioni usuali, ne usciva un Malebranche anticartesiano, un Malebranche che univa, fino ad identificare, là dove Cartesio distingueva, fino a dividere. Cartesio «separa la filosofia […] dalla teologia, anzi dalla religione positiva, anzi da ogni ricerca dei nostri ultimi fini, da tutti i problemi relativi alla vita eterna; a parte le sopravvivenze e gli accomodamenti, egli ignora, da filosofo e da fisico, non solo ogni elemento soprannaturale e mistico, ma ancora ogni scienza spirituale»7. Si tratta di una ignoranza metodica «poiché egli non separa per escludere o ignorare, ma per dividere le competenze […], e per rimandare alla religione positiva quello che “non è del mio mestiere”, lo studio dei nostri ultimi fini»8. Cartesio diviene, con ciò, il padre del “separatismo” moderno che, da Kant al positivismo, segna un confine invalicabile tra fede e ragione.
«Questo separatismo non è, in lui, solo atteggiamento occasionale, convenienza o prudenza, ma tutto l’orientamento del suo pensiero. Scribo etiam Turcis. La filosofia è e deve restare secolarizzata, separata; la ragione e la fede si giustappongono, infatti, senza compenetrarsi, perché, fondato su un libero e miracoloso decreto della libertà divina, l’ordine cristiano è accolto come una grazia misteriosa mediante un buon volere di cui “i più idioti” sono capaci quanto i più sapienti»9.
È un atteggiamento che contrasta vivamente con quello di Malebranche. L’oratoriano tende «a collegare, a fondere, quello che Descartes separa assolutamente; ed egli si applica costantemente a suscitare vivente e reale nell’anima l’unità essenziale del Verbo e della ragione»10. Un’unità che lo porta a sottomettere Dio alla ragione stessa, all’Ordine eterno, metafisico, scavando un solco incolmabile tra la saggezza e la misericordia divine. Come scrive nel Traité de la nature et de la grâce: «La sua saggezza rende Dio, per così dire, impotente. Poiché, mentre essa l’obbliga ad agire mediante le vie più semplici, non è possibile che tutti gli uomini siano salvati a causa della semplicità delle vie. Dio ama più la sua saggezza che la sua opera» (II, art. XXXVIII). Aporia, questa, che segna lo scacco della teodicea malebranchiana, l’insopportabilità dell’Egoismo divino schiavo della “Saggezza”. Su questo punto, osserva Blondel, «a rompere con Descartes, Malebranche non ha guadagnato nulla, né come filosofo, né come cristiano, né come uomo»11. La con-fusione che egli opera tra Logos divino e ragione umana, tra filosofia e teologia, fa sì che «il soprannaturale rischi di confondersi con la natura stessa»12. La filosofia cristiana diviene il cristianesimo spirituale. «La filosofia è la vera religione, “il culto spirituale”; non che egli naturalizzi il soprannaturale, soprannaturalizza il razionale, perché, per lui, i dogmi più speculativi del cristianesimo esprimono la necessaria relazione del finito con l’infinito, perché il Verbo incarnato è la sola spiegazione intellegibile, perché, parlando assolutamente, non vi è verità che in Lui, non vi è Verità che Lui, e perché noi non possiamo essere che essendo in Lui, né essere in Lui se non in quanto Egli è in noi»13. Sotto questo profilo, osserva Blondel, «l’esistenza presente è solo apparenza, un momento il cui termine è la reintegrazione della creatura nel creatore o anche il ritorno di Dio a Dio. Intrinsecismo radicale che si oppone recisamente al puro estrinsecismo religioso di Descartes. Ma se, in ragione anche dei tramezzi, d’altra parte mobili o pieni di fessure, che egli pretende porre tra la ragione e la fede, il cristianesimo di Descartes solleva, dal punto di vista dell’ortodossia come da quello della filosofia, molteplici difficoltà, il cristianesimo di Malebranche, ben diverso, ed a causa anche della continuità che egli segna tra i due ordini, ne fa sorgere di più gravi ancora»14.

L’Agostino dell’illuminazione contro l’Agostino della grazia
Nei numerosi saggi e pubblicazioni che, a partire dagli anni Trenta, Augusto Del Noce ha dedicato a Cartesio, a Malebranche e al pensiero francese del Seicento, tornano, puntuali, i giudizi di Blondel – sul “separatismo” cartesiano, sull’intrinsecismo di Malebranche – con esplicito riferimento all’autore. Anche per Del Noce «la filosofia di Cartesio è autonoma, nel senso che è indipendente dalla Rivelazione. Non vi si parla né di peccato né di redenzione, Gesù Cristo non vi ha nessuna funzione»15. Nell’orizzonte cartesiano questo non significa opposizione tra filosofia e cristianesimo. L’autonomia della filosofia implica che il filosofo, «in quanto puro filosofo, può prescindere dalla considerazione dello status naturae lapsae. Questo in cui ora mi trovo è lo stato naturale in cui l’uomo avrebbe potuto essere creato: solo dalla Rivelazione posso sapere che esso è decadenza e che Dio mi ha destinato a uno stato migliore, e che Adamo è fallito rispetto alla chiamata sopraumana; quel che si deve richiedere a una filosofia perché si possa dire cristiana è soltanto il riconoscimento della possibilità della Rivelazione»16. Il separatismo, che come forma mentis caratterizza tanta parte del pensiero moderno, è così «controbilanciato dalla tesi dell’assoluta gratuità del soprannaturale. La forma di religiosità che consegue a questa preoccupazione di distinguere rigorosamente gli ordini, non è perciò fondata sulla “partecipazione” ma sulla distanza tra Dio e uomo»17. In Malebranche, al contrario, tutto converge verso l’unità, verso la «relativa confusione del naturale e del sovrannaturale»18. Una con-fusione che vede la nozione di natura minimizzarsi, dissolversi sottilmente nel soprannaturale reso, a sua volta, “naturale”, identico al razionale. Per Malebranche «parlare di natura e di facoltà è menomare la grandezza divina, è sostanzialmente negare che Dio sia creatore di tutto»19. Donde l’occasionalismo, inteso come antinaturalismo, per il quale «la filosofia malebranchiana può venir considerata come l’antitesi assoluta del tomismo»20, di quella posizione, cioè, per la quale «salvare i diritti della realtà creaturale è la via per salvare quelli della realtà divina stessa»21. Un’antitesi che assume il volto di un ontologismo “agostiniano” incomponibile con il tomismo. «In questo senso» osserva Del Noce «l’eredità [di Malebranche] a quella tradizione filosofica francese che è protesa alla ricerca d’un pensiero cristiano non per accidente, ma per natura, è la difficoltà perpetuantesi sotto la varietà delle forme, di salvare la reale consistenza del mondo naturale e umano»22. Il tutto-in-Dio porta da un lato alla risoluzione del naturale nel soprannaturale e, dall’altro però, al rovesciamento per cui il soprannaturale viene identificato con l’umana ragione. È la strana sintesi “di Lutero e di Pelagio” che Antoine Arnauld (1612-1694) attribuiva a Malebranche. Lo stesso Del Noce fa propri i rilievi di Arnauld la cui critica pare «anticipare quella del Blondel nella deviazione di Malebranche dal genuino spirito agostiniano», sul «trapasso in lui dal genuino intellettualismo cristiano al razionalismo»23.
In uno studio recente, Il metodo della grazia. Pascal e l’ermeneutica giansenista di Agostino, Gaetano Lettieri, riprendendo i rilievi di Del Noce, mostra molto bene il contrasto che viene a crearsi, nel pensiero francese del Seicento, tra l’Agostino dell’illuminazione e l’Agostino della grazia. Malebranche, che teme l’“anarchia” del Dio giansenista, si ispira direttamente all’Agostino “platonico” dei primi dialoghi allorché identifica l’intelletto umano con il Verbo divino. Ciò lo porta però ad una contraddizione lacerante con l’Agostino della grazia. Il Dio creatore di Malebranche, vincolato a seguire l’economia della saggezza che agisce solo per leggi semplici ed universali, non può infatti avere interesse per gli eventi particolari. Per questo «gli attributi della grazia efficace agostiniana vengono ora riferiti all’universale illuminazione operante in ogni coscienza creata»24. Giustamente Lettieri si domanda: «Ma questa metafisicizzazione sistematica di Agostino non sfocia in un razionalismo che confonde la legge eterna di Dio con la comprensione intellettuale dell’uomo […]?»25. È lo stesso rilievo che ritroviamo in Arnauld il quale proprio per poter criticare Malebranche abbandona, nella sua opera matura, l’Agostino “platonico” dei dialoghi giovanili a favore del dottore della grazia. «Arnauld è quindi disposto a considerare erronea la dottrina agostiniana del maestro interiore come atto divino immanente, illuminante le verità eterne all’interno di ogni coscienza razionale; dottrina appunto accusata di cedimento al platonismo e di incapacità di comprendere l’equivocità tra conoscenza umana e conoscenza divina, ovvero l’infinita distanza tra l’assoluta trascendenza della verità creatrice e la finita limitatezza dell’intelletto creaturale»26. Una rettifica, questa, che lo porta a riscoprire san Tommaso e la sua dottrina della conoscenza. La critica non prelude però ad un abbandono. «Arnauld non smentisce affatto il suo agostinismo, ma paradossalmente cerca di renderlo più coerente, avvertito dal pericolo del razionalismo post-cartesiano»27. A tal fine, distinti rigorosamente i piani della natura e della soprannatura, «la dottrina gnoseologica dell’illuminazione di Agostino viene quindi genialmente – e del tutto fedelmente ad Agostino! – recuperata come dottrina dell’illuminazione della grazia»28.
Di contro, la lettura puramente “metafisica”, filosofica, di Agostino operata da Malebranche porta all’oblio dell’Agostino teologo e ad una teoria della grazia cristianamente inaccettabile. Se, come afferma il Traité de la nature et de la grâce, «il n’y a nul rapport entre l’infini et le fini», solo l’incarnazione può rendere la creazione, profana ed opaca, degna di Dio. Malebranche dissocia, in tal modo, incarnazione e redenzione. L’incarnazione è in funzione della creazione, è un presupposto necessario della creazione. Come scrive Del Noce: «L’originalità della tesi malebranchiana a questo proposito non sta nel riprendere l’antica tesi dell’incarnazione indipendente dal peccato, ma nel renderla necessaria per la possibilità della creazione»29. Per Malebranche «l’opera di Dio, cioè la creazione, esige necessariamente l’incarnazione […] non Dio vuole incarnarsi e perciò crea, ma se crea, necessariamente si incarna»30. La “necessità” dell’incarnazione è la conseguenza metafisica di una nozione di natura che, evanescente e pericolante, richiede di essere nobilitata, divinizzata, per potersi dire creazione. Ancora una volta è la mancanza di una chiara nozione di natura che pregiudica la nozione di soprannaturale togliendole l’aspetto di “gratuità”. La “filosofia cristiana” di Malebranche, la sua posizione Cristocentrica-Verbocentrica divide proprio nella sua pretesa di unire. Divide l’incarnazione dalla redenzione; il Gesù “uomo”, causa occasionale della grazia, dal Padre vincolato ai decreti dell’Ordine eterno; il Verbo eterno, che si incarna per la “gloria” di Dio, dal Cristo umano che soffre per gli uomini. Donde le accuse alla sua cristologia di nestorianesimo, e quindi di origenismo e di pelagianesimo. Al confronto il “separatismo” cartesiano pone alla teologia problemi molto meno gravi. V’è qui, osserva Del Noce, «un fatto curioso: che è proprio questo “anticartesianesimo” mistico di Malebranche a inclinare i temi della filosofia cartesiana a una deviazione anche maggiore dell’agostinismo»31. L’agostinismo del Seicento, che vede il pensiero di Agostino risolversi in un ontologismo razionalistico incomponibile col tomismo, patisce una deviazione più grande con l’intrinsecismo di Malebranche che con l’estrinsecismo di Cartesio. In ciò il giudizio di Del Noce era perfettamente allineato a quello di Blondel.
Conclusione: rivalutare Molina?
A conclusione del suo volume su Riforma cattolica e filosofia moderna Del Noce osservava come «la Riforma cattolica perde, attraverso il cartesianesimo, l’Umanesimo, cioè le ragioni che ne costituivano la motivazione ideale»32. Questa perdita si esprime nel contrasto tra interiorità-esteriorità, fede-storia, che contrassegna non solo l’agostinismo “cartesiano” ma anche quello portrealista di Pascal. Se Pascal riguadagna, rispetto a Malebranche, il primato del Dio “religioso” su quello “filosofico”, anch’egli patisce però la perdita della nozione di “natura”. Ne è documento il suo pessimismo che abbandona la storia, letta con gli occhi di Machiavelli, al suo destino. Un retaggio, questo, che pesa sul pensiero cristiano degli ultimi secoli e che fa scrivere a Del Noce come «una certa rivalutazione del molinismo sia necessaria al pensiero cattolico attuale, nel suo tentativo di riguadagnare la storia»33. La teologia umanistico-gesuitica di Luis de Molina (1535-1600) non gode oggi, com’è noto, di buona stampa. «C’è in questo del vero: il molinismo è subordinato al protestantesimo, perché gli ha accordato che grazia divina e volontà umana siano princìpi esteriori l’uno all’altro. È giustissimo perciò il mettere in rilievo la sua radicale differenza dal tomismo»34. Il molinismo, e non il tomismo, è il presupposto teologico che sta dietro il “separatismo” cartesiano. «Ciò non toglie» secondo del Noce «che molinismo e tomismo abbiano una comunità di ispirazione, nella rivalutazione della realtà creaturale, come connessa con la vera celebrazione della gloria di Dio. È da osservare che nella pura negazione del molinismo si va oggi oltre lo stesso giudizio portrealista»35. Si tratta allora di avviare un ripensamento critico di tale negazione onde favorire quell’incontro tra agostinismo e tomismo che la “filosofia Verbocentrica” di Malebranche ha, nel corso della modernità, radicalmente interrotto.

NOTE

1 X. Tilliette, Filosofi davanti a Cristo, Brescia 1989, pp. 39-50.
2 A. De Maria, La cristologia di Malebranche, in Aa. Vv., Annuario filosofico, 5, 1989, Milano 1990, p. 151.
3 Ivi.
4 A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna, vol. I, Cartesio, Bologna 1965, p. 597, nota 2.
5 A. Del Noce, Nota sull’anticartesianesimo di Malebranche (1934), ora in A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini, Milano 1992, p. 414.
6 M. Blondel-L. Laberthonnière, Correspondance philosophique, Paris 1961, p. 235.
7 M. Blondel, L’anticartesianesimo di Malebranche, tr. it. in M. Blondel, Cartesio, Malebranche, Spinoza, Pascal. Saggi di storia della filosofia, Firenze 1975, p. 40.
8 Op. cit., p. 40, nota 3.
9 Op. cit., p. 59.
10 Ivi.
11 Op. cit., p. 47.
12 Op. cit., p. 64.
13 Op. cit., p. 62.
14 Op. cit., p. 63.
15 A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna, vol. I, Cartesio, cit., p. 378.
16 Op. cit., pp. 376-377.
17 Op. cit., p. 378.
18 A. Del Noce, La gnoseologia cartesiana nell’interpretazione di Arnauld (1937), ora in A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini, cit., p. 453.
19 Op. cit., p. 455.
20 Ivi.
21 Ivi.
22 Op. cit., p. 454.
23 Op. cit., p. 456. Cfr. M. Blondel, Pour le quinzième centenaire de la mort de St. Augustin, in Revue de métaphysique et de morale, 1930, p. 445.
24 G. Lettieri, Il metodo della grazia. Pascal e l’ermeneutica giansenista di Agostino, Roma 1999, p. 142. Corsivo nostro.
25 Ivi.
26 Op. cit., p. 151.
27 Op. cit., p. 155.
28 Ivi.
29 A. Del Noce, Note sulla critica malebranchiana (1938), ora in A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini, cit., p. 315.
30 A. De Maria, La cristologia di Malebranche, cit., p. 178.
31 A. Del Noce, Note sulla critica malebranchiana, cit., p. 317.
32 A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna, vol. I, Cartesio, cit., p. 626.
33 Op. cit., p. 625, nota 1.
34 Op. cit., pp. 623-624.
35 Op.cit., p. 624.


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